Teodosio I il Grande, chiamato da Graziano a governare l’impero d’Oriente, portò avanti il progetto dell’imperatore, anche dopo la morte di lui, di costituire uno stato religiosamente unito e compatto e tentò di imporre su tutto l’impero romano, anche con la forza, il cristianesimo. Fu il vero fondatore del primo stato cristiano e visse ai tempi di S. Agostino (28 ago.), il più grande Padre della Chiesa occidentale, in un’era in cui l’imperatore aveva un ruolo decisivo nello stabilire chi poteva essere considerato cristiano ortodosso e chi eretico o pagano, nonché nel comminare le pene conseguenti.
Nel 380 Teodosio e Graziano avevano pubblicato un decreto secondo il quale tutti i sudditi dovevano professare la fede dei vescovi di Roma e Alessandria; chi non avesse obbedito agli editti imperiali sarebbe stato considerato «pazzo e malato di mente» (Codex Th_ eodosianus 16,2). Furono proibiti i sacrifici e combattuti l’arianesimo e altre eresie. Le assemblee illegali presso privati vennero interdette e le case confiscate. Nel 384 l’altare della Vittoria fu tolto dal Senato.
Otto anni dopo l’editto, Teodosio mandò un ufficiale in Egitto, Siria e Asia Minore per rendere effettivo un decreto che ordinava la distruzione di tutti i templi pagani.
Questa politica spietata e violenta scatenò l’ira dei non cristiani. I monaci iniziarono a percorrere le province orientali distruggendo templi e opere d’arte, mentre orde di saccheggiatori derubavano non solo i santuari, ma anche i villaggi e intere regioni accusate di eresia. Quando il prefetto imperiale arrivò ad Apamea in Siria, ordinò ai suoi soldati di distruggere il tempio di Zeus ma, poiché questo era un edificio ampio e ben costruito, gli inesperti soldati non riuscirono ad abbatterlo.
Il vescovo della città, Marcello, suggerì al prefetto di mandare i suoi uomini altrove, promettendo di provvedere egli stesso alla distruzione del tempio. Il giorno seguente un operaio si presentò al vescovo dicendo che avrebbe fatto il lavoro in cambio di una paga doppia. Marcello accettò: l’uomo fece crollare alcune colonne portanti e diede fuoco alle fondamenta. Il vescovo fece lo stesso con altri templi, fino a che ne trovò uno difeso dai suoi fedeli e «dovette allontanarsi dalla scena della battaglia, lontano dalla portata delle frecce, perché soffriva di gotta e non avrebbe potuto né combattere né scappare». Mentre osservava la battaglia dal suo rifugio, alcuni dei fedeli del tempio lo raggiunsero e, catturatolo, lo gettarono tra le fiamme. Trovati i colpevoli, i cristiani avrebbero voluto vendicarsi dell’assassinio, ma il sinodo della provincia non lo permise, ritenendo che la morte da martire imponesse al popolo solo di rallegrarsi per l’onore concesso da Dio al loro pastore.
Questo Marcello non deve essere confuso con un altro, nato ad Apamea e divenuto abate di Costantinopoli, la cui memoria è ricordata il 29 dicembre. Può apparire strano che questo aggressivo Marcello sia stato canonizzato nonostante il comportamento brutale nei confronti delle altre religioni, ma quest’impressione deriva da una concezione della tolleranza moderna (benché lungo tutti i secoli di cristianesimo abbia sicuramente avuto alcuni, anche se pochi, sostenitori).
MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Apamea in Siria, san Marcello, vescovo e martire, ucciso dalla furia dei pagani per aver abbattuto un tempio dedicato a Giove.
Nome: San Marcello di Apamea
Titolo: Vescovo e martire
Morte: 390 circa, Apamea, Siria
Ricorrenza: 14 agosto
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione