Vangelo Mc 16, 15-20
“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”.
Andare e proclamare sono i due imperativi che Gesù lascia ai discepoli. Non si è cristiani quando ci si ferma e quando si sta zitti (che è cosa diversa dal silenzio). La stessa messa finisce con questo verbo in levare: “Andate in pace”. E oggi queste parole sono particolarmente significative perché oggi ricorre la festa di San Marco evangelista. Un uomo che ha dovuto fare tesoro soprattutto dell’esperienza degli apostoli più che per la sua diretta esperienza con Cristo.
Ciò però non lo ferma dal diventare un’evangelista. Cristo continua anche oggi a chiamarci, a farci fare esperienza di Lui e per far questo usa sempre l’umanità di qualcuno. Queste esperienze di Lui non sono esperienze di serie B. Sono esperienze importanti come lo furono quelle di Pietro e di Giovanni e di tutti coloro che vissero con Gesù lungo i tre anni di vita pubblica. Ogni cristiano è contemporaneo a Cristo. Ed è lo Spirito Santo che ci rende Suoi contemporanei. Ogni parola del vangelo è rivolta a noi.
La Sua morte è morte per me. La Sua Resurrezione è resurrezione per me. E a me e a te oggi chiede di “andare e proclamare in tutto il mondo il Suo Vangelo”. I nostri no e i nostri si non sono no e si ad esperienze di serie B. Sono no e si al Figlio di Dio. Poiché “Gesù Cristo è sempre lo stesso, ieri, oggi e sempre”. E noi siamo il Marco di oggi.
E a noi è consegnato un potere da esercitare: contrapporsi al male, farsi capire, creare comunione, aver cura. Un cristiano dovrebbe essere un costante miracolo, non perché fa il prestigiatore ma perché sa vivere nel mondo senza lasciare mai al mondo l’ultima parola. Anzi c’è una storia che viene scritta proprio nel cuore delle contraddizioni della storia che ci tocca vivere. Dio scrive una storia di salvezza lì dove il mondo, il male, o ciò che ci capita vorrebbe semplicemente scrivere la parola fine.
Ecco che cos’è un evangelista, uno che si fa megafono, che si fa voce di una simile buona notizia.