Vangelo Gv 13, 21-33. 36-38
«In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà».
Quando eravamo piccoli e andavamo al catechismo, nessuno voleva mai fare Giuda. E forse perché nessuno voleva trovarsi nell’imbarazzo di questa domanda. Tutti sapevamo chi era il colpevole, ma anche se lo sapevamo si creava in noi la paura che alla fine sarebbe stato chiaro davanti agli occhi di tutti che il colpevole era ognuno di noi. Credo che solo così si giustifica l’eccessiva curiosità dei discepoli di volerne scoprire il nome. E pur di saperlo sono disposti anche a giocarsi la carta del prediletto:
“Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò»”.
Se dovessimo fermarci solo alla semplice gestualità del racconto, dovremmo dire che Gesù indica il traditore con un gesto chiaro che è quello di dargli personalmente un boccone. Sacramentalmente dovremmo dire che Gesù gli pone chiaramente un gesto d’intimità, ma invece di essere per lui salvezza, questa intimità diventa in lui abisso di tenebra:
“E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto»”.
Troppo spesso ci sentiamo al sicuro semplicemente perché conserviamo una pratica cristiana vissuta più come amuleto che come redenzione. Pensiamo che siccome prendiamo l’eucarestia ogni giorno o diciamo delle preghiere questo ci terrà certamente al sicuro e dalla parte giusta. Il diavolo non è spaventato dai sacramenti, specie quando vengono presi senza che la persona decida seriamente di convertirsi. Anzi, paradossalmente accostarsi ai sacramenti senza desiderare davvero una conversione, non solo non ci tiene al sicuro ma ci fa “mangiare e bere la nostra condanna” dirà San Paolo.