Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro».
Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Cap. DVII. La grande disputa con i Giudei e fuga dal Tempio con l’aiuto del levita Zaccaria.
30 settembre 1946
1 Gesù entra nel Tempio con apostoli e discepoli. E alcuni apostoli, e non soltanto apostoli, gli fanno osservare che è imprudente farlo. Ma Egli risponde: «Con quale diritto potrebbero negarmi di entrarvi? Sono forse condan-nato? No, per ora ancora non lo sono. Salgo dunque all’altare di Dio come ogni israelita che teme il Signore».
«Ma Tu hai intenzione di parlare…».
«E non è questo il luogo dove solitamente si adunano i rabbi per parlare? Essere fuori di qui per parlare e ammaestrare è l’eccezione, e può rappresentare il riposo preso da un rabbi, o una necessità personale. Ma il luogo dove ognuno ama tenere scuola ai discepoli è questo. Non vedete intorno ai rabbi gente di ogni nazionalità, che si accosta a sentire almeno una volta i celebri rabbi? Se non altro per poter dire, tornando al paese natio: “Abbiamo sentito un maestro o un filosofo parlare secondo il modo d’Israele”. Maestro, per quelli che già sono o tendono d’essere ebrei; filosofo, per i gentili veri e propri. Né i rabbi sdegnano di essere ascoltati da questi ultimi, poiché sperano di farne dei proseliti Senza questa speranza, che se fosse umile sarebbe santa, essi non starebbero nel cortile dei Pagani, ma esigerebbero di parlare in quello degli Ebrei e, fosse possibile, nel Santo stesso, ché, secondo il loro giudizio verso se stessi, essi sono tanto santi che solo Dio è a loro superiore… Ed Io, Maestro, parlo dove i maestri parlano. Ma non temete! Non è ancora il momento loro. Quando sarà il momento loro, Io ve lo dirò, perché voi fortifichiate il vostro cuore».
«Tu non lo dirai», dice l’Iscariota.
«Perché?».
«Perché non lo potrai sapere. Nessun segno te lo indicherà. Non c’è segno. Sono quasi tre anni che sono con Te e ti ho sempre visto minacciato e perseguitato. Anzi, allora eri solo. Ora hai dietro a Te il popolo che ti ama e che i farisei temono. Sei dunque più forte. Da cosa vuoi capire il momento?».
«Da ciò che vedo nel cuore degli uomini».
Giuda resta un attimo interdetto, poi dice: «E non lo dirai anche perché… Tu ci risparmi temendo del nostro coraggio».
«Per non affliggerci tace», dice Giacomo di Zebedeo.
«Anche. Ma certo non lo dirai».
«Io ve lo dirò. E, finché non ve lo dirò, qualunque sia la violenza e l’odio che vedrete contro di Me, non spaventatevene. Sono senza conseguenze.
2 Andate avanti. Io resto qui ad attendere Mannaen e Marziam».
A malincuore i dodici e chi è con loro vanno avanti.
Gesù torna verso la porta per attendere i due, e anzi esce nella strada e piega verso l’Antonia.
Dei legionari, fermi presso la fortezza, se lo additano e confabulano tra loro. Sembra ci sia come un poco di discussione, poi uno dice forte: «Io glielo chiedo», e si stacca verso Gesù.
«Salve, Maestro. Parli anche oggi là dentro?».
«La Luce ti illumini. Sì. Parlerò».
«Allora… guardati. Uno che sa ci ha avvertito. E una che ti ammira ha ordinato di vegliare. Noi saremo presso il sotterraneo d’oriente. Ne sai l’entrata?».
«Non l’ignoro. Ma è chiusa dall’una e l’altra parte».
«Lo credi?». Il legionario ride di un riso breve, e nell’ombra del suo elmo gli occhi e i denti brillano facendolo più giovane. Poi saluta irrigidendosi: «Salve, Maestro. Ricordati di Quinto Felice».
«Ricorderò. La Luce ti illumini».
Gesù torna a camminare e il legionario torna al posto di prima e parla coi suoi commilitoni.
«Maestro, abbiamo tardato? Erano tanti i lebbrosi!», dicono insieme Mannaen, vestito semplicemente di marrone scuro, e Marziam.
«No. Avete fatto presto. Andiamo però. Gli altri ci attendono. Mannaen, sei stato tu che hai avvisato i romani?».
«Di che, Signore? Io non ho parlato con nessuno. E non saprei… Le romane non sono in Gerusalemme».
Sono di nuovo presso la porta della cinta. Come ci fosse per caso, è lì presso il levita Zaccaria.
«La pace a Te, Maestro. Ti voglio dire… Io cercherò di essere sempre dove Tu sei, qui dentro. E Tu non mi perdere d’occhio. E se c’è tumulto e vedi che io vado via, cerca di seguirmi sempre. Ti odiano tanto! Io non posso fare di più… Comprendimi…».
«Dio ti compensi e benedica per la pietà che hai per il suo Verbo. Farò ciò che dici. E non temere, ché nessuno saprà del tuo amore per Me».
Si separano.
«Forse è stato lui a dire ai romani. Stando lì dentro, avrà saputo…», sussurra Mannaen.
3 Vanno a pregare, passando fra la gente che li guarda con sentimenti diversi e che si riunisce poi dietro a Gesù quando, finita la preghiera, Egli torna via dal cortile degli Ebrei.
Fuori della seconda cinta Gesù fa per fermarsi, ma viene circondato da un gruppo misto di scribi, farisei e sacerdoti. Uno dei magistrati del Tempio parla per tutti.
«Sei qui ancora? Non capisci che non ti vogliamo? Neppure temi il pericolo che qui ti incombe? Vattene. È già molto se ti lasciamo entrare per pregare. Non ti permettiamo più di insegnare le tue dottrine».
«Sì. Vattene. Vattene, bestemmiatore!».
«Sì. Me ne vado come voi volete. E non solo fuor da queste mura. Me ne andrò, sto già andando, più lontano, dove più non mi potete raggiungere. E verranno ore in cui mi cercherete anche voi, e non più per perseguitarmi soltanto, ma anche per un superstizioso terrore di esser percossi per avermi cacciato, per un ansia superstiziosa di essere perdonati del vostro peccato per ottenere misericordia. Ma Io ve lo dico. Questa è l’ora della misericordia. Questa è l’ora di farsi amico l’Altissimo. Passata questa, sarà inutile ogni riparo. Non mi avrete più e morirete nel vostro peccato. Percorreste anche tutta la Terra e riusciste a raggiungere gli astri e i pianeti, non mi trovereste più, perché dove Io vado voi non potete venire. Ve l’ho già detto. Dio viene e passa. Chi è sapiente lo accoglie coi suoi doni nel suo passaggio. Chi è stolto lo lascia andare e non lo ritrova mai più. Voi siete di quaggiù. Io sono di lassù. Voi siete di questo mondo. Io non sono di questo mondo. Perciò, una volta che Io sia tornato nella dimora del Padre mio, fuori di questo vostro mondo, non mi troverete più e morirete nei vostri peccati, perché neppure saprete raggiungermi spiritualmente con la fede».
