Nel 1940 la Santa Sede autorizzò un calendario liturgico per i cristiani cattolici in comunione con Roma, che includeva le feste di circa trenta santi russi, ventuno dei quali mai comparsi in un calendario latino, come il monaco S. Sergio di Radonezh, il più famoso e il più importante dei pustinniky, ovvero uomini della solitudine, che contribuirono a far respirare una nuova aria in Russia dopo le invasioni dei tartari nel XIII secolo, che avevano distrutto la cultura urbana nel meridione, indebolito i monasteri e lasciato il popolo demoralizzato e in disgrazia.
Questo santo, battezzato con il nome Bartolomeo, nacque nel 1315 circa in una ricca famiglia vicino a Rostov, sotto l’ultimo governante indipendente, di cui suo padre era segretario personale. Non sembra sia stato dotato intellettualmente; il fatto d’essere meno brillante dei due fratelli lo preoccupò per un periodo ma, anche se non aveva un vero entusiasmo per lo studio, riuscì a raggiungere la sua sola ambizione, apprendendo quel tanto che era necessario per studiare la Bibbia. I genitori, Kiril e Marya, furono vittime della politica espansionistica del principato di Mosca che includeva la distruzione del potere e l’influenza di Rostov. Quando Bartolomeo aveva di quindici anni circa, l’intera famiglia fu costretta a fuggire dalla zona, e a sistemarsi alla fine in un piccolo paese chiamato Radonezh, a circa ottanta chilometri a nord est di Mosca, dove vissero lavorando la terra. Nel 1335, alla morte dei genitori e all’età di vent’anni, Bartolomeo partì assieme a suo fratello vedovo Istvan, che era già monaco a Khotkhovo, per diventare eremita e realizzare l’ambizione che aveva da tempo.
Scelsero come eremo un luogo chiamato Makovka, attualmente noto come Troike-Sergievskaya Lavra, un tratto di terra collinare in una foresta, a diversi chilometri dal più vicino insediamento umano, dove predisposero il terreno e si accinsero subito alla costruzione di una capanna di legno e di una cappella. Al termine dei lavori, il vescovo metropolitano di Kiev, soddisfacendo la loro richiesta, inviò un sacerdote che dedicasse la cappella alla SS. Trinità (Svjataja Troica) una dedicazione insolita in Russia in quegli anni.
La vita eremitica non fu facile, tra le tentazioni, e in mezzo a branchi di lupi ed orsi. Un giorno l’anacoreta (l’eremita) nutrì un grande orso ponendo un pezzo di pane sul ceppo di un albero. L’orso ne mangiò, e da quel momento si affezionò a Sergio e visse nei pressi del suo rifugio.
Dopo non molto tempo, Istvan, dopo essersi accorto che probabilmente la vita d’eremita non cra ciò che desiderava, entrò in un monastero a Mosca, mentre Bartolomeo restò a vivere nell’eremo, e per un breve periodo, non si seppe più nulla di lui. Il suo biografo parla di tentazioni demoniache, di notti trascorse in preghiera, della minaccia delle bestie feroci, e di altri fenomeni che ricordano il Padri del Deserto, con un’ovvia differenza: Sergio, che aveva ricevuto l’abito e il nome religioso da Metrofano di Khotkhovo, probabilmente nell’ottobre 1337, non dovette affrontare le condizioni del deserto egiziano, ma quelle di un ambiente difficile caratterizzato principalmente da vento, pioggia e freddo.
Inevitabilmente, quando si diffuse la fama di Sergio, cominciarono a raccogliersi intorno a lui dei discepoli, che si costruivano ognuno la sua capanna, dando così origine al monastero della SS. Trinità: quando vi furono dodici membri, Sergio accettò di essere il loro abate e ricevette l’ordinazione sacerdotale a Pereyaslav Zalesky.
«Pregate per me,» disse loro «sono totalmente ignorante, e ho ricevuto un talento dall’alto di cui dover rendere conto, oltre al gregge che mi è stato affidato.» Con l’aumento del numero dei monaci, si cominciò a discutere che forma di vita monastica avrebbe condotto il monastero della SS. Trinità. In Oriente esistevano due correnti: quella eremitica e “idioritmica”, in base a cui ogni monaco possedeva la sua cella distinta sul suo lotto di terra ed era interamente responsabile della propria vita spirituale, e quella cenobitica, che prevedeva che la vita dei monaci fosse comunitaria.
Sergio preferì seguire la seconda, per motivi pratici oltre che religiosi. Il monastero aveva attratto molti contadini, e poiché presto si sviluppò una città, le provviste alimentari erano diventate scarse. Nel 1354, incoraggiato dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Sergio indirizzò il monastero definitivamente in q uest’ ultima direzione, scegliendo di osservare la Regola di S. Teodoro Studita (11 nov.).
Sfortunatamente ciò causò dei problemi, come spesso avviene in seguito ai cambiamenti, poiché alcuni monaci, risentiti di ciò che stava accadendo, desideravano che la direzione del convento passasse al fratello Istvan, che aveva fatto ritorno portando con sé l’altro fratello. La questione terminò nel 1358, con un incidente che coinvolse i due gruppi, un sabato dopo i Vespri. Sergio, preferendo non litigare con i suoi fratelli, si allontanò tacitamente, e si stabilì da solo lungo il fiume Kerzhach, vicino al monastero di Makrish. Alcuni suoi seguaci della SS. Trinità lo raggiunsero presto, causando il conseguente declino del monastero, perciò il vescovo metropolitano Alessio di Mosca, temendo la chiusura totale, inviò un messaggio a Sergio, assente già da quattro anni, chiedendogli di ritornare. Sergio accettò immediatamente, nominò un nuovo abate per il convento di Kerzhach e ritornò alla SS. Trinità, dove i monaci furono «così felici che alcuni baciarono le mani del padre, altri i piedi, altri ancora i lembi del suo abito».
Come nel caso di S. Bernardo di Clairvaux (20 ago.), S. Ugo di Lin coln (17 nov.), e di molti altri monaci santi prima e dopo di lui, Sergio era consultato da autorità ecclesiastiche e politiche. Fu fatto più di un tentativo di convincerlo a diventare patriarca di Mosca, ma rifiutò, preferendo svolgere il suo compito di mediatore e riconciliatore alla SS. Trinità.
Compì uno dei suoi interventi più famosi nelle fasi finali della disputa tra il principe di Mosca, Dmitri Ivanovich Donskoy, e il capo dei tartari, khan Mamai. Il primo, dovendo decidere se ritirarsi o sferrare un’offensiva, che in caso di fallimento avrebbe avuto conseguenze disastrose per la Russia, chiese consiglio a Sergio, che gli ricordò il dovere di difendere il popolo che Dio gli aveva affidato e lo congedò, facendolo accompagnare da due dei monaci che in precedenza erano stati soldati, con le parole «Dio sia con te». I tartari furono cacciati l’8 settembre 1380 nella battaglia di Kulikovo Pole, e Sergio che in quel momento stava pregando, si dice abbia comunicato alla congregazione la vittoria un’ora dopo che era stata conseguita («poiché era un veggente»).
Il suo incarico di mediatore lo costrinse ad allontanarsi frequentemente dal monastero, e si afferma che abbia sempre viaggiato a piedi nonostante dovesse percorrere lunghe distanze, senza curarsi della fatica.
Nel 1685 intervenne per l’ultima volta nel campo della politica, recandosi a Riazan per far riconciliare il principe Oleg di Riazan con Dmitri Donskoy. Al ritorno da questo viaggio, rinunciò al suo incarico d’abate in favore del successore prescelto, S. Nikon. Alcuni dei suoi discepoli sono tra i personaggi più venerati della Chiesa russa: S. Sava, S. Metodio di Pesnoche, S. Sergio di La Nouroma, S. Silvestro di Obnorsk e S. Abramo di Galitch.
I biografi di Sergio parlano dei suoi «diversi miracoli incomprensibili» e di una visione della Madre di Dio, la prima annotata dall’agiografia russa, ma danno poche informazioni sui fenomeni estatici e altri stati soprannaturali insoliti.
Sotto alcuni aspetti, deve essere sembrato una persona piuttosto normale: era appassionato e abile nel campo della carpenteria e del giardinaggio e, anche se non si opponeva per niente all’attività intellettuale, pensava che il lavoro manuale fosse necessario a creare l’equilibrio dell’individuo. Non era certamente erudito e la sua predicazione non era particolarmente eloquente, e sebbene qualcuno sostenesse di essere stato guarito dalle sue preghiere, non era un “guaritore”.
Il popolo era attratto da lui e lo cercava per qualcos’altro: per la presenza in lui dello Spirito Santo, che ardeva con un calore speciale, come modo di fissare tutta la sua attenzione sul suo interlocutore.
Nell’aprile 1392, sentendo prossima la fine, Sergio rinunciò all’incarico d’abate e nominò un successore, poi si ammalò per la prima volta nella sua vita. Circondato dai confratelli, ricevette gli ultimi sacramenti e morì in pace il 25 settembre. Fu seppellito nella chiesa principale del monastero (ora attrazione caratteristica della città di Sergicv Posad, precedentemente chiamata Zagorsk), che divenne importante nella storia della Russia, poiché vi fu battezzato l’erede dello zar, e che, subito dopo la morte di Sergio, diventò meta di pellegrinaggio popolare fino ai giorni nostri.
Alla chiusura forzata del monastero durante la rivoluzione nel 1917, le reliquie furono collocate nel “museo antireligioso” locale, ma riportate nel 1945, quando al monastero fu concessa la riapertura. Sergio, canonizzato prima del 1449, resta il santo russo più popolare, ed è menzionato durante la preparazione degli oggetti sacri nella liturgia ortodossa russa.
MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero della Santissima Trinità a Mosca in Russia, san Sergio di Radonez, che, dopo aver condotto vita eremitica in foreste selvagge, abbracciò la vita cenobitica e, eletto egúmeno, la propagò, mostrandosi uomo mite, consigliere di príncipi e consolatore dei fedeli.
Nome: San Sergio di Radonez
Titolo: Religioso ed eremita
Nome di battesimo: Sergij Radonežskij
Nascita: 1315 circa, Rostov, Russia
Morte: 25 settembre 1392, Sergiev Posad, Russia
Ricorrenza: 25 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione