Vangelo Lc 24, 13-35: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».

Giovanna EspositoVangeloLeave a Comment

Vangelo Lc 24, 13-35
Dal Vangelo secondo Luca

Ed ecco, in quello stesso giorno, [il primo della settimana], due [dei discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXXV. Apparizione ai discepoli di Emmaus.

   5 aprile 1945.
 
 1 Per una strada montuosa due uomini, di media età, vanno lesti volgendo le spalle a Gerusalemme, le cui alture scompaiono sempre più dietro le altre che si susseguono con ondulazioni di cime e di valli continue.
   Parlano fra di loro. E il più anziano dice all’altro, che avrà un trentacinque anni al massimo: «Credi che è stato meglio fare così. Io ho famiglia e tu ce l’hai. Il Tempio non scherza. Vuole proprio farla finita. Avrà ragione? Avrà torto? Non lo so. So che in esso è chiaro il pensiero di finirla per sempre con tutto questo».
   «Con questo delitto, Simone. Dàgli il nome giusto. Perché almeno delitto lo è».
   «Secondo. In noi l’amore fa lievito contro il Sinedrio. Ma forse… chissà!».
   «Niente. L’amore illumina. Non porta all’errore».
   «Anche il Sinedrio, anche i sacerdoti e i capi amano. Loro amano Jeovè, Colui che tutto Israele ha amato da quando il patto fu stretto fra Dio e i Patriarchi. Allora pure ad essi l’amo­re è luce e non porta errore!».
   «Non è amore per il Signore il loro. Sì. Israele da secoli è in quella Fede. Ma dimmi. Puoi dire che è ancora una fede quella che ci dànno i capi del Tempio, i farisei, gli scribi, i sacerdoti? Tu lo vedi. Con l’oro sacro al Signore — già si sapeva, o almeno si sospettava che ciò avvenisse — con l’oro sacro al Signore essi hanno pagato il Traditore e ora pagano le guardie. Il primo perché tradisse il Cristo, le seconde perché mentano. Oh! Io non so come la Potenza eterna si sia limitata a scardinare le muraglie e a lacerare il Velo! Ti dico che io avrei voluto che sotto le macerie seppellisse i nuovi filistei. Tutti!».
   «Clofa! Tu saresti tutto vendetta».
   «Vendetta sarei. Perché, ammettiamo che Egli fosse solo un profeta, è egli lecito uccidere un innocente? Perché innocente era! Lo hai mai visto fare uno dei delitti di cui fu accusato per ucciderlo?».
   «No. Nessuno.

 2 Però un errore lo ha fatto».
   «Quale, Simone?».
   «Quello di non sprigionare potenza dall’alto della sua Croce. Per confermare la nostra fede e per punire gli increduli sacrileghi. Egli doveva raccogliere la sfida e scendere di Croce».
   «Ha fatto di più. È risorto».
   «Sarà poi vero? Risorto come? Con lo Spirito solo o con lo Spirito e la Carne?».
   «Ma lo spirito è eterno! Non ha bisogno di risorgere!», esclama Cleofa.
   «Lo so anche io. Volevo dire: se è risorto con la sua unica natura di Dio, superiore ad ogni insidia dell’uomo. Perché ora il suo spirito fu insidiato col terrore dall’uomo. Hai sentito, eh? Marco ha detto che nel Getsemani, dove Egli andava a pregare contro un masso, è tutto sangue. E Giovanni, che ha parlato con Marco, gli ha detto: “Non far calpestare quel luogo, perché è sangue sudato dall’Uomo Dio”. Se ha sudato sangue prima della tortura, deve ben avere avuto terrore di essa!».
   «Nostro povero Maestro!…».
   Tacciono afflitti.