«Ti vuoi uccidere, insatanassato? Certo che allora, nell’Inferno dove scendono i violenti, noi non potremo venire a raggiungerti, ché l’Inferno è dei dannati, dei maledetti, e noi siamo i benedetti figli dell’Altissimo», dicono alcuni.
E altri approvano dicendo: «Certo si vuole uccidere, perché dice che dove va noi non potremo andare. Comprende di essere scoperto e di aver fallito la prova, e si sopprime senza attendere di essere soppresso come l’altro galileo falso Cristo».
E altri, benevoli: «E se fosse invece proprio il Cristo e tornasse proprio a Colui che lo ha mandato?».
«Dove? In Cielo? Non vi è Abramo e vuoi che Egli ci vada? Prima deve venire il Messia».
«Ma Elia fu rapito al Cielo su un carro di fuoco».
«Su un carro, sì. Ma al Cielo!… Chi lo assicura?».
E il contrasto dura mentre farisei, scribi, magistrati, sacerdoti, giudei servili ai sacerdoti, scribi e farisei, incalzano il Cristo per i vasti porticati come una muta di cani incalza la selvaggina scovata.
4 Ma alcuni, i buoni fra la massa ostile, quelli veramente mossi da desiderio onesto, si fanno largo sino a raggiungere Gesù e gli fanno l’ansiosa domanda, già tante volte sentita fare o con amore o con odio: «Chi sei Tu? Diccelo, perché noi si sappia regolarsi. Dì la verità in nome dell’Altissimo!».
«Io sono la Verità stessa e non uso mai menzogna. Io sono quello che vi ho dichiarato sempre d’essere dal primo giorno che ho parlato alle turbe, in ogni luogo della Palestina, quello che ho detto d’essere qui, più volte, presso il Santo dei santi, del quale non temo le folgori perché Io dico la verità. Ho molte cose ancora da dire e da giudicare nel mio giorno e a riguardo di questo popolo e, per quanto paia già prossima per Me la sera, Io so che le dirò e giudicherò tutti, perché così mi ha promesso Colui che mi ha mandato e che è verace. Egli ha parlato con Me in un eterno amplesso d’amore, dicendomi tutto il suo Pensiero, perché Io lo potessi dire con la mia Parola al mondo, e non potrò tacermi, né alcuno potrà farmi tacere sino a che Io avrò annunziato al mondo tutto quanto ho sentito dal Padre mio».
«E ancora bestemmi? E continui a dirti Figlio di Dio? Ma chi vuoi che ti creda? Chi vuoi che vede in Te il Figlio di Dio?», gli gestiscono i nemici quasi coi pugni sul viso, fatti stravolti dall’odio.
Apostoli, discepoli e bene intenzionati li respingono, facendo come una barriera di protezione al Maestro. Il levita Zaccaria si insinua piano piano, con mosse attente e volte a non attirare l’attenzione degli energumeni, presso Gesù, vicino a Mannaen e ai due figli di Alfeo.
5 Sono ormai al termine del portico dei Pagani, perché l’andare è lento fra le correnti contrarie, e Gesù si ferma al suo solito posto, all’ultima colonna del lato orientale. Si ferma. Dal luogo dove stanno anche i pagani non possono cacciare un vero israelita, a meno di non eccitare la folla. Cosa che i subdoli evitano di fare. E di lì riprende a parlare, rispondendo ai suoi offensori e a tutti con essi: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo…».
Urlano i farisei e scribi: «E chi vuoi che ti innalzi? Misero quel paese che ha per re un ciarlatore folle e un bestemmiatore inviso a Dio. Nessuno di noi ti innalzerà, stanne certo. E quel resto di lume che ti rimane te lo ha fatto capire in tempo quando fosti tentato. Tu lo sai che non potremo mai farti nostro re!».
«Lo so. Non mi innalzerete su un trono, eppure mi innalzerete. E crederete di abbassarmi innalzandomi. Ma proprio quando crederete di avermi abbassato, sarò innalzato. Non soltanto sulla Palestina, non soltanto su tutto Israele sparso nel mondo, ma su tutto il mondo, e persino sulle nazioni pagane, persino su quei luoghi che ancora i dotti del mondo ignorano. E lo sarò non per una vita d’uomo, ma per tutta la vita della Terra, e sempre più l’ombra del padiglione del mio trono si espanderà sulla Terra finché tutta la coprirà. Solo allora tornerò e mi vedrete. Oh! mi vedrete!».
«Ma udite che discorsi da folle! Lo innalzeremo abbassandolo e lo abbasseremo alzandolo! Un pazzo! Un pazzo! E l’ombra del suo trono su tutta la Terra! Più grande di Ciro! Più di Alessandro! Più di Cesare! Dove lo metti Cesare? Credi che ti lasci prendere l’impero di Roma? E durerà sul trono per tutto il tempo del mondo! Ah Ah! Ah!». Sono schiaffeggianti, peggio, staffilanti nella loro ironia più di un flagello.
6 Ma Gesù li lascia dire. Alza la voce per essere inteso nel clamore di chi deride e di chi difende, e che empie il luogo col rumore di un mare inquieto.
«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora comprenderete Chi sono e che da Me nulla faccio, ma dico ciò che mio Padre mi ha insegnato e faccio ciò che Egli vuole. Né già Colui che mi ha mandato mi lascia solo, ma è meco. Così come l’ombra segue il corpo, altrettanto dietro Me, vegliante, presente se pur invisibile, è il Padre. È dietro di Me e mi conforta e aiuta e non si allontana, perché Io faccio sempre ciò che a Lui piace. Dio si allontana invece quando i suoi figli non ubbidiscono alle sue leggi e alle sue ispirazioni. Allora se ne va e li lascia soli. Per questo molti in Israele peccano. Perché l’uomo lasciato a se stesso difficilmente si conserva giusto e facilmente cade fra le spire del Serpente. E in verità, in verità vi dico che, per il vostro peccato di resistenza alla Luce e alla Misericordia di Dio, Dio si allontana da voi e lascerà vuoto di Sé questo luogo e i vostri cuori, e ciò che pianse Geremia nelle sue profezie e nelle sue lamentazioni si compirà esattamente. Meditate quelle parole profetiche e tremate (parole che sono in quasi tutto il libro di Geremia e in quello delle Lamentazioni, attribuito allo stesso profeta). Tremate e rientrate in voi stessi con spirito buono. Sentite non le minacce, ma ancora la bontà del Padre che avverte i suoi figli mentre ancora è loro concesso di riparare e salvarsi. Sentite Dio nelle parole e nei fatti e, se non volete credere alle mie parole, perché il vecchio Israele vi soffoca, credete almeno al vecchio Israele. In esso gridano i profeti i pericoli e le sciagure della Città Santa e di tutta la Patria nostra, se non si converte al Signore Iddio suo e non segue il Salvatore. Su questo popolo già pesò la mano di Dio nei secoli passati. Ma nulla sarà il passato e il presente rispetto al tremendo futuro che lo aspetta per non aver voluto accogliere il Mandato da Dio. Né in rigore, né in durata è paragonabile ciò che attende Israele che ripudia il Cristo. Io ve lo dico, spingendo lo sguardo nei secoli: come pianta stroncata e gettata su un turbinoso fiume, così sarà la razza ebraica colpita da anatema divino. Tenace, cercherà di fermarsi sulle rive, in questo o in quel punto, e rigogliosa come è getterà polloni e radici. Ma quando crederà di essersi messa a dimora, la riprenderà la violenza della fiumana e la strapperà ancora, la spezzerà nelle radici e nei polloni, ed essa andrà più là, a soffrire, per abbarbicarsi, per essere di nuovo strappata e dispersa. E nulla potrà darle pace, perché la fiumana che incalza sarà l’ira di Dio e lo sprezzo dei popoli. Solo gettandosi in un mare di Sangue vivo e santificante potrebbe trovare pace. Ma essa fuggirà quel Sangue perché, nonostante che esso avrà ancora voci d’invito per essa, sembrerà ad essa che abbia la voce del sangue d’Abele verso essa: Caino dell’Abele celeste».
Altro vasto brusio che si propaga per il vasto recinto come rumore d’onde. Ma mancano in questo brusio le voci aspre dei farisei e scribi, e dei giudei a loro asserviti.
Gesù ne approfitta per tentare di andarsene.
7 Ma alcuni che erano lontani si accostano a Lui e gli dicono: «Maestro, ascoltaci. Non tutti noi siamo come essi (e accennano i nemici), ma però facciamo fatica a seguirti, anche perché la tua voce è sola contro cento e mille che dicono il contrario di ciò che Tu dici. E sono le cose che dicono essi, quelle che abbiamo sentito dai padri nostri sino dall’infanzia. Però le tue parole ci inducono a credere. Ma come faremo a credere completamente e ad avere vita? Noi siamo come legati dal pensiero del passato…».
«Se vi stabilirete nella mia Parola come se rinasceste ora, crederete completamente e diverrete miei discepoli. Ma occorre che vi spogliate del passato e accettiate la mia dottrina. Essa non cancella tutto il passato. Anzi, mantiene e rinvigorisce ciò che è santo e soprannaturale del passato, e leva il superfluo umano mettendo la perfezione della mia dottrina là dove ora sono le dottrine umane sempre imperfette. Se venite a Me conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi».
«Maestro, è vero che ti abbiamo detto che siamo come legati dal passato. Ma questo legame non è prigionia né schiavitù. Noi siamo posterità di Abramo. Nelle cose dello spirito. Perché la posterità di Abramo, se non siamo in errore, è detta per dire posterità spirituale contrapposta a quella di Agar, che è posterità di schiavi. Come dunque puoi dire che diverremo liberi?».
«Era posterità di Abramo anche Ismaele ed i figli di lui, ve lo faccio notare. Perché Abramo fu padre e di Isacco e di Ismaele».
«Ma impura, perché figlio di donna schiava ed egizia».
«In verità, in verità vi dico: non vi è che una schiavitù, quella del peccato. Soltanto chi commette peccato è uno schiavo. E di una schiavitù che nessuna moneta riscatta. E verso un padrone inesorabile e crudele. E perdente ogni diritto alla libera sovranità nel Regno dei Cieli. Lo schiavo, l’uomo che una guerra o delle sciagure hanno fatto schiavo, può cadere anche in possesso di un buon padrone. Ma è sempre precario il suo benestare, perché il padrone lo può vendere ad altro padrone crudele. Egli è una merce e nulla più. Talora serve anche come moneta per saldare un debito. E non ha neppure il diritto di piangere. Il servo invece vive nella casa del padrone finché esso non lo licenzia. Ma il figlio resta sempre nella casa del padre, né il padre pensa a cacciarlo. Soltanto per sua libera volontà ne può uscire. E in questo stà la differenza fra schiavitù e servitù e figliolanza. La schiavitù mette l’uomo in catene. La servitù lo mette a servizio di un padrone. La figliolanza lo colloca per sempre, e con parità di vita, nella casa del padre. La schiavitù annichila l’uomo. La servitù lo rende soggetto. La figliolanza lo fa libero e felice. Il peccato fa l’uomo schiavo del padrone più crudele e senza termine: Satana. La servitù, in questo caso l’antica Legge, fa l’uomo timoroso di Dio come di un essere intransigente. La figliolanza, ossia il venire a Dio insieme al suo Primogenito, con Me, fa l’uomo libero e felice, che conosce la fiducia nella carità del Padre suo. Accettare la mia dottrina è venire a Dio insieme a Me, primogenito di molti figli diletti. Io spezzerò le vostre catene sol che voi veniate a Me perché le spezzi, e sarete veramente liberi e coeredi con Me del Regno dei Cieli.
8 Lo so che siete posterità di Abramo. Ma chi fra di voi cerca di farmi morire non onora più Abramo ma Satana, e lo serve da schiavo fedele. Perché? Perché respinge la mia Parola, ed essa non può penetrare in molti di voi. Dio non violenta l’uomo a credere. Non lo violenta ad accettarmi. Ma mi manda perché Io vi indichi la sua volontà. Ed Io vi dico quello che ho veduto e udito presso il Padre mio. E faccio ciò che Egli vuole. Ma quelli fra voi che mi perseguitano fanno quello che hanno imparato dal padre loro e quello che egli suggerisce».
Come un parossismo che risorge dopo una sosta del male, l’ira dei giudei, farisei e scribi, che pareva calmata alquanto, si ridesta violenta. Si insinuano come un cuneo nel cerchio compatto che stringe Gesù e cercano avvicinarlo. La folla ha un ondeggiare di marosi contrari, come sono contrari i sentimenti dei cuori. Urlano i giudei lividi d’ira e di odio: «Il padre nostro è Abramo. Non abbiamo nessun altro padre».
«Il padre degli uomini è Dio. Abramo stesso è figlio del Padre universale. Ma molti ripudiano il Padre vero per uno che padre non è, ma che essi eleggono tale perché sembra più potente e pronto ad accontentarli nei loro desideri smodati. I figli fanno le opere che vedono fare dal padre loro. Se siete figli di Abramo perché non fate le opere di Abramo? Non le conoscete? Ve le devo enumerare come natura e come simbolo? Abramo ubbidì andando nel paese che Dio gli indicò, figura dell’uomo che deve essere pronto a lasciare tutto per andare dove Dio lo manda. Abramo fu condiscendente col figlio di suo fratello e gli lasciò scegliere la regione preferita, figura del rispetto alla libertà d’azione e della carità che si deve avere per il prossimo nostro.
Abramo fu umile dopo la predilezione di Dio e l’onorò in Mambre sentendosi sempre un nulla rispetto all’Altissimo che gli aveva parlato, figura della posizione di amore reverenziale che l’uomo deve sempre tenere verso il suo Dio. Abramo credette ed ubbidì a Dio anche nelle cose più difficili a credersi e penose a compiersi, e per sentirsi sicuro non si fece egoista, ma pregò per quei di Sodoma. Abramo non patteggiò col Signore volendo premio per le sue molte ubbidienze, ma anzi per onorarlo sino alla fine, al termine massimo gli sacrificò il figlio diletto…».
«Non lo sacrificò».
«Gli sacrificò il figlio diletto, perché in verità il suo cuore aveva già sacrificato, durante il tragitto, con la sua volontà di ubbidienza, arrestata dall’angelo quando già il cuore del padre si fendeva nel procinto di fendere il cuore del figlio. Uccideva il figlio per onorare Dio. Voi uccidete a Dio il Figlio per onorare Satana. Fate voi allora le opere di chi dite vostro padre? No, non le fate. Voi cercate di uccidere Me perché vi dico la verità così come l’ho udita da Dio. Abramo non faceva così. Non cercava di uccidere la voce che veniva dal Cielo, ma la ubbidiva. No, voi non fate le opere di Abramo, ma quelle che vi indica il padre vostro».
9 «Non siamo nati da una prostituta. Bastardi non siamo. Tu lo hai detto, Tu stesso, che il Padre degli uomini è Dio; e noi, poi, siamo del Popolo eletto, e delle caste elette fra questo Popolo. Perciò abbiamo Dio per unico Padre».
«Se riconosceste Dio per Padre in spirito e in verità mi amereste, perché Io procedo e vengo da Dio; non vengo già da Me stesso, ma è Lui che mi ha mandato. Perciò, se veramente conosceste il Padre, conoscereste anche Me, suo Figlio e vostro fratello e Salvatore. Possono i fratelli non riconoscersi? Possono i figli di Un solo non conoscere il linguaggio che si parla nella Casa dell’unico Padre? Perché allora non capite il mio linguaggio e non tollerate le mie parole? Perché Io vengo da Dio e voi no. Voi avete lasciato la dimora paterna e dimenticato il volto e il linguaggio di Colui che l’abita. Siete andati volontariamente in altre regioni, in altre dimore, dove regna un altro che Dio non è, e dove si parla altro idioma. E chi vi regna impone che per entrarvi uno si faccia suo figlio e l’ubbidisca. E voi lo avete fatto e lo fate. Voi abiurate, rinnegate il Padre Iddio per scegliervi un altro padre. E questo è Satana. Voi avete a padre il demonio, e volete compiere ciò che egli vi suggerisce. E i desideri del demonio sono di peccato e di violenza, e voi li accogliete. Fin dal principio egli era omicida, e non perseverò nella verità perché egli, che si ribellò alla Verità, non può avere in sé amore alla verità. Quando egli parla, parla come egli è, ossia da bugiardo e tenebroso, perché in verità egli è bugiardo e ha generato e partorito la menzogna dopo essersi fecondato con la superbia e nutrito con la ribellione. Tutta la concupiscenza è nel suo seno, ed egli la sputa e la inocula ad avvelenare le creature. È il tenebroso, lo schernitore, lo strisciante rettile maledetto, è l’Obbrobrio e l’Orrore. Da secoli e secoli le sue opere tormentano l’uomo, e i segni e i frutti di esse sono davanti agli intelletti degli uomini. Eppure a lui, che mente e rovina, date ascolto, mentre, se Io parlo e dico ciò che è vero ed è buono, non mi credete e mi dite peccatore. Ma chi fra i tanti che mi hanno avvicinato, con odio o con amore, può dire di avermi visto peccare? Chi lo può dire con verità? Dove le prove per convincere Me e chi crede in Me che Io sono peccatore? A quale dei dieci comandamenti ho mancato? Chi davanti all’altare di Dio può giurare di avermi visto violare la Legge e le consuetudini, i precetti, le tradizioni, le preghiere? Chi fra tutti gli uomini potrà farmi mutare nel volto per essere, con prove sicure, convinto di peccato? Nessuno può fare questo. Nessuno fra gli uomini e nessuno fra gli angeli. Dio nel cuore degli uomini grida: “Egli è l’Innocente”. Di questo tutti ne siete convinti, e ancor più voi che mi accusate, di questi altri che sono incerti su chi fra Me e voi ha ragione. Ma soltanto chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Voi non le ascoltate per quanto esse rimbombino nelle vostre anime notte e giorno, e non le ascoltate perché non siete da Dio».
10«Noi, noi che viviamo per la Legge e nella più minuta osservanza dei precetti per onorare l’Altissimo, non siamo ha Dio? E Tu osi dirlo? Ah!!». Sembrano asfissiare dall’orrore come fosse un capestro.
«E non dobbiamo dire che sei un indemoniato e un samaritano?».
«Non sono né l’uno né l’altro, ma onoro il Padre mio, anche se voi lo negate per vituperarmi. Ma il vostro vituperio non mi addolora. Non cerco la mia gloria. Vi è chi ne prende cura e giudica. Questo dico a voi che mi volete avvilire. Ma a chi ha volontà buona dico che chi accoglierà la mia parola, o già l’ha accolta, e la saprà custodire, non vedrà mai la morte in eterno».
«Ah! ora ben vediamo che per le tue labbra parla il demonio che ti possiede! Tu stesso lo hai detto: “Egli parla da bugiardo”. Ciò che Tu hai detto è parola di menzogna, perciò è parola demoniaca. Abramo è morto e morti sono i profeti. E Tu dici che chi custodisce la tua parola non vedrà mai la morte in eterno. Tu dunque non morirai?».
«Io non morrò che come Uomo, per risorgere nel tempo di Grazia, ma come Verbo non morrò. La Parola è Vita e non muore. E chi accoglie la Parola ha in sé la Vita e non muore in eterno, ma risorge in Dio perché Io lo risusciterò».
«Bestemmiatore! Folle! Demonio! Sei più del nostro padre Abramo, che è morto, e dei profeti? Chi pretendi di essere?».
«Il Principio che vi parlo».
Succede un pandemonio. E, mentre avviene, il levita Zaccaria spinge Gesù insensibilmente in un angolo del portico, aiutato in ciò dai figli di Alfeo e da altri che forse lo coadiuvano senza neppur sapere bene ciò che fanno.
11Quando Gesù è ben addossato al muro e con la protezione dei più fedeli davanti a Lui, e un poco si quieta il tumulto anche nel cortile, Egli dice con la sua voce così incisiva e bella, calma anche nei momenti più turbati: «Se Io mi glorifico da Me stesso, non ha valore la mia gloria. Ognuno può dire di sé ciò che vuole. Ma chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite essere il vostro Dio, sebbene sia tanto poco vostro che voi non lo conoscete e non lo avete mai conosciuto né lo volete conoscere attraverso Me che ve ne parlo, perché Io lo conosco; e se dicessi di non conoscerlo per calmare il vostro odio verso di Me, sarei un mentitore come lo siete voi dicendo di conoscerlo. Io so che non devo mentire per nessuna ragione. Il Figlio dell’uomo non deve mentire, anche se dire la verità sarà cagione della sua morte. Perché, se il Figlio dell’uomo mentisse, non sarebbe più veramente Figlio della Verità, e la Verità lo respingerebbe da Sé. Io conosco Iddio, e come Dio e come Uomo. E come Dio e come Uomo conservo le sue parole e le osservo. Israele, rifletti! Qui è che si compie la promessa. In Me si compie. Riconoscimi per ciò che Io sono! Abramo vostro padre sospirò di vedere il mio giorno. Lo vide, profeticamente, per una grazia di Dio, e ne tripudiò. E voi che in verità lo vivete…».
«Ma taci! Non hai ancora cinquanta anni e vuoi dire che Abramo ti ha veduto e Tu lo hai visto?», e la loro risata di scherno si propaga come un’onda di veleno e di acido che corrode.
«In verità, in verità Io ve lo dico: prima che Abramo nascesse, Io sono».
«”Io sono”? Solo Dio lo può dire che è, perché è eterno. Non Tu! Bestemmiatore! “Io sono”! Anatema! Sei forse Dio, Tu, per dirlo?», gli urla uno che deve essere un gran personaggio perché, sopraggiunto da poco, è già vicino a Gesù, dato che tutti si scansano quasi con terrore al suo venire.
«Lo hai detto», risponde Gesù con voce tonante.
Tutto diventa arma in mano di chi odia. Mentre l’ultimo che ha interrogato il Maestro si abbandona a tutta una mimica di scandalizzato orrore e si strappa dal capo il copricapo, si scompiglia capelli e barba e si slaccia le fibbie che tengono la veste al collo, come se si sentisse mancare dall’orrore, manciate di terra, e sassi, usati dai venditori di colombi e altre bestie per tenere tesi le funi dei recinti, e dai cambiavalute per… prudenziale tutela dei loro cofani di cui sono gelosi più della loro vita, vengono scagliati contro il Maestro, e naturalmente ricadono sulla folla stessa, perché Gesù è troppo in dentro, sotto il porticato, perché sia colpito, e la folla impreca e si lamenta…
12Zaccaria, il levita, dà un potente urto a Gesù, unico mezzo per fargli raggiungere una porticina bassa, celata nella muraglia del portico e già preparata ad aprirsi, e ve lo spinge insieme a i due figli di Alfeo, a Giovanni, Mannaen, Tommaso. Gli altri restano fuori, nel tumulto… E il rumore dello stesso giunge affievolito nel cunicolo, fra le potenti muraglie di pietre, che non so come si chiamino in architettura. Sono fatte a incastro, direi io, ossia pietre larghe e pietre più piccole, e sopra a queste più piccole le larghe e viceversa. Non so se mi spiego bene. Scure, potenti, scalpellate rudemente, appena visibili nella penombra che è prodotta da feritoie strette messe a distanza regolari nell’alto, per aerare e rendere non completamente tenebroso il luogo, che è una stretta galleria che non so a che serve, ma che mi dà l’impressione che giri per tutto il porticato. Forse era stata fatta per protezione, per ricovero, per rendere doppie, e perciò più resistenti, le muraglie dei portici che fanno come altrettante cinte al vero e proprio Tempio, al Santo dei santi. Insomma non so. Dico ciò che vedo. Odor di umido, e di quell’umido che non si sa dire se è freddo o no, come in certe cantine.
«E che facciamo qui?», chiede Tommaso.
«Taci! Mi ha detto Zaccaria che verrà lui, e di stare zitti e fermi», risponde il Taddeo.
«Ma… c’è da fidarsi?».
«Lo spero».
«Non temete. L’uomo è buono», conforta Gesù.
Fuori il tumulto si allontana. Passa del tempo. Poi un rumore sordo di passi e una piccola luce tremula, che viene avanti da profondità oscure.
«Sei lì, Maestro?», dice una voce che vuol farsi sentire ma teme di esser sentita.
«Sì, Zaccaria».
«Lode a Jeovè! Mi sono fatto aspettare? Ho dovuto attendere che corressero tutti agli altri sbocchi. Vieni, Maestro… I tuoi apostoli… Sono riuscito a dire a Simone di andare tutti verso Betesda e di attendere. Di qui si scende… Poca luce. Ma via sicura. Si scende alle cisterne… e si esce verso il Cedron. Via antica. Non sempre destinata a buon uso. Ma questa volta sì… E questo la santifica…».
Scendono continuamente in un’ombra rotta soltanto dalla fiammella ballonzolante del lume, finché un chiarore diverso si intravede là in fondo… e, oltre il chiarore, del verde che par lontano… Una cancellata, che è quasi una porta tanto è massiccia e fitta, termina la galleria.
«Maestro ti ho salvato,. Puoi andare. Ma ascoltami. Non venire per qualche tempo. Non potrei sempre servirti senza essere notato. E… dimentica, dimenticate tutti questa via e me che vi ci ho condotto», dice Zaccaria facendo agire dei congegni che sono nella cancellata pesante e socchiudendola quel tanto che serva a lasciare uscire le persone.
E ripete: «Dimenticate, per pietà di me».
«Non temere. Nessuno di noi parlerà. E Dio sia con te per la tua carità». Gesù alza la mano posandola sul capo chino del giovane.
Esce seguito dai cugini e dagli altri. Si trova su un piccolo spiazzo selvaggio di rovi che appena può riceverli tutti, di fronte all’Uliveto. Un sentierino da capre scende fra i rovi verso il torrente.
«Andiamo. Risaliremo poi all’altezza della porta delle Pecore e Io con i fratello andrò da Giuseppe, mentre voi andrete a Betesda a prendere gli altri e mi raggiungerete. Andremo a Nobe domani sera dopo il tramonto».
Facoltativo (e dello stesso periodo della Vita di Gesù Cristo)
Cap. DVIII. Giovanni sarà la luce del Cristo fino alla fine dei tempi. Il piccolo Marziale-Manasse accolto da Giuseppe di Sefori.
7 ottobre 1966
1 La casa di Giuseppe non è quella di Giuseppe d’Arimatea, ma quella di un vecchio galileo di Sefori, amico dei figli di Alfeo e specie dei più anziani, perché era amico, forse anche un poco parente, col vecchio ormai defunto Alfeo. E, se non erro, è anche molto in relazione coi figli di Zebedeo per il commercio del pesce secco, che dal lago di Genezaret viene importato nella capitale insieme ad altri prodotti della Galilea, cari ai galilei spaesati in Gerusalemme. Così deduco dai discorsi che fanno i due figli di Alfeo e Giovanni a Tommaso.
Gesù invece è un poco indietro con Mannaen, al quale dà l’incarico di andare da Giuseppe d’Arimatea e da Nicodemo pregandoli di recarsi da Lui. Cosa che Mannaen fa subito. Gesù si riunisce ancora un momento coi tre per raccomandare ancora di essere prudenti nel parlare «per amore verso il levita che li ha messi in salvo», poi si separa e a passi lunghi si dirige per una vietta…
2 Ma lo raggiunge presto Giovanni.
«Perché sei venuto?».
«Non potevamo lasciarti così solo… e sono venuto io».
«E credi che potresti difendermi solo contro tanti?».
«Non ne sono sicuro. Ma almeno morirei prima di Te. E mi basterebbe».
«Morirai molto tempo dopo di Me, Giovanni. Ma non te ne rammaricare. Se l’Altissimo ti lascia nel mondo è perché tu lo serva e serva il suo Verbo».
«Ma dopo…».
«Dopo servirai. Quanto dovresti vivere per servirmi come i due nostri cuori vorrebbero. Ma anche dopo morto mi servirai».
«Come farò, Maestro mio? Se sarò con Te in Cielo ti adorerò. Ma non potrò servirti sulla Terra quando l’avrò lasciata…».
«Lo credi proprio? Ebbene Io ti dico che tu mi servirai sino alla nuova mia venuta, a quella finale. Molte cose si inaridiranno prima dell’ultimo tempo, così come fiumi che si disseccano e, da bel corso d’acqua azzurra e salutare, divengono terriccio polveroso e pietroni aridi. Ma tu sarai ancora fiume suonante la mia parola e riflettere la mia luce. Sarai la suprema luce che resta a ricordare Cristo. Perché sarai luce tutta spirituale, e gli ultimi tempi saranno lotta di tenebre contro luce, di carne contro spirito. Quelli che sapranno perseverare nella fede troveranno forza, speranza, conforto in ciò che tu lascerai dopo di te, e che sarà ancora te… e che soprattutto sarà ancora Me, perché Io e te ci amiamo, e dove tu sei Io sono, e dove Io sono tu sei. Ho promesso a Pietro che la Chiesa, che avrà a capo e a base la mia Pietra, non sarà scardinata dall’Inferno nei suoi ripetuti e sempre più feroci assalti, ma ora ti dico che ciò che sarà ancora Io, e che tu lascerai a luce per chi cerca la Luce, non sarà distrutto nonostante che l’Inferno, con ogni maniera, cercherà di annullarlo. Anzi, più! Anche coloro che crederanno in Me imperfettamente, perché pur accogliendo Me non accoglieranno il mio Pietro (Allusione ai protestanti futuri), saranno sempre accorrenti al tuo faro come navicella senza pilota e senza bussola, che si dirigono fra la loro tempesta verso una luce, perché luce vuol dire ancora salvezza».
«Ma che lascerò, Signor mio? Io sono… povero… ignorante… Non ho che l’amore…».
«Ecco: lascerai l’amore. E l’amore per il tuo Gesù sarà parola. E molti, molti, anche fra quelli che non saranno della mia Chiesa, che non saranno di nessuna chiesa, ma che cercheranno una luce e un conforto per aculeo dello spirito insoddisfatto, per bisogno di una compassione nelle pene, verranno a te e troveranno Me».
«Vorrei che i primi a trovare Te fossero questi crudeli giudei, questi farisei e scribi… Ma non servo a tanto…».
«Non entra cosa alcuna dove già è ripienezza. Ma non ti sconfortare. Tu…
3 Ma eccoci da Giuseppe. Bussa ed entriamo».
È una casa stretta e alta, con a lato un fondaco basso e graveolente di mercanzie accatastate; e a fianco di questo un cortile, oscuro per le muraglie che lo sovrastano, un cortile dall’aspetto quasi di albergo, come erano allora gli alberghi: portici per le merci, stalle per i ciuchi, e stanzucce per gli ospiti o cameroni. Qui vi è un cortile selciato in mal modo, una vasca, due stalle basse e scure, una rustica tettoia che fa da portico, addossata alla casa, e con una portaccia che dà nel fondaco. Poi, oltre questo, la casa che ho detto, vecchia, scura, con una porta alta e stretta che si apre su tre gradini di pietra consunta all’uso.
Giovanni bussa alla porta e attende finché uno spioncino si apre e un viso rugoso di vecchia scruta dalla penombra: «Oh! Giovanni! Apro subito. Dio sia con te», dice la bocca appartenente a quel viso rugoso, e la porta si apre con molto rumore di chiavistelli.
«Non sono solo, Maria. Ho con me il Maestro».
«La pace anche a Lui, onore di Galilea, e felice il giorno che porta i piedi del Santo fra le mura di un vero Israelita. Entra, Signore. Vado subito ad avvertire Giuseppe. Sta facendo le ultime consegne perché è sollecito il tramonto nel triste etamin».
«Lascialo al suo lavoro, donna. Sosteremo qui sino a domani».
«Grande gioia per noi. Ti attendevamo da tempo. E anche giorni or sono tuo fratello Giuseppe ha mandato a chiedere notizie di Te. Ma il mio sposo ti dirà meglio. Ecco, qui puoi sostare… E ti lascio, Signore, perché sto ultimando il pane. Prima che sia il tramonto deve esser cotto. Se vuoi cosa alcuna, Giovanni sa dove trovarmi».
«Và in pace. Non ci occorre nulla fuorché di ospitarci».
4 Restano soli per qualche tempo. Poi un visetto bruno spunta da dietro una tenda che separa la stanza da un corridoio, e sbircia, timoroso e curioso insieme.
«Chi è quel fanciullo?», chiede Gesù a Giovanni.
«Non so, Signore. Non c’era le altre volte. Vero è che da quando sono con Te, qui, per mio padre, non sono più venuto. Vieni qui, fanciullo».
Il bambino viene avanti a piccoli passi.
«Chi sei?».
«Non te lo dico».
«Perché?».
«Non voglio sentirmi dire brutte parole. Se le dici ti rispondo, e Giuseppe non vuole».
«Questa è nuova! Maestro, che ne dici?», e Giovanni ride divertito delle ragioni dell’ometto.
Anche Gesù sorride, ma alza la mano ad attirare a Sé il fanciullo e lo osserva.
Poi dice: «E tu sai chi sono?».
«Sì che lo so! Sei il Messia. Quello che farà tutto il mondo suo, e allora non si diranno più brutte parole ai bambini come me».
«Non sei d’Israele, vero?».
«Sono circonciso… e ha fatto molto male. Ma… ma faceva male anche la fame e… non avere più la mamma… e nessuno… Però fa male ancora sentire che si… che ci…», piange avendo perduto tutta la primitiva baldanza.
«Deve essere qualche orfano straniero, Giovanni. Giuseppe lo deve aver raccolto per pietà e fatto circoncidere…», spiega Gesù a Giovanni, stupito delle ragioni e del pianto.
5 E Gesù alza il fanciullo di peso e se lo mette sulle ginocchia.
«Dimmi il tuo nome, bambino. Io ti voglio bene. Gesù vuole bene a tutti i fanciulli e specie agli orfanelli. Ne ho uno anche Io che si chiama Marziam e che…».
«Anche io così, perché io (la piccola voce si fa sussurro appena percettibile) perché io sono romano…».
«Te lo avevo detto! E sei orfano, vero?».
«Sì… Mio padre io non lo ricordo. La mamma sì. È morta che ero già grande… e sono rimasto solo, e nessuno mi voleva. Da Cesarea a piedi dietro i viandanti dopo che il padrone è tornato via, lontano. E tanta fame. E se dicevo il nome, busse… Perché si capiva dal nome, eh?! Poi sono venuto qui, per una festa, e avevo fame. Sono entrato nelle stalle con una carovana e mi sono nascosto nella paglia a mangiare le biade e carrube degli asini. E un asino mi ha morsicato e ho gridato, e sono corsi e mi volevano picchiare. Ma Giuseppe ha detto: “No. Egli lo ha fatto (in riferimento a Gesù che raccolse l’orfano Jabè, poi chiamato Marziam, dando un esempio da imitare), e dice di fare ciò che Egli fa. E io prendo il fanciullo e lo farò israelita”. E mi ha preso e curato insieme a Maria e mi ha messo un altro nome perché il mio… Ma la mamma mi chiamava Marziale…», e le lacrime tornano a gocciare.
«E Io ti chiamerò Marziale come la mamma. È molto buono ciò che ha fatto Giuseppe. Tu gli devi volere molto bene».
«Sì. Ma di più a Te. Lo dice lui. Dice sempre: “Se un giorno incontrerai Gesù di Nazaret, il Messia, amalo con tutto te stesso, perché è per Lui che sei salvato dall’errore”. Maria diceva di là, alla serva, che era in casa il Messia, e sono venuto a vedere chi mi ha salvato».
«Non sapevo che Giuseppe avesse fatto questo. Era così… avaro… Mai avrei pensato che potesse… Povero Giuseppe! Avaro e disgustato dei suoi figli. Non hanno rispettato i suoi capelli bianchi».
«Lo so. Ma vedi? Forse in questo fanciullo egli si rinnova… e dimentica. Dio lo compensa così dell’opera fatta verso il fanciullo. Come ti chiami adesso?».
«Con un brutto nome. Non mi piace affatto perché principia come il mio. Manasse mi chiamo!… Ma Maria, che capisce, mi chiama “Man”». E il fanciullo lo dice con un visetto così desolato che Gesù e Giovanni non possono trattenersi dal sorridere.
Ma Gesù, per consolarlo, spiega: «Manasse è un nome dal dolce significato per noi (Vedi Vol 6 Cap 364, che è in: Genesi 41, 51). Vuol dire: il Signore mi ha fatto dimenticare ogni dolore. Giuseppe te lo ha messo perché si è voluto dire che tu gli farai dimenticare ogni suo dolore. E tu lo farai, fanciullo, per essergli riconoscente. Tu stesso, col nuovo nome, ti dici che il Signore ti tanto amato e che ti ha ridato un padre, una madre e una casa. Non è vero?».
«Sì. Spiegato così, sì… Ma Giuseppe dice che devo dimenticare anche la mia casa. Io non voglio dimenticare la mamma!».
Gesù guarda Giovanni, e Giovanni guarda il Maestro, e al di sopra della testolina bruna vi è tutto un discorso di sguardi…
«La mamma non va dimenticata, fanciullo. Giuseppe si è spiegato male, o meglio, tu hai capito male. Certo voleva dire che tu devi dimenticare tutto il dolore del tuo passato, il dolore della tua casa, perché ora hai questa e devi essere felice».
