Vangelo Mt 6, 7-15 :«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate ».

Giovanna EspositoVangeloLeave a Comment

Vangelo  Mt 6, 7-15
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».


Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CLXXII. Quarto discorso della Montagna: il giuramento, la preghiera, il digiuno. Il vecchio Ismaele e Sara.

  26 maggio 1945

 1 Continua il discorso sulla Montagna. Lo stesso luogo e la stessa ora. La folla, meno il romano, è la stessa, forse ancora più numerosa perché molti sono fin sull’inizio dei sentieri che conducono alla valletta. Gesù parla: 
   «Uno degli errori facili nell’uomo è la mancanza di onestà anche verso se stesso. E dato che l’uomo è difficilmente sincero e onesto, ecco che da se stesso si è creato un morso per essere obbligato ad andare per la via che ha detto. Morso che, del resto, egli, come cavallo indomito, presto si sposta modificando a suo piacere l’andare, o si leva del tutto facendo il suo comodo senza più riflessione a ciò che può ricevere di rimprovero da Dio, dagli uomini e dalla sua propria coscienza.
   Questo morso è il giuramento. Ma non è necessario il giuramento fra gli onesti, e Dio, di suo, non ve lo ha insegnato. Anzi vi ha fatto dire: “Non dire falso testimonio” senza altra aggiunta. Perché l’uomo dovrebbe essere schietto senza bisogno di altro che della fedeltà alla sua parola.
   Quando nel Deuteronomio si parla dei voti, anche dei voti che sono una cosa sorta da un cuore che si pensa fuso a Dio o per sentimento di bisogno o per sentimento di riconoscenza, è detto: “La parola uscita una volta dalle tue labbra la devi mantenere, facendo quanto hai promesso al Signore Iddio tuo, quanto di tua volontà e di tua bocca hai detto”. Sempre si parla di parola data, senza altro che la parol
   Colui che sente il bisogno di giurare è perché è già insicuro di se stesso e del concetto del prossimo a suo riguardo. E chi fa giurare testifica con quell’esigenza che diffida della sincerità e onestà del giurante. Come vedete, questa abitudine del giuramento è una conseguenza della disonestà morale dell’uomo. Ed è una vergogna per l’uomo. Doppia vergogna, perché l’uomo non è fedele neppure a questa cosa vergognosa che è il giuramento e irridendosi di Dio, con la stessa facilità con cui si irride del prossimo, giunge a spergiurare con la massima facilità e tranquillità.

 2 Vi può essere creatura più abbietta dello spergiuro? Costui, usando sovente una formula sacra, e chiamando perciò a suo complice e mallevadore Iddio, o usando l’invocazione degli affetti più cari – il padre, la madre, la moglie, i figli, i suoi morti, la sua stessa vita e i suoi organi più preziosi, invocati ad appoggio del suo bugiardo dire – induce il suo prossimo a credergli. Lo conduce perciò in inganno. E’ un sacrilego, un ladro, un traditore, un omicida. Di chi? Ma di Dio, perché mescola la Verità all’infamia della sua menzogna e lo sbeffeggia sfidandolo: “Colpiscimi, smentiscimi, se puoi. Tu sei là, io son qua e me ne rido”.
   Oh! sì! Ridete, ridete pure, o mentitori e beffeggiatori! Ma vi sarà un momento che non riderete, e sarà quando Colui a cui ogni potere è deferito vi apparirà terribile nella sua maestà e solo col suo aspetto vi farà atterriti e solo coi suoi sguardi vi fulminerà, prima, prima ancora che la sua voce vi precipiti nel vostro destino eterno marcandovi della sua maledizione.
   E’ un ladro perché si appropria di una stima che non merita. Il prossimo, scosso dal suo giurare, gliela dona, e il serpente se ne orna fingendosi ciò che non è. E’ un traditore perché col giuramento promette cose che non vuole mantenere. E’ un omicida perché, o uccide l’onore di un suo simile levandogli col falso giuramento la stima del prossimo, o uccide la sua anima, perché lo spergiuro è un abbietto peccatore agli occhi di Dio, i quali, anche se nessun altro vede la verità, la vedono. Dio non si inganna né con false parole, né con ipocrite azioni. Egli vede. Non perde per un attimo di vista ogni singolo uomo. E non vi è munita fortezza, né profonda cantina, dove non possa penetrare il suo sguardo. Anche nell’interno vostro, la fortezza singola che ogni uomo ha intorno al suo cuore, penetra Iddio. E vi giudica non per quello che giurate ma per quello che fate.

 3 Perciò Io, all’ordine che vi fu dato, quando fu messo in auge il giuramento per mettere freno alla menzogna e alla facilità di mancare alla parola data, sostituisco un altro ordine.
   Non dico come gli antichi: “Non spergiurare, ma anzi mantieni i tuoi giuramenti”, ma vi dico: “Non giurate mai”. Né per il Cielo che è trono di Dio, né per la terra che è sgabello ai suoi piedi, né per Gerusalemme e il suo Tempio che sono la città del gran Re e la casa del Signore Iddio nostro.  
   Non giurate né sulle tombe dei trapassati né sui loro spiriti. Le tombe sono piene di scorie di ciò che è inferiore nell’uomo e comune col bruto, gli spiriti lasciateli nella loro dimora. Fate che non soffrano e inorridiscano, se spiriti di giusti che già sono nella precognizione di Dio. E per quanto sia una precognizione, ossia cognizione parziale, perché fino al momento della Redenzione non possederanno Dio nella sua pienezza di splendori, non possono non soffrire del vedervi peccatori. E, se giusti non sono, non aumentate il loro tormento dall’aver ricordato col vostro il loro peccato. Lasciate, lasciate i morti santi nella pace, i morti non santi nelle loro pene. Non levate ai primi, non aggiungete ai secondi. Perché appellarsi ai morti? Non possono parlare. I santi perché la carità loro lo vieta: vi dovrebbero smentire troppe volte. I dannati perché l’Inferno non apre le sue porte e i dannati non aprono le bocche che per maledire, e ogni voce resta soffocata dall’odio di Satana e dei satana, perché i dannati satana sono.    Non giurate né sul capo del padre né su quello della madre, né su quello della sposa e degli innocenti figli. Non ne avete diritto. Sono forse una moneta o una merce? Sono una firma su una carta? Sono più e meno di queste cose. Sono sangue e carne del tuo sangue, uomo, ma sono anche creature libere e tu non le puoi usare come schiave per avallo di un tuo falso. E sono meno di una firma tua propria, perché tu sei intelligente, libero e adulto, e non un interdetto o un pargolo che non sa quello che si fa e che perciò deve essere rappresentato dai parenti. Tu sei tu, un uomo dotato di ragione, e perciò sei responsabile delle tue azioni e devi agire da te, mettendo ad avallo delle tue azioni e delle tue parole la tua onestà e la tua sincerità, la stima che hai saputo suscitare tu nel prossimo, non l’onestà, la sincerità dei parenti e la stima che essi hanno saputo suscitare. Sono responsabili i padri dei figli? Sì, ma finché sono minorenni. Dopo, ognuno è responsabile di se stesso. Non sempre da giusti nascono giusti, né una santa donna è coniugata ad un santo uomo. Perché allora usare per base di garanzia la giustizia di chi vi è congiunto? Ugualmente, da un peccatore possono nascere figli santi e, finché innocenti sono, tutti sono santi. Perché allora invocare un puro per un vostro atto impuro quale è il giuramento che si vuole poi spergiurare?
   Non giurate neppure per la vostra testa, i vostri occhi, e lingua e mani. Non ne avete diritto. Tutto quanto avete è di Dio. Voi non ne siete che i temporanei custodi, i banchieri dei tesori morali o materiali che Dio vi ha concessi. Perché usare allora di ciò che non è vostro? Potete voi aggiungere un capello al vostro capo o mutarne il colore? E se non potete fare questo, perché allora usate la vista, la parola, la libertà delle membra, per convalidare un vostro giuramento? Non sfidate Dio. Potrebbe prendervi in parola e seccare i vostri occhi come può seccare i vostri frutteti, o strapparvi i figli come può svellervi la casa, per ricordarvi che Lui è il Signore e voi i sudditi, e che è maledetto chi si idolatra al punto da ritenersi da più di Dio sfidandolo con la menzogna.

 4 Il vostro parlare sia: sì, sì; e no, no. Non di più. Il di più ve lo suggerisce il Maligno, e per ridere poi di voi che, non potendo tutto ritenere, cadete in menzogna e siete sbeffeggiati e conosciuti per mentitori. Sincerità, figli. Nella parola e nella preghiera.
   Non fate come gli ipocriti che quando pregano amano stare a pregare nelle sinagoghe o sugli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini e lodati come uomini pii e giusti mentre poi, nell’interno delle famiglie, sono colpevoli verso Dio e verso il prossimo. Non riflettete che questo è come uno spergiuro? Perché voi volete sostenere ciò che vero non è allo scopo di conquistarvi una stima che non meritate? La orazione ipocrita ha lo scopo di dire: “In verità io sono un santo. Lo giuro agli occhi di chi mi vede e che non possono mentire di vedermi pregare”. Velo steso sulla malvagità esistente, la preghiera fatta con simili scopi diviene una bestemmia.
   Lasciate che Dio vi proclami santi, e fate che tutta la vostra vita gridi per voi: “Ecco un servo di Dio”. Ma voi, ma voi, per carità di voi, tacete. Non fate della vostra lingua, mossa dalla vostra superbia, un oggetto di scandalo agli occhi degli angeli. Meglio sarebbe diveniste sull’istante muti se non avete la forza di comandare all’orgoglio e alla lingua, autoproclamandovi giusti e gradevoli a Dio. Lasciate ai superbi e ai falsi questa povera gloria! Lasciate ai superbi e ai falsi questa effimera ricompensa. Povera ricompensa! Ma è quale la vogliono, e non ne avranno altra perché più di una non se ne può avere. O quella vera, del Cielo, e che è eterna e giusta. O quella non vera, della terra, che dura quanto la vita dell’uomo e anche meno e che poi, essendo ingiusta, è pagata, oltre la vita, con una ben mortificante punizione.

 5 Udite come dovete pregare e col labbro e col lavoro e con tutto voi stessi, per impulso del cuore che ama, sì, Dio, e Padre lo sente, ma che anche sempre ricorda chi è il Creatore e che è la creatura, e sta con amore riverenziale al cospetto di Dio, sempre, sia che òri o che traffichi, sia che cammini o che riposi, sia che guadagni o che benefichi. Per impulso del cuore, ho detto. E’ la prima ed essenziale qualità. Perché tutto viene dal cuore, e come è il cuore tale è la mente, tale la parola, lo sguardo, l’azione.
   L’uomo giusto dal suo cuore di giusto trae fuori il bene, e più ne trae più ne trova, perché il bene fatto procrea novello bene, così come il sangue che si rinnovella nel circolo delle vene e torna al cuore arricchito di sempre nuovi elementi, tratti dall’ossigeno che ha assorbito e dal succo dei cibi che ha assimilato. Mentre il perverso dal suo buio cuore pieno di frode e di veleni non può che trarre frode e veleno, che sempre più si accrescono, corroborati come sono dalle colpe che si accumulano, come nel buono dalle benedizioni di Dio che si accumulano. Credete pure che è l’esuberanza del cuore quella che trabocca dalle labbra e si rivela nelle azioni.
   Voi fatevi un cuore umile e puro, amoroso, fiducioso, sincero; amate Dio col pudico amore che ha una vergine per lo sposo. In verità vi dico che ogni anima è una vergine sposata all’eterno Amatore, a Dio Signor nostro; questa terra è il tempo del fidanzamento nel quale l’angelo dato a custode di ogni uomo è lo spirituale paraninfo, e tutte le ore della vita e le contingenze della vita altrettante ancelle che preparano il corredo nuziale. L’ora della morte è l’ora delle nozze compiute e allora viene la conoscenza, l’abbraccio, la fusione, e con veste di sposa compiuta l’anima può alzare il suo velo e gettarsi nelle braccia del suo Dio senza che per amare così lo Sposo possa indurre altri allo scandalo.
   Ma per ora, o anime ancora sacrificate nel laccio del fidanzamento con Dio, quando volete parlare allo Sposo, mettetevi nella pace della vostra dimora, e soprattutto nella pace della vostra dimora interiore, e parlate, angelo di carne fiancheggiato dall’angelo custode, al Re degli angeli. Parlate al Padre vostro nel segreto del vostro cuore e della vostra stanza interiore. Lasciate fuori tutto quanto è mondo: e la smania di essere notati e quella di edificare, e gli scrupoli delle lunghe preghiere colme di parole, parole, parole e monotone, e tiepide e scialbe d’amore.

 6 Per carità! Liberatevi dalle misure nel pregare. In verità vi sono alcuni che sprecano più e più ore in un monologo ripetuto con le labbra sole, e che è un vero soliloquio perché neppur l’angelo custode lo ascolta, tanto è rumore vano che egli cerca di rimediare sprofondandosi di suo in ardente orazione per il suo stolto custodito. In verità vi sono alcuni che non userebbero quelle ore diversamente neppure se Dio apparisse loro dicendo: “La salute del mondo dipende dal tuo lasciare questa loquela senz’anima per andare, magari, semplicemente ad attingere dell’acqua ad un pozzo ed a spargere quell’acqua al suolo per amore di Me e dei tuoi simili”. In verità vi sono alcuni che credono più grande il loro monologo all’atto cortese di accogliere un visitatore o a quello caritativo di soccorrere un bisognoso. Sono animi caduti nell’idolatria della preghiera.
   La preghiera è azione d’amore. E amare si può tanto orando che facendo il pane, tanto meditando che assistendo un infermo, tanto compiendo pellegrinaggio al Tempio che accudendo alla famiglia, tanto sacrificando un agnello quanto sacrificando i nostri anche giusti desideri di raccogliersi nel Signore. Basta che uno intrida tutto se stesso e ogni sua azione nell’amore. Non abbiate paura! Il Padre vede. Il Padre comprende. Il Padre ascolta. Il Padre concede. Quante grazie non sono date anche per un solo, vero, perfetto sospiro d’amore! Quanta abbondanza per un sacrificio intimo fatto con amore. Non siate simili ai gentili. Dio non ha bisogno che gli diciate ciò che deve fare perché voi ne abbisognate. Ciò possono dirlo i pagani ai loro idoli che non possono intendere. Non voi a Dio, al vero, spirituale Iddio che non è solo Dio e Re, ma è Padre nostro e sa, prima ancora che voi glielo chiediate, di che avete bisogno.

 7 Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e verrà aperto a chi picchia. Quando un figlio vostro vi tende la manina dicendovi: “Padre, ho fame”, gli date forse un sasso? Gli date un serpente se vi chiede un pesce? No, anzi che date pane e pesce, ma inoltre date carezza e benedizione, perché è dolce ad un padre nutrire la sua creatura e vederne il sorriso felice. Se dunque voi di imperfetto cuore sapete dare buoni doni ai vostri figli solo per l’amore naturale, comune anche all’animale verso la prole, quanto più il Padre vostro che è nei Cieli concederà a coloro che gliele chiedono le cose buone e necessarie al loro bene. Non abbiate paura di chiedere e non abbiate paura di non ottenere!
   Però – ecco che Io vi metto in guardia contro un facile errore – però non fate come i deboli nella fede e nell’amore, i pagani della religione vera – perché anche fra i credenti vi sono pagani la cui povera religione è un groviglio di superstizioni e di fede, un manomesso edificio in cui si sono infiltrate erbe parassitarie d’ogni specie, al punto che esso si sgretola e cade in rovina – i quali, deboli e pagani, sentono morire la fede se non si vedono esauditi. Voi chiedete. E vi pare giusto di chiedere. Infatti per quel momento non sarebbe neanche ingiusta quella grazia.
   Ma la vita non termina in quel momento. E ciò che è bene oggi può essere non bene domani. Voi questo non lo sapete, perché voi sapete solo il presente, ed è una grazia di Dio anche questa. Ma Dio conosce anche il futuro. E molte volte per risparmiarvi una pena maggiore vi lascia non esaudita una preghiera. Nel mio anno di vita pubblica più di una volta ho sentito dei cuori gemere: “Quanto ho sofferto allora, quando Dio non mi ha ascoltato. Ma ora dico: “Fu bene così perché quella grazia mi avrebbe impedito di giungere a quest’ora di Dio”.
   Altri ho sentito dire e dirmi: “Perché, Signore, non mi esaudisci? A tutti lo fai, e a me no?”.
   E pur avendo dolore di veder soffrire, ho dovuto dire: “Non posso”, perché l’esaudirli avrebbe voluto dire mettere un intralcio al loro volo alla vita perfetta.
   Anche il Padre delle volte dice: “Non posso”. Non perché non possa compiere l’atto immediato. Ma perché non lo vuole compiere per conoscenza delle conseguenze future. Udite. Un bambino è malato alle viscere. La madre chiama il medico e il medico dice: “Per guarire occorre digiuno assoluto”. Il bambino piange, strilla, supplica, pare languire. La madre, pietosa sempre, unisce i suoi lamenti a quelli del figlio. Le pare durezza del medico quel divieto assoluto. Le pare che possa nuocere al figlio quel digiuno e quel pianto. Ma il medico resta inesorabile. Infine dice: “Donna, io so, tu non sai. Vuoi perdere tuo figlio o vuoi che io te lo salvi?”. La madre urla: “Voglio che egli viva!”. “E allora” dice il medico “io non posso concedere cibo. Sarebbe la morte”. Anche il Padre dice così, delle volte. Voi, madri pietose del vostro io, non lo volete sentire piangere per negata grazia. Ma Dio dice: “Non posso. Sarebbe il tuo male “Viene il giorno, o viene l’eternità, in cui si giunge a dire: “Grazie, mio Dio, di non avere ascoltato la mia stoltezza!”.

 8 Quanto ho detto per l’orazione dico per il digiuno. Quando digiunate non prendete un’aria melanconica come usano gli ipocriti, che ad arte si sfigurano la faccia acciò il mondo sappia e creda, anche se vero non è, che essi digiunano. Anche essi hanno già avuto, con la lode del mondo, la loro mercede e non ne avranno altra. Ma voi, quando digiunate, prendete un’aria lieta, lavatevi a più acque il volto perché appaia fresco e liscio, ungetevi la barba e profumatevi le chiome, abbiate il sorriso del ben pasciuto sulle labbra. Oh! che in verità non vi è cibo che pasca quanto l’amore! E chi fa digiuno con spirito d’amore, di amore si nutre! In verità vi dico che se anche il mondo vi dirà “vanitosi” e “pubblicani”, il Padre vostro vedrà il vostro segreto eroico e ve ne darà doppia ricompensa. E per il digiuno, e per il sacrificio di non essere lodati per esso.
   Ed ora andate a dare cibo al corpo dopo che l’anima fu nutrita. 

 9 Quei due poverelli restino con noi. Saranno gli ospiti benedetti che daranno sapore al nostro pane. La pace sia con voi».
   E i due poverelli restano. Sono una donna molto scarna e un vecchio molto vecchio. Ma non sono insieme. Il caso li ha riuniti, ed erano rimasti in un angolo avviliti, tendendo inutilmente la mano a quelli che passavano loro davanti.
   Gesù va direttamente verso di loro che non osano venire avanti e li prende per mano portandoli al centro del gruppo dei discepoli, sotto una specie di tenda che Pietro ha drizzato in un angolo e sotto la quale forse si ricoverano nella notte e si riuniscono di giorno nelle ore più calde. E una tettoia di frasche e di… mantelli. Ma serve allo scopo per quanto sia così bassa che Gesù e l’Iscariota, i due più alti, si debbano abbassare per entrarvi. 
   «Ecco il padre ed ecco una sorella. Portate quanto abbiamo. Mentre prendiamo il cibo udremo la loro storia». E personalmente Gesù serve i due vergognosi e ne ascolta la lamentosa narrazione. Solo il vecchio, dopo che la figlia è andata lontano col marito e si è dimenticata del padre. Sola la donna, dopo che la febbre le ha ucciso il marito, ed è malata per giunta. 
   «Il mondo ci sprezza perché poveri siamo» dice il vecchio.
   «Io vado elemosinando per raggranellare di che compiere la Pasqua. Ho ottant’anni. Ho sempre fatto Pasqua e può essere l’ultima questa. Ma non voglio andare in seno ad Abramo con nessun rimorso. Come perdono alla figlia così spero essere perdonato. E voglio fare la mia Pasqua».
   «Lunga è la via, padre».
   «Più lunga è quella del Cielo, se si manca al rito». 
   «Vai solo? Se ti senti male per via?».
   «Mi chiuderà le palpebre l’angelo di Dio».
   Gesù lo carezza sulla testa tremula e bianca e chiede alla donna: «E tu?».
   «Io vado cercando lavoro. Se fossi più pasciuta guarirei dalle febbri. E se fossi guarita potrei lavorare anche ai grani».
   «Credi. che solo il cibo ti guarirebbe?».
   «No. Ci sei anche Tu… Ma io sono una povera cosa, una troppo povera cosa per poter chiedere pietà». 
   «E se ti guarissi, che vorresti dopo?».
   «Nulla più. Avrei avuto già ben più di quanto possa sperare».
   Gesù sorride e le dà un pezzo di pane intinto in un poco di acqua e aceto che fa da bevanda. La donna lo mangia senza parlare e Gesù continua a sorridere.

 10 Il pasto cessa presto. Era così parco! Apostoli e discepoli vanno in cerca d’ombra per le pendici, fra i cespugli. Gesù resta sotto la tenda. Il vecchione si è messo contro la parete erbosa e dorme stanco.
   Dopo un poco la donna, che pure si era allontanata cercando ombra e riposo, viene verso Gesù che le sorride per rincuorarla. Lei viene avanti timida e pure lieta, fin quando quasi è presso la tenda, e poi la vince la gioia e fa gli ultimi passi velocemente, cadendo bocconi con un grido soffocato: «Tu mi hai guarita! Benedetto! È l’ora del grande brivido ed io non l’ho più… Oh!» e bacia i piedi di Gesù.
   «Sei sicura di essere guarita? Io non te l’ho detto. Potrebbe essere un caso… »
   «Oh! no! Ora ho compreso il tuo sorriso nel darmi quel pane. La tua virtù è entrata in me con quel boccone. Io non ho nulla da ricambiarti fuorché il mio cuore. Comanda alla tua serva, Signore, ed ella ti ubbidirà fino alla morte».
   «Sì. Vedi quel vecchio? E’ solo ed è un giusto. Tu avevi un marito e te lo levò la morte. Egli aveva una figlia e gliela levò l’egoismo. E’ peggio. Eppure non impreca. Ma non è giusto che vada solo nelle sue ultime ore. Siigli figlia».
   «Sì, mio Signore».
   «Ma guarda che vuol dire lavorare per due».
   «Sono forte, ora, e lo farò».

 11 «Vai allora là, su quel greppo, e di’ all’uomo che riposa là, a quello vestito di bigio, che venga da Me».
   La donna va sollecita e torna con Simone Zelote.
   «Vieni, Simone. Ti devo parlare. Attendi, donna».
   Gesù si allontana qualche metro.
   «Pensi che Lazzaro avrebbe difficoltà ad accogliere una lavoratrice di più?».
   «Lazzaro? Ma io credo che non sappia neppure quanti sono i suoi servi! Uno più, uno meno!… Ma chi è?».
   «Quella donna. L’ho guarita e…».
   «Basta Maestro, se Tu l’hai sanata è segno che l’ami. Ciò che Tu ami è sacro a Lazzaro, mi impegno per lui».
   «E’ vero. Ciò che Io amo è sacro a Lazzaro. Hai detto bene. E per questo Lazzaro diventerà santo, perché amando ciò che Io amo amerà la perfezione. Voglio unire quel vecchio a quella donna e far fare l’ultima sua Pasqua in letizia a quel patriarca. Voglio molto bene Io ai vecchi santi, e se posso dar loro tramonto sereno sono felice».
   «Vuoi bene anche ai bambini… »
   «Sì, e ai malati… »
   «E a quelli che piangono… »
   «E a quelli che sono soli… »
   «Oh! mio Maestro! Ma non ti accorgi di volere bene a tutti? Anche ai tuoi nemici?».
   «Non me ne accorgo, Simone. Amare è la mia natura. Ecco che il patriarca si sveglia. Andiamo a dirgli che farà la Pasqua con una figlia vicino e senza più bisogno del pane».    Tornano alla tenda dove la donna li attende e vanno tutti e tre dal vecchio che si è seduto e si riallaccia i sandali.
   «Che fai, padre?».
   «Scendo a valle. Spero trovare un ricovero per la notte, e domani mendicherò sulla via, e poi giù, giù, giù, fra un mese, se non muoio, sarò al Tempio».
   «No».
   «Non devo? Perché?».
   «Perché il buon Dio non vuole. Non andrai solo. Questa verrà con te. Ti condurrà dove Io dirò e sarete accolti per amor mio. Farai la tua Pasqua, ma senza fatica. La tua croce l’hai già portata, padre. Posala adesso. E raccogliti solo in orazione di grazie al buon Dio».
   «Ma perché… ma perché… io… io non merito tanto… Tu… una figlia… Più che se mi donassi vent’anni… E dove, dove mi mandi?…» Il vecchio piange fra il cespuglio del suo barbone.
   «Da Lazzaro di Teofilo. Non so se lo conosci».
   «Oh!… io sono dei confini della Siria e ricordo Teofilo. Ma… ma… oh! Figlio benedetto di Dio, lascia che io ti benedica!».
   E Gesù, seduto come è sull’erba, di fronte al vecchione, veramente si curva per lasciare che lo stesso gli imponga, solenne, le mani sul capo, tuonando, con la sua voce cavernosa di vegliardo, l’antica benedizione: «Il Signore ti benedica e custodisca. Il Signore ti mostri la sua faccia e abbia di te misericordia. Il Signore volga a te il suo volto e ti dia la sua pace».
   E Gesù, Simone e la donna rispondono insieme: «E così sia».

   Cap. CLXXIII. Quinto discorso della Montagna: l’uso delle ricchezze, l’elemosina, la fiducia in Dio.

  27 maggio 1945

 1 Lo stesso discorso della Montagna.
   La folla aumenta sempre, più i giorni passano. Vi sono uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi, poveri. E sempre presente la coppia Stefano-Erma, per quanto ancora non aggregata e fusa ai vecchi discepoli capitanati da Isacco. E ancora vi è la nuova coppia, costituita ieri, del vecchione e della donna. Sono ben davanti, vicino al loro Consolatore, e i loro aspetti sono molto più sollevati di ieri. Il vecchio, quasi per rifarsi dei molti mesi o anni che fu trascurato dalla figlia, ha messo la sua mano rugosa sulle ginocchia della donna, e questa gliela carezza per quel bisogno innato della donna, moralmente sana, di essere materna.
   Gesù passa loro vicino per salire al suo rustico pulpito e nel passare carezza la testa del vecchione, che lo guarda come lo vedesse già in veste di Dio. Pietro dice qualcosa a Gesù, che gli fa un cenno come dire: «Non importa». Ma non capisco quello che dice l’apostolo, che però resta vicino a Gesù e al quale si uniscono poi Giuda Taddeo e Matteo. Gli altri si perdono fra la moltitudine.

 2 «La pace sia con tutti voi!
   Ieri ho parlato della preghiera, del giuramento, del digiuno. Oggi vi voglio istruire su altre perfezioni. Sono anche esse preghiera, fiducia, sincerità, amore, religione.
   La prima di cui parlo è il giusto uso delle ricchezze, mutate, per buona volontà del servo fedele, in altrettanti tesori del Cielo. I tesori della terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni. Avete in voi l’amore a ciò che è vostro? Vi fa pena il morire perché non potete più curare i vostri beni e li dovete lasciare? E allora trasponeteli in Cielo! Voi dite: “Nel Cielo non entra ciò che è della terra e Tu insegni che il denaro è la cosa più lurida della terra. Come possiamo allora trasportarlo in Cielo? “. No. Non potete portare le monete, materiali quali sono, nel Regno dove tutto è spirito. Ma potete portare il frutto delle monete.
   Quando voi date ad un banchiere il vostro oro, perché lo date? Perché lo faccia fruttare. Non ve ne private certo, sebbene momentaneamente, perché egli ve lo renda tal quale. Ma volete che su dieci talenti egli ve ne renda dieci più uno, o più ancora. Allora siete felici e lodate il banchiere. Altrimenti dite: “Costui è un onesto, ma è uno sciocco”. E se poi, invece dei dieci più uno, ve ne dà nove dicendo: “Ho perduto il resto”, voi lo denunciate e lo gettate in prigione. Cosa è il frutto del denaro? Semina forse il banchiere i vostri denari e li annaffia per farli crescere? No. Il frutto è dato da un accorto maneggio di affari, di modo che, e con ipoteche e con prestiti a interesse, il denaro si aumenti dell’aggio giustamente richiesto per il favore dell’oro prestato. Non è così?
   Ora dunque udite. Dio vi dà le ricchezze terrene. A quali molte, a quali appena quante necessitano al vivere, e vi dice: “Ora a te. Io te le ho date. Fai di questi mezzi un fine quale il mio amore lo desidera per tuo bene. Io te le affido. Ma non perché tu te ne faccia un male. Per la stima che ho in te, per riconoscenza dei miei doni, tu fa’ fruttare, e per questa vera Patria, i tuoi beni.

 3 Ed ecco il metodo per giungere a questo fine.
   Non vogliate accumulare i vostri tesori sulla terra, vivendo per essi, essendo crudeli per essi, essendo maledetti dal prossimo e da Dio per essi. Non merita. Sono sempre insicuri quaggiù. I ladri possono sempre derubarvi. Il fuoco può distruggervi le case. Le malattie delle piante o delle mandre sterminarvi greggi e frutteti. Quante cose insidiano i beni! Siano essi immobili e inattaccabili, come le case e l’oro; o siano soggetti ad essere lesi nella loro natura, come tutto quanto vive, come sono i vegetali e gli animali; e persino siano le stoffe preziose, possono essere soggetti a menomazione. Il fulmine sulle case, e le fiamme e le acque; e i ladri, la ruggine, la siccità, i roditori, gli insetti sui campi; il capostorno, le febbri, le scosciature, le morve negli animali; le tignole e i topi nelle stoffe preziose e nei mobili pregiati; l’erosione delle ossidazioni nei vasellami, e lumiere, e cancelli artistici; tutto, tutto è soggetto a menomazione.
   Ma se voi di tutto questo bene terreno fate un bene soprannaturale, ecco che esso è salvo da ogni lesione del tempo, degli uomini e delle intemperie. Fatevi delle borse in Cielo, là dove non entrano ladri e dove non accadono sventure. Lavorate con l’amore misericordioso verso tutte le miserie della terra. Accarezzate, sì, le vostre monete, baciatele anche, se volete, giubilate per le messi che prosperano, per i vigneti carichi di grappoli, per gli ulivi che si piegano sotto il peso di infinite ulive, per le pecore dal fecondo seno e dalle turgide mammelle. Fate tutto ciò. Ma non sterilmente. Non umanamente. Fatelo con amore e ammirazione, con godimento e calcolo soprannaturale.
   “Grazie, mio Dio, di questa moneta, di queste messi, di queste piante, di queste pecore, di questi commerci! Grazie, pecore, piante, prati, commerci, che mi servite così bene. Siate benedetti tutti, perché per tua bontà, o Eterno, e per vostra bontà, o cose, ecco che io posso fare tanto bene a chi ha fame, a chi è ignudo, senza tetto, malato, solo… Lo scorso anno feci per dieci. Quest’anno – poiché, per quanto io abbia dato molto in elemosina, ho maggior denaro e più pingui sono i raccolti e numerosi i greggi – ecco che io darò due, tre volte, quanto diedi lo scorso anno. Perché tutti, anche i derelitti di ogni bene loro proprio, godano della mia gioia e benedicano, con me, Te, Signore eterno”. Ecco la preghiera del giusto. Quella preghiera che, unita all’azione, trasporta i vostri beni in Cielo, e non solo ve li conserva eternamente, ma ve li fa trovare aumentati dei frutti santi dell’amore.
   Abbiate il vostro tesoro in Cielo per avere là il vostro cuore al disopra e al di là del pericolo che non solo l’oro, le case, i campi, le greggi possano subire sventura, ma che sia insidiato il vostro stesso cuore e derubato, corroso, bruciato, ucciso dallo spirito del mondo. Se così farete avrete il vostro tesoro nel vostro cuore perché avrete Dio in voi fino al giorno beato in cui voi sarete in Lui.

 4 Però, per non diminuire il frutto della carità, badate di essere caritatevoli con spirito soprannaturale. Come ho detto per la preghiera e il digiuno, così dico per la beneficenza e di ogni altra opera buona che possiate fare. Conservate il bene che fate dalla violazione del senso del mondo, conservatelo vergine da umana lode.
   Non profanate la rosa profumata, vero incensiere di profumi grati al Signore, della vostra carità e del vostro agire buono. Profana il bene lo spirito di superbia, il desiderio di esser notati nel fare il bene e la ricerca della lode. La rosa della carità allora viene sbavata e corrosa dai lumaconi viscidi dell’orgoglio soddisfatto, e nell’incensiere cadono fetide paglie della lettiera su cui il superbo si crogiola come bestia ben pasciuta.
   Oh! quelle beneficenze fatte per esser citati! Ma meglio, meglio non farle affatto! Chi non fa pecca di durezza. Chi fa, facendo conoscere e la somma data e il nome di chi l’ha avuta, e mendicando la lode, pecca di superbia col rendere nota l’offerta, ossia dice: “Vedete quanto io posso?”, pecca di anticarità perché mortifica il beneficato col rendere noto il suo nome, pecca di avarizia spirituale volendo accumulare lodi umane… Paglie, paglie, non di più che paglie. Fate che vi lodi Dio coi suoi angeli.
   Voi, quando fate elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l’attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti, che vogliono l’applauso degli uomini e perciò fanno elemosina solo là dove possono essere visti da molti. Anche questi hanno già avuto la loro mercede e non ne avranno altra da Dio. Voi non incorrete nella stessa colpa e nella stessa presunzione. Ma quando fate elemosina non sappia la vostra sinistra quel che fa la destra, tanto nascosta e pudica è la vostra elemosina, e poi dimenticatevene. Non state a rimirarvi l’atto compiuto, gonfiandovi di esso come fa il rospo, che si rimira coi suoi occhi velati nello stagno e che, posto che vede riflessi nell’acqua ferma le nuvole, gli alberi, il carro fermo presso la riva, e vede lui così piccino rispetto a quelli così grossi, si empie d’aria fino a scoppiare. Anche la vostra carità è un nulla rispetto all’Infinito che è la Carità di Dio, e se voleste divenire simili a Lui e rendere la vostra carità piccina, grossa, grossa, grossa per uguagliare la sua, vi empireste di vento d’orgoglio e finireste per perire.   
 Dimenticatevene. Dell’atto in se stesso dimenticatevene. Vi resterà sempre presente una luce, una voce, un miele, e vi farà luminoso il giorno, dolce il giorno, beato il giorno. Perché quella luce sarà il sorriso di Dio, quel miele la pace spirituale che è ancora Dio, quella voce la voce del Padre-Dio che vi dirà: “Grazie”. Egli vede il male occulto e vede il bene nascosto, e ve ne darà ricompensa. Io ve lo… »