 3 Li raggiunge Gesù e chiede: «Di chi parlavate? Sentivo nel silenzio le vostre parole a intervalli. Chi fu ucciso?».
   È un Gesù velato sotto una apparenza modesta di povero viandante frettoloso. I due non lo ravvisano.
   «Sei d’altri luoghi, uomo? Non sostasti in Gerusalemme? La tua veste polverosa ed i sandali così ridotti ci paiono di instancabile pellegrino».
   «Lo sono. Vengo da molto lontano…».
   «Stanco sarai, allora. E vai lontano?».
   «Molto, ancora più di quanto Io ne venga».
   «Hai commerci da fare? Mercati?».
   «Ho da acquistare un numero sterminato di greggi per il più grande Signore. Tutto il mondo devo girare per scegliere pecore e agnelli, e scendere anche fra greggi selvatiche che pure, quando saranno rese domestiche, saranno migliori di quelle che selvatiche ora non sono».
   «Difficile lavoro. E hai proseguito senza sostare in Gerusalemme?».
   «Perché lo chiedete?».
   «Perché tu solo sembri ignorare quanto in essa è accaduto in questi giorni».
   «Che vi è accaduto?».
   «Tu vieni da lontano e perciò forse non sai. Ma la tua parlata è pure galilea. Perciò, anche se servo di un re straniero o figlio di galilei espatriati, saprai, se sei circonciso, che da tre anni nella patria nostra era sorto un grande profeta di nome Gesù di Nazaret, potente in opere e in parole davanti a Dio e agli uomini, che andava predicando per tutto il Paese. E si diceva il Messia. Le sue parole e le sue opere erano realmente da Figlio di Dio, come Egli si diceva. Ma solo da Figlio di Dio. Tutto Cielo… Ora tu sai perché…

 4 Ma sei circonciso?».
   «Primogenito sono e sacro al Signore».
   «Allora sai la nostra Religione?».
   «Non ne ignoro una sillaba. Conosco i precetti e gli usi. L’halascia, il midrascia e l’aggada mi sono note come gli elementi dell’aria, dell’acqua, del fuoco e della luce, che sono i primi a cui tende l’intelligenza, l’istinto, il bisogno dell’uomo che da poco è nato da seno».
   «Orbene, allora tu sai che Israele ebbe promesso il Messia, ma come re potente che avrebbe riunito Israele. Questo invece così non era…».
   «Come, dunque?».
   «Egli non mirava a terreno potere. Ma di un regno eterno e spirituale si diceva re. Egli non ha riunito, ma anzi ha scisso Israele, perché ora esso è diviso fra coloro che in Lui credono e coloro che malfattore lo dicono. In verità, di re non aveva stoffa, perché voleva solo mitezza e perdono. E come soggiogare e vincere con queste armi?…».
   «E allora?».
   «E allora i capi dei Sacerdoti e gli Anziani d’Israele lo presero e lo hanno giudicato reo di morte… accusandolo, per verità, di colpe non vere. Sua colpa era essere troppo buono e troppo severo…».
   «Come poteva, se era l’uno, essere l’altro?».
   «Poteva, perché era troppo severo nel dire le verità ai Capi d’Israele e troppo buono nel non fare su essi miracolo di morte, fulminando i suoi ingiusti nemici».
   «Severo come il Battista era?».
   «Ecco… non saprei. Duramente rimproverava, specie negli ultimi tempi, scribi e farisei, e minacciava quelli del Tempio come segnati dall’ira di Dio. Ma poi, se uno era peccatore e si pentiva, ed Egli vedeva nel suo cuore vero pentimento, perché il Nazareno leggeva nei cuori meglio che uno scriba nel testo, allora era più dolce di una madre».
   «E Roma ha permesso fosse ucciso un innocente?».
   «Lo ha condannato Pilato… Ma non voleva e lo diceva “Giusto”. Ma di accusarlo a Cesare lo minacciarono ed ebbe paura.

 5 Insomma fu condannato alla croce e vi morì. E questo, insieme al timore dei sinedristi, ci ha molto avviliti. Perché io sono Clofé figlio di Clofé e questo è Simone, ambedue di Emmaus, e parenti, perché io sono lo sposo della sua prima figlia, e discepoli del Profeta eravamo».
   «E ora più non lo siete?».
   «Noi speravamo che sarebbe Lui che libererebbe Israele e anche che, con un prodigio, confermasse le sue parole. Invece!…».
   «Che parole aveva dette?».
   «Te lo abbiamo detto: “Io sono venuto al Regno di Davide. Io sono il Re pacifico” e così via. E diceva: “Venite al Regno”, ma poi non ci ha dato il regno. E diceva: “Il terzo giorno risorgerò”. Ora è il terzo giorno che è morto. Anzi è già compiuto, perché l’ora di nona è già trascorsa, e Lui non è risorto. Delle donne e delle guardie dicono che sì, è risorto. Ma noi non lo abbiamo visto. Dicono le guardie, ora, che così hanno detto per giustificare il furto del cadavere fatto dai discepoli del Nazareno. Ma i discepoli!… Noi lo abbiamo tutti lasciato per paura mentre era vivo… e non certo lo abbiamo rapito ora che è morto. E le donne… chi ci crede ad esse? Noi ragionavamo di questo. E volevamo sapere se Egli si è inteso di risorgere solo con lo Spirito tornato divino, o se anche con la Carne. Le donne dicono che gli angeli — perché dicono di avere visto anche gli angeli dopo il terremoto, e può essere, perché già il venerdì sono apparsi i giusti fuori dai sepolcri — dicono che gli angeli hanno detto che Egli è come uno che non è mai morto. E tale infatti alle donne parve di vederlo. Ma però due di noi, due capi, sono andati al Sepolcro. E, se lo hanno visto vuoto, come le donne hanno detto, non hanno visto Lui, né lì, né altrove. Ed è una grande desolazione, perché non sappiamo più che pensare!».

 6 «Oh! come siete stolti e duri nel comprendere! e come lenti nel credere alle parole dei profeti! E non era ciò stato detto? L’errore di Israele è questo: dell’avere male interpretato la regalità del Cristo. Per questo Egli non fu creduto. Per questo Egli fu temuto. Per questo ora voi dubitate. In alto, in basso, nel Tempio e nei villaggi, ovunque si pensava ad un re secondo l’umana natura. La ricostruzione del regno d’Israele non era limitata, nel pensiero di Dio, nel tempo, nello spazio e nel mezzo, come fu in voi.
   Non nel tempo: ogni regalità, anche la più potente, non è eterna. Ricordate i potenti Faraoni che oppressero gli ebrei ai tempi di Mosè. Quante dinastie non sono finite, e di esse restano mummie senz’anima in fondo ad ipogei secreti! E resta un ricordo, se pur resta quello, del loro potere di un’ora, e anche meno, se misuriamo i loro secoli sul Tempo eterno. Questo Regno è eterno.
   Nello spazio. Era detto: regno di Israele. Perché da Israele è venuto il ceppo della razza umana; perché in Israele è, dirò così, il seme di Dio, e perciò, dicendo Israele, volevasi dire: il regno dei creati da Dio. Ma la regalità del Re Messia non è limitata al piccolo spazio della Palestina, ma si estende da settentrione a meridione, da oriente a occidente, dovunque è un essere che nella carne abbia uno spirito, ossia dovunque è un uomo. Come avrebbe potuto uno solo accentrare in sé tutti i popoli fra loro nemici e farne un unico regno senza spargere a fiumi il sangue e tenere tutti soggetti con crudeli oppressioni d’armati? E come allora avrebbe potuto essere il re pacifico di cui parlano i profeti?
   Nel mezzo: il mezzo umano, ho detto, è l’oppressione. Il mezzo sovrumano è l’amore. Il primo è sempre limitato, perché i popoli ben si rivoltano all’oppressore. Il secondo è illimitato, perché l’amore è amato o, se amato non è, è deriso. Ma, essendo cosa spirituale, non può mai essere direttamente aggredito. E Dio, l’Infinito, vuole mezzi che come Lui siano. Vuole ciò che finito non è perché eterno è: lo spirito; ciò che è dello spirito; ciò che porta allo Spirito. Questo è stato l’errore: di avere concepito nella mente un’idea messianica sbagliata nei mezzi e nella forma.
   Quale è la regalità più alta? Quella di Dio. Non è vero? Or dunque, questo Ammirabile, questo Emmanuele, questo Santo, questo Germe sublime, questo Forte, questo Padre del secolo futuro, questo Principe della pace, questo Dio come Colui dal quale Egli viene, perché tale è detto e tale è il Messia, non avrà una regalità simile a quella di Colui che lo ha generato? Sì, che l’avrà. Una regalità tutta spirituale ed eterna, pura da rapine e sangue, ignara di tradimenti e soprusi. La sua Regalità! Quella che la Bontà eterna concede anche ai poveri uomini, per dare onore e gioia al suo Verbo.