«Ah! così sì. E Maria è buona e mi fa felice. Anche ora mi fa le focacce. Vado a vedere se sono cotte e le porto anche a Te», e scivola giù dai ginocchi di Gesù correndo fuori della stanza. Il rumore dei piedini scalzi si sperde nel lungo corridoio.
«Sempre questa tendenza dura anche nei migliori fra noi! Pretendere l’impossibile! Sono più severi di Dio e figli del suo popolo! Povero fanciullo! Si può forse pretendere che un figlio dimentichi la madre perché ora egli è circonciso? Lo dirò a Giuseppe».
«Non sapevo proprio che avesse fatto questo. Mio padre, come molti galilei, scende qui, nelle feste. E non me ne ha parlato come non sapesse la cosa…
6 Ma sento la voce di Giuseppe…».
Gesù si alza in piedi e Giovanni lo imita, pronti a salutare, coi dovuti onori, il padrone di casa, che entra e che a sua volta si sprofonda in inchini finendo ad inginocchiarsi ai piedi di Gesù.
«Alzati, Giuseppe. Sono venuto. Lo vedi».
«Perdona se ti ho fatto attendere. Il venerdì è sempre un gran giorno! Salute a te, Giovanni. Hai notizie di Zebedeo?».
«No, dai Tabernacoli, nei quali lo vidi».
«Allora sappi che sta bene e così Salome. Notizie fresche. Di questa mattina. Con l’ultimo carico di pesce. E anche a Te, Maestro, posso dire che i parenti stanno tutti bene a Nazaret. Il dì dopo il sabato partirà chi venne. Se volete mandare notizie… Siete soli?».
«No. Fra poco saranno qui gli altri…».
«Bene! Vi è posto per tutti. È casa fedele. Mi spiace che Maria sia stata occupata col pane e io colle vendite. Lasciati così soli… Abbiamo mancato di farti onore e compagnia come si conviene all’ospite. E grande ospite!».
«Un figlio di Dio come te, Giuseppe. Tutti uguali coloro che seguono la Legge di Dio».
«Eh! no. Tu sei Tu. Non sono stolto come questi giudei. Tu sei il Messia!».
«Ciò per volere di Dio. Ma per mio volere e dovere sono come te figlio della Legge».
«Eh! quelli che ti calunniano non sanno dire e fare ciò che Tu ora dici e sempre fai!».
«Tu però molto fai di ciò che Io insegno.
7 Ho visto il fanciullo, Giuseppe…».
«Ah! lo hai visto? È venuto! Sa che non voglio! Per Te… ho piacere. Ma potevi non essere Te…».
«E allora? Che sarebbe accaduto?».
«Che… non ho piacere, ecco!».
«Perché, Giuseppe? Per non averne lode? È encomiabile il tuo pensiero. Ma il fanciullo potrebbe pensare che tu ti vergogni di mostrarlo…».
«Ed è vero!».
«È vero? Perché? Spiegami la cosa».
«Ecco. Il fanciullo non è nato ebreo da ebrei, neppure da proseliti, neppure da donna ebrea e padre gentile. È figlio di due romani, liberti in casa di un romano che era a Cesarea Marittima. Si era tenuto il fanciullo finché rimase lì. Ma partendo non se ne curò e rimase solo. Gli ebrei, naturalmente, non lo accolsero. I romani… Cosa sono i romani Tu lo sai… E quei romani, poi, di Cesarea! Il fanciullo, mendicando…».
«Sì, lo so. È giunto qui e tu lo hai accolto. Dio ha segnato il tuo atto in Cielo».
«E ne ho fatto un circonciso! E gli ho cambiato il nome. Il suo! Pagano! Idolatra! Ma non voglio si faccia vedere e ricordi il suo passato».
«Perché, Giuseppe?», chiede dolcemente Gesù e continua: «Il fanciullo soffre di questo. Ricorda la madre. È comprensibile!».
«Ma è comprensibile anche il mio desiderio di non essere criticato per aver accolto un…».
«Un innocente. Nulla più che questo, Giuseppe. Perché temi il giudizio degli uomini quando un più alto giudizio, quello divino, sancisce il tuo atto come santo? Perché ti vergogni, per rispetto umano, o per timore di rappresaglie, di un’azione buona? Perché vuoi dare al fanciullo un esempio di doppiezza quale quello che sorge dall’avergli cambiato nome, dal soffocare il passato per tema di averne danno? Perché vuoi inculcare al fanciullo il disprezzo del padre e della madre? Vedi, Giuseppe, tu hai fatto un’azione degna di lode, ma la copri di polvere con queste… idee imperfette. Tu hai imitato un mio gesto. Hai accolto le mie parole. Ciò è bene. Ma perché non rendi perfetta la mia imitazione col compiere francamente l’opera e dire: “Sì. Il fanciullo era romano. E io non ne ho avuto ribrezzo, perché egli è figlio del Creatore così come noi. Soltanto l’ho voluto nella nostra Legge e l’ho circonciso”? Veramente… la vera circoncisione sta per venire e il nuovo taglio sarà sul cuore degli uomini, dal quale verrà asportato lo strozzante anello della concupiscenza triplice, e perciò, se anche il fanciullo fosse rimasto un innocente fino a quel momento… Ma non ti voglio rimproverare per questo. Hai fatto bene, tu ebreo, a farlo ebreo. Però lasciagli il suo nome. Oh! in futuro quanti Marziale, e Caio, e Felice, e Cornelio, e Claudio, e così via, saranno del Cristo e del Cielo! Può esserci anche lui, il fanciullo che non sa di ebrei e di gentili, che giungerà ad essere eternamente maggiorenne quando la vera e la nuova Legge sarà fondata col nuovo Tempio e i nuovi sacerdoti, e non come tu credi, ma esaminato da Dio e trovato degno del suo vero Tempio. Lascialo col nome che sua madre gli ha dato. È ancora una carezza materna per lui. Capisco ciò che hai voluto dire col dirlo Manasse. Ma lascialo Marziale. E a chi ti interroga dì pure: “Sì. È Marziale. Quasi come il discepolo del Cristo al quale ha dato quel nome Maria”. Abbi coraggio nel bene, Giuseppe. E sarai grande, tanto grande».
«Maestro… come Tu vuoi. Io non ti voglio disgustare. E credi che… ho fatto bene anche come uomo?».
«Hai fatto bene. Il tuo dolore ti ha fatto buono. Perciò tutto è bene ciò che hai fatto. E bene è questo atto».
Dei picchi alla porta di strada interrompono la conversazione.
Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!