 5 «Maestro, Tu menti alle tue parole!».
   L’insulto, astioso e improvviso, viene dal centro della folla. Tutti si volgono in direzione della voce. Vi è della confusione.
   Pietro dice: «Te lo avevo detto! Eh! quando c’è uno di quelli lì… non va più bene niente!». 
   Fra la folla partono fischi e mormorii verso l’insultatore. Gesù è il solo che resti calmo. Ha incrociato le braccia sul petto e sta alto, col sole in fronte, ritto sul suo masso, nel suo abito azzurro cupo. L’insultatore continua, incurante della reazione della folla: «Sei un cattivo maestro perché insegni ciò che non fai e…». 
   «Taci! Va’ via! Vergognati!» urla la folla. E ancora: «Vai dai tuoi scribi! A noi ci basta il Maestro. Gli ipocriti con gli ipocriti! Falsi maestri! Strozzini!…» e continuerebbero, ma Gesù tuona: «Silenzio! Lasciatelo parlare» e la gente non urla più, ma bisbiglia i suoi improperi conditi da occhiate feroci. 
   «Sì. Tu insegni ciò che non fai. Dici che si deve fare elemosina senza essere visti e ieri, alla presenza di tutto un popolo, hai detto a due poveri: “Rimanete e vi sfamerò»
   «Ho detto: “Rimangano i due poverelli. Saranno gli ospiti benedetti e daranno sapore al nostro pane”. Non di più. Non ho significato di volerli sfamare. Quale è quel povero che almeno non ha un pane? La gioia era dì dar loro amicizia buona». 
   «Eh! già! Sei astuto e sai fare l’agnello!…». 
   Il vecchione si alza, si volta e alzando il suo bastone grida: «Lingua infernale che accusi il Santo, credi forse di sapere tutto e di potere accusare per ciò che sai? Come ignori chi è Dio e chi è Colui che tu insulti, così ignori le sue azioni. Solo gli angeli e il mio cuore giubilante lo sanno. Udite, uomini, udite tutti, e sappiate se Gesù è il mentitore e il superbo che questo avanzo del Tempio vuol dire. Egli…»
   «Taci, Ismaele! Taci per amor mio! Se ti ho fatto felice, fammi felice tacendo» lo prega Gesù.
   «Ti ubbidisco, Figlio santo. Ma lasciami dire questo solo: la benedizione del vecchio israelita fedele è su di Lui che mi ha beneficato da Dio, e Dio l’ha messa sulle mie labbra per me e per Sara, mia figlia novella. Ma sul tuo capo non sarà benedizione. Io non ti maledico. Non sporco la mia bocca, che deve dire a Dio: “Accoglimi”, con una maledizione. Non l’ho avuta neppure per chi mi ha rinnegato, e già ne ho ricompensa divina. Ma ci sarà chi fa le veci dell’Innocente accusato e di Ismaele, amico di Dio che lo benefica».
   Un coro di urli fa chiusa al discorso del vecchio che si siede di nuovo, e un uomo se la svigna e se ne va, inseguito da improperi. E poi la folla grida a Gesù: «Continua, continua, Maestro santo! Noi non ascoltiamo che Te, e Tu ascolta noi. Non quei corvi maledetti! E’ gelosia la loro. Perché ti amiamo più di loro! Ma in Te è santità, in loro cattiveria. Parla, parla! Vedi che non ci punge più altro desiderio che la tua parola. Case, commerci? Nulla per udire Te!». 
   «Sì, parlo. Ma non ve la prendete. Pregate per quegl’infelici. Perdonate come Io perdono. Perché se perdonerete agli uomini i loro falli, anche il vostro Padre dei Cieli vi perdonerà i vostri peccati. Ma se avrete rancore e non perdonerete agli uomini, nemmeno il Padre vostro vi perdonerà le vostre mancanze. E tutti hanno bisogno di perdono.

 6 Vi dicevo che Dio vi darà ricompensa anche se voi non gli chiedete premio per il bene fatto. Ma voi non fate il bene per avere ricompensa, per avere una mallevadoria per il domani. Non fate il bene misurato e trattenuto dalla tema: “E poi, per me, ne avrò ancora? E se non avrò più nulla chi mi aiuterà? Troverò chi mi fa ciò che ho fatto? E quando non potrò più dare, sarò ancora amato? “.
   Guardate: Io ho amici potenti fra i ricchi e amici fra i miseri della terra. E in verità vi dico che non sono gli amici potenti i più amati. Vado da quelli non per amore di Me e per mio utile. Ma perché da essi posso avere molto per chi non ha nulla. Io sono povero. Non ho nulla. Vorrei avere tutti i tesori del mondo e mutarli in pane per chi ha fame, in tetto per chi è senza tetto, in vesti per chi è ignudo, in medicine per chi è malato. Voi direte: “Tu puoi guarire”. Sì. Questo ed altro posso. Ma non sempre è la fede negli altri, ed Io non posso fare ciò che farei e che vorrei fare se trovassi della fede nei cuori per Me. Io vorrei beneficare anche questi che non hanno fede. E posto che non chiedono il miracolo al Figlio dell’uomo vorrei, da uomo ad uomo, dar loro soccorso. Ma non ho nulla. Per questo Io tendo la mano a chi ha e chiedo: “Fammi la carità, in nome di Dio”. Ecco perché Io ho amicizie in alto. Domani, quando Io non sarò più sulla terra, ancora vi saranno i poveri, ed Io non ci sarò né a compiere miracolo per chi ha fede, né a fare elemosina per portare alla fede. Ma allora i miei amici ricchi avranno imparato, al mio contatto, come si fa a beneficare, e i miei apostoli avranno, pure dal mio contatto, imparato a elemosinare per amore dei fratelli. E i poveri avranno sempre un soccorso.
   Ebbene, ieri Io, da uno che non ha nulla, ho avuto più di quanto mi hanno dato tutti coloro che hanno. E un amico povero quanto Me. Ma mi ha dato una cosa che non si compera con nessuna moneta e che mi ha fatto felice, riportandomi tante ore serene della mia fanciullezza e giovinezza, quando ogni sera sul mio capo si imponevano le mani del Giusto ed Io andavo al riposo con la sua benedizione per custode del mio sonno. Ieri questo mio amico povero mi ha fatto re con la sua benedizione. Vedete che ciò che lui mi ha dato nessuno dei miei amici ricchi me l’ha mai dato. Perciò non temete. Anche se non avrete più potenza di denaro, solo che abbiate amore e santità, potrete beneficare chi è povero, stanco o afflitto.

 7 E perciò vi dico: non siate troppo solleciti per tema di avere poco. Avrete sempre il necessario. Non siate troppo preoccupati pensando al futuro. Nessuno sa quanto futuro ha ancora davanti. Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita, né di che vi vestirete per tenere caldo il vostro corpo. La vita del vostro spirito è ben più preziosa del ventre e delle membra, vale molto più del cibo e del vestito, così come la vita materiale è più del cibo e il corpo più della veste. E il Padre vostro lo sa. Sappiatelo dunque anche voi. Guardate gli uccelli dell’aria: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, eppure non muoiono di fame perché il Padre celeste li nutre. Voi uomini, creature predilette del Padre, valete molto più di loro.
   Chi di voi, con tutto il suo ingegno, può aggiungere alla sua statura un sol cubito? Se non riuscite ad alzare la vostra statura neppure di un palmo, come potete pensare di mutare le vostre condizioni future, aumentando le vostre ricchezze per garantirvi una lunga e prospera vecchiaia? Potete dire alla morte: “Tu mi verrai a prendere quando io vorrò”? Non potete. A che, allora, preoccuparvi del domani? E perché avere tanta pena per tema dì rimanere senza vesti? Guardate come crescono i gigli del campo: non faticano, non filano, non vanno dai venditori di panni a fare acquisti. Eppure vi assicuro che nemmeno Salomone con tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di loro. Ora se Dio riveste così l’erba del campo, che oggi è e domani serve a scaldare il forno o a pasturare il gregge e finisce in cenere o in sterco, quanto più provvederà voi, figli suoi.
   Non siate gente di poca fede. Non vi angosciate per un futuro incerto, dicendo: “Quando sarò vecchio come mangerò? Che berrò? Come mi vestirò?”. Queste preoccupazioni lasciatele ai gentili che non hanno l’alata certezza della paternità divina. Voi l’avete e sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui. Cercate prima le cose veramente necessarie: la fede, la bontà, la carità, l’umiltà, la misericordia, la purezza, la giustizia, la mansuetudine, le tre e le quattro virtù principali, e tutte, tutte le altre ancora, dì modo da essere amici di Dio e di avere diritto al suo Regno. E vi assicuro che tutto il resto vi sarà dato per giunta senza che neppure lo chiedìate. Non vi è ricco più ricco del santo, e sicuro più sicuro di esso. Dio è col santo. Il santo è con Dio. Per il suo corpo non chiede, e Dio lo provvede del necessario. Ma lavora per il suo spirito, ed a questo Dio dà Se stesso, qui, e il Paradiso oltre la vita.
   Non mettetevi dunque in pena per ciò che non merita la vostra pena. Affliggetevi di essere imperfetti, non di essere scarsi di beni terreni. Non crucciatevi per il domani. Il domani penserà a se stesso, e voi ad esso penserete quando lo vivrete. Perché pensarvi da oggi? Non è già abbastanza piena dei ricordi penosi di ieri, e dei pensieri crucciosi di oggi, la vita, per sentire bisogno di mettervi anche gli incubi dei “che sarà?” del domani? Lasciate ad ogni giorno il suo affanno! Ve ne saranno sempre più di quante ne vorremmo di pene nella vita, senza aggiungere pene presenti a pene future! Dite sempre la grande parola di Dio: “Oggi”. Siete suoi figli, creati secondo la sua somiglianza. Dite dunque con Lui: “Oggi”.
   E oggi Io vi do la mia benedizione. Vi accompagni fino all’inizio del nuovo oggi, di domani, ossia di quando vi darò nuovamente la pace in nome di Dio».

   Cap. CCIII. La preghiera del ‘Padre nostro’.

  28 giugno 1945.

 1 Gesù esce con i suoi da una casa prossima alle mura e credo sempre nel rione di Bezeta, perché per uscire dalle mura si deve ancora passare davanti alla casa di Giuseppe, che è presso la porta che ho sentito definire ‘di Erode’. La città è semideserta nella sera placida e lunare. Comprendo che è stata consumata la Pasqua in una delle case di Lazzaro, che però non è per nulla la casa del Cenacolo. Questa è proprio agli antipodi di quella. Una a nord, l’altra a sud di Gerusalemme.
   Sulla porta di casa Gesù si accomiata, col suo garbo gentile, da Giovanni di Endor, che Egli lascia a custodia delle donne e che ringrazia per questa custodia. Bacia Marjziam, che è venuto anche lui sulla porta e poi si avvia fuori della porta detta di Erode.
   «Dove andiamo, Signore?».
   «Venite con Me. Vi porto a coronare con una perla rara e desiderata la Pasqua. Per questo ho voluto stare con voi soli. I miei apostoli! Grazie, amici, del vostro grande amore per Me. Se poteste vedere come esso mi consola, voi restereste stupiti. Vedete, Io procedo fra continui attriti e delusioni. Delusioni per voi. Per Me, persuadetevene, non ho nessuna delusione, non essendomi concesso il dono di ignorare… Anche per questo vi consiglio a lasciarvi guidare da Me. Se Io permetto questo o quello, non ostacolatelo. Se Io non intervengo a porre fine ad una cosa, non pensatevi di farlo voi. Ogni cosa a suo tempo. Abbiate  fiducia in Me, su tutto».
   Sono all’angolo nord-est della cerchia delle mura; le girano e costeggiano il monte Moria fino al punto in cui, per un ponticello, possono valicare il Cedron.
   «Andiamo al Getsemani?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «No. Più su. Sul Monte degli Ulivi».
   «Oh! sarà bello!» dice Giovanni.
   «Sarebbe piaciuto anche al bambino», mormora Pietro.
   «Oh! ci verrà molte altre volte! Era stanco. Ed è bambino. Io voglio darvi una grande cosa, perché ormai è giusto che voi l’abbiate».

 2 Salgono fra gli ulivi, lasciando alla loro destra il Getsemani e elevandosi ancora, su per il monte, sino a raggiungerne la cresta su cui gli ulivi fanno un pettine frusciante.
   Gesù si ferma e dice: «Sostiamo… Miei cari, cari tanto, discepoli miei e miei continuatori in futuro, venite a Me vicino. Un giorno, e non uno solo, voi mi avete detto: “Insegnaci a pregare come Tu preghi. Insegnaci come Giovanni lo insegnò ai suoi, acciò noi discepoli si possa pregare con le stesse parole del Maestro”. Ed Io vi ho sempre risposto: “Vi farò questo quando vedrò in voi un minimo di preparazione sufficiente, acciò la preghiera non sia formula vana di parole umane, ma vera conversazione col Padre”. A questo siamo giunti. Voi siete possessori di quanto basta per poter conoscere le parole degne di essere dette a Dio. E ve le voglio insegnare questa sera, nella pace e nell’amore che è tra noi, nella pace e nell’amore di Dio e con Dio, perché noi abbiamo ubbidito al precetto pasquale, da veri israeliti, e al comando divino sulla carità verso Dio e verso il prossimo.

 3 Uno fra voi ha molto sofferto in questi giorni. Sofferto per un atto immeritato, e sofferto per lo sforzo fatto su se stesso per contenere lo sdegno che quell’atto aveva eccitato. Sì, Simone di Giona, vieni qui. Non c’è stato un fremito nel tuo cuore onesto che mi sia stato ignoto, e non c’è stata pena che Io non abbia condivisa con te. Io e i tuoi compagni…».
   «Ma Tu, Signore, sei stato ben più offeso di me! E questa era per me una sofferenza più… più grande, no, più sensibile… neppure.. più… più… Ecco: che Giuda abbia avuto schifo di partecipare alla mia festa mi ha fatto male come uomo. Ma di vedere che Tu eri addolorato e offeso mi ha fatto male in un altro modo e ne ho sofferto il doppio… Io… non mi voglio vantare e fare bello usando le tue parole… Ma devo dire, e se faccio superbia dimmelo Tu, devo dire che ho sofferto con la mia anima… e fa più male».
   «Non è superbia, Simone. Hai sofferto spiritualmente perché Simone di Giona, pescatore di Galilea, si sta mutando in Pietro di Gesù, Maestro dello spirito, per cui anche i suoi discepoli divengono attivi e sapienti nello spirito. E’ per questo tuo progredire nella vita dello spirito, è per questo vostro progredire che Io vi voglio questa sera insegnare l’orazione. Quanto siete mutati dalla sosta solitaria in poi!».
   «Tutti, Signore?» chiede Bartolomeo un poco incredulo.
   «Comprendo ciò che vuoi dire… Ma Io parlo a voi undici. Non ad altri…».
   «Ma che ha Giuda di Simone, Maestro? Noi non lo comprendiamo più… Pareva tanto cambiato, e ora, da quando abbiamo lasciato il lago…», dice desolato Andrea.
   «Taci, fratello. La chiave del mistero ce l’ho io! Ci si è attaccato un pezzettino di Belzebù. E’ andato a cercarlo nella caverna di Endor per stupire e… ed è stato servito! Il Maestro lo ha detto quel giorno… A Gamala i diavoli sono entrati nei porci. A Endor i diavoli, usciti da quel disgraziato di Giovanni, sono entrati in lui… Si capisce che… si capisce… Lasciamelo dire, Maestro! Tanto è qui, in gola, e se non lo dico non esce, e mi ci avveleno…».
   «Simone, sii buono!».
   «Sì, Maestro… e ti assicuro che non farò sgarbi a lui. Ma dico e penso che essendo Giuda un vizioso – tutti lo abbiamo capito – è un poco affine al porco… e si capisce che i demoni scelgono volentieri i porci per i loro… cambi di dimora. Ecco, l’ho detto».
   «Tu dici che è così?», chiede Giacomo di Zebedeo.
   «E che vuoi che altro sia? Non c’è stata nessuna ragione per diventare così intrattabile. Peggio che all’Acqua Speciosa! E là potevo pensare che era il luogo e la stagione che lo innervosivano. Ma ora…».

 4 «C’è un’altra ragione, Simone…».
   «Dilla, Maestro. Sono contento di ricredermi sul compagno».
   «Giuda è geloso. E’ inquieto per gelosia».
   «Geloso? Di chi? Non ha moglie, e se anche l’avesse, e fosse con le donne, io credo che nessuno di noi userebbe spregio al condiscepolo…».
   «E’ geloso di Me. Considera: Giuda si è alterato dopo Endor e dopo Esdrelon. Ossia quando ha visto che Io mi sono occupato di Giovanni e di Jabé. Ma ora che Giovanni, soprattutto Giovanni, verrà allontanato passando da Me a Isacco, vedrai che torna allegro e buono».
   «E… bene! Non mi vorrai però dire che non è preso da un demonietto. E soprattutto… No, lo dico! E soprattutto non mi vorrai dire che si è migliorato in questi mesi. Ero geloso anche io l’anno scorso… Non avrei voluto nessuno più di noi sei, i primi sei, ricordi? Ora, ora… lasciami invocare Dio una volta tanto a testimonio del mio pensiero. Ora dico che sono felice più aumentano i discepoli intorno a Te. Oh! vorrei avere tutti gli uomini e portarli a Te e tutti i mezzi per poter sovvenire chi ne ha bisogno, perché la miseria non sia a nessuno di ostacolo per venire a Te. Dio vede se dico il vero. Ma perché sono così ora? Perché mi sono lasciato cambiare da Te. Lui… non è cambiato. Anzi… Va’ là, Maestro… Un demonietto lo ha preso…».
   «Non lo dire. Non lo pensare. Prega perché guarisca. La gelosia è una malattia…».
   «Che al tuo fianco guarisce se uno lo vuole. Ah! lo sopporterò, per Te… Ma che fatica!…».
   «Ti ho dato un premio per essa: il bambino. E ora ti insegno a pregare…».
   «Oh! sì, fratello. Parliamo di questo… e il mio omonimo sia ricordato solo come uno che ha bisogno di questo. Mi pare che ha già il suo castigo. Non è con noi in quest’ora!», dice Giuda Taddeo.

 5 «Udite. Quando pregate dite così: “Padre nostro che sei nei Cieli sia santificato il Nome tuo, venga il Regno tuo in terra come lo è in Cielo, e in terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua. Dàcci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.»
   Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imitato, attenti, commossi.
   «Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d’oro tutto quanto abbisogna all’uomo per lo spirito e per la carne e per il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi.  E se farete ciò che chiedete, acquisterete la vita eterna. E’ una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l’intaccheranno. Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la terra, l’unica vera Chiesa. Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo. Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera. Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa preghiera e una chiesa  aperta nel suo cuore per questa preghiera. Avrebbe una regola e una santificazione sicura.

 6 “Padre nostro”.
Io lo chiamo: “Padre”. Padre è del Verbo, Padre è dell’Incarnato. Così voglio lo chiamiate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete. 
Un tempo era che l’uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spavento: “Dio!” Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante… Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli occhi  dei fedeli. Separazioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: “Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re”.
   Ma ora!… Alzatevi! Accostatevi! Io sono il Sacerdote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: “Venite”. Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l’inaccessibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiuso per la Colpa, sì. Ma ancor più serrato dall’avvilito pensiero degli uomini. Perché chiuso se Dio è Amore, se Dio è Padre? Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell’azzurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di figli sul cuore di Dio.
   “Padre! Padre!” dite. E non stancatevi di dire questa parola. Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fareste già orazione gradita al Signore. “Padre! Padre mio!” dicono i piccoli al padre loro. E’ la parola che dicono per prima: “Madre, padre”. Voi siete i pargoli di Dio. Io vi ho generati dal vecchio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l’uomo nuovo, il cristiano. Chiamate dunque, con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre Santissimo che è nei Cieli.

 7 “Sia santificato il Tuo Nome”.
   Oh! Nome più di ogni altro santo e soave. Nome che il terrore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. E’ Dio. E’ il Dio che in un eccesso di amore ha creato l’Umanità. L’Umanità, d’ora in poi, con le labbra mondate dal lavacro che Io preparo, lo chiami col suo Nome, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Esso, l’Umanità, nei suoi figli migliori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.

 8 “Venga il Regno tuo in terra come in Cielo”.
   Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sarebbe la gioia sulla terra, se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, faticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la terra uno specchio che riflette nei singoli la vita dei Cieli. Verrà. Un giorno tutto questo verrà. Secoli e secoli di lacrime e sangue, di errori, di persecuzioni, di caligine rotta da sprazzi di luce irraggianti dal Faro mistico della mia Chiesa – che, se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni maroso, e alta terrà la Luce, la mia Luce, la Luce di Dio – precederanno il momento in cui la terra possederà il Regno di Dio. E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisurato dei giardini eterei, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma venire verrà. E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo.

 9 “E in terra come in Cielo sia fatta la sua Volontà”.
   L’annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura. L’annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il possesso delle teologali virtù in forma eroica. In Cielo, dove tutto è senza difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.

 10 “Dacci il nostro pane quotidiano”.
   Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La beatitudine sarà vostro cibo. Ma qui ancora abbisognate di pane. E siete pargoli di Dio. Giusto dunque dire. “Padre, dacci il pane”. Avete timore di non essere ascoltati? Oh! no! Considerate. Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia, va ad esso dicendo: “Amico, prestami tre pani perché m’è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare”, può mai sentirsi rispondere dal di dentro  della casa: “Non mi dare noia perché ho già chiuso l’uscio e assicurati i battenti e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi”? No. Se egli si è rivolto ad un vero  amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L’avrebbe anche se colui che a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. Lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal favore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dargliene quanti ne vuole.
   Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della terra, ma vi rivolgete all’Amico perfetto che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto”. Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta. Chi fra i figli degli uomini si vede porre in mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un serpente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole. Già l’ho detto e lo ripeto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia. Come dunque uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà il vostro Dio ciò che chiedete! Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pane al Padre.

 11 “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
   Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche i debiti morali. E’ debito materiale la moneta o la merce che avuta in prestito va restituita. E’ debito morale la stima carpita e non resa e l’amore voluto e non dato. E’ debito spirituale l’ubbidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l’amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esigono tante cose. L’egoista vuole avere e non dà. Ma l’egoista è agli antipodi del Cielo. Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al parente, da questo all’amico, dall’amico al prossimo, dal prossimo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi. Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giustizia, condonare il debito dell’uomo a Lui Santissimo se l’uomo non perdona al suo simile.

 12 “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.
   L’uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è meno di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”. Eravamo noi due soli… e ho risposto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà  compiuto.
   Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l’umiltà! Conoscersi per quello che si é! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: “Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dàmmi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi”. Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno.

 13 Ho detto, miei diletti. Questa è la mia seconda Pasqua fra voi. Lo scorso anno spezzammo soltanto il pane e l’agnello. Quest’anno vi dono la preghiera. Altri doni avrò per le altre mie Pasque fra voi, acciò, quando Io sarò andato dove il Padre vuole, voi abbiate un ricordo di Me, Agnello, in ogni festa dell’agnello mosaico.
   Alzatevi e andiamo. Rientreremo in città all’aurora. Anzi, domani tu, Simone, e tu, fratello mio (indica Giuda), andrete a prendere le donne e il bambino. Tu, Simone di Giona, e voi altri, starete con Me finché costoro tornano. Poi andremo insieme a Betania».
   E scendono fino al Getsemani nella cui casa entrano per il riposo.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

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