 7 Ma non è detto da Davide che questo Re potente ha avuto messa sotto i suoi piedi ogni cosa a fargli da sgabello? Non è detta da Isaia tutta la sua Passione e da Davide numerate, potrebbesi dire, anche le torture? E non è detto che Egli è il Salvatore e Redentore, che col suo olocausto salverà l’uomo peccatore?
   E non è precisato, e Giona ne è segno, che per tre giorni sarebbe ingoiato dal ventre insaziabile della Terra e poi ne sarebbe espulso come il profeta dalla balena? E non è stato detto da Lui: “Il Tempio mio, ossia il mio Corpo, il terzo dì dopo essere stato distrutto, sarà da Me (ossia da Dio) ricostruito”? E che pensavate? Che per magia Egli rialzasse le mura del Tempio? No. Non le mura. Ma Se stesso. E solo Dio poteva far sorgere Se stesso. Egli ha rialzato il Tempio vero: il suo Corpo di Agnello. Immolato, così come ne ebbe l’ordine e la profezia Mosè, per preparare il “passaggio” da morte a Vita, da schiavitù a libertà, degli uomini figli di Dio e schiavi di Satana.
   “Come è risorto?”, vi chiedete. Io rispondo: È risorto con la sua vera Carne e col suo divino Spirito che l’abita, come in ogni carne mortale è l’anima abitante regina nel cuore. Così è risorto dopo avere tutto patito per tutto espiare, e riparare all’Offesa primigenia e alle infinite che ogni giorno dall’Umanità vengono compite. È risorto come era detto sotto il velo delle profezie. Venuto al suo tempo, vi ricordo Daniele, al suo tempo fu immolato. E, udite e ricordate, al tempo predetto dopo la sua morte la città deicida sarà distrutta. 

 8 Io ve ne consiglio: leggete con l’anima, non con la mente superba, i profeti, dal principio del Libro alle parole del Verbo immolato; ricordate il Precursore che lo indicava Agnello; risovvenitevi quale era il destino del simbolico agnello mosaico. Per quel sangue furono salvati i primogeniti d’Israele. Per questo Sangue saranno salvati i primogeniti di Dio, ossia quelli che con la buona volontà si saranno fatti sacri al Signore. Ricordate e comprendete il messianico salmo di Davide e il messianico profeta Isaia. Ricordate Daniele, riportatevi alla memoria, ma alzando questa dal fango all’azzurro celeste, ogni parola sulla regalità del Santo di Dio, e comprenderete che altro segno più giusto non vi poteva essere dato più forte di questa vittoria sulla Morte, di questa Risurrezione da Se stesso compiuta.
   Ricordatevi che disforme alla sua misericordia e alla sua missione sarebbe stato il punire dall’alto della Croce coloro che su essa lo avevano messo. Ancora Egli era il Salvatore, anche se era il Crocifisso schernito e inchiodato ad un patibolo! Crocifisse le membra, ma libero lo spirito e il volere. E con questi volle ancora attendere, per dare tempo ai peccatori di credere e di invocare, non con urlo blasfemo, ma con gemito di contrizione, il suo Sangue su loro.

 9 Ora è risorto. Tutto ha compiuto. Glorioso era avanti la sua incarnazione. Tre volte glorioso lo è ora che, dopo essersi annichilito per tanti anni in una carne, ha immolato Se stesso, portando l’Ubbidienza alla perfezione del saper morire sulla croce per compiere la Volontà di Dio. Gloriosissimo, in un con la Carne glorificata, adesso che Egli ascende al Cielo ed entra nella Gloria eterna, iniziando il Regno che Israele non ha compreso.
 Ad esso Regno Egli, più che mai pressantemente, con l’amore e l’autorità di cui è pieno, chiama le tribù del mondo. Tutti, come videro e previdero i giusti di Israele ed i profeti, tutti i popoli verranno al Salvatore. E non vi saranno più Giudei o Romani, Sciti o Africani, Iberi o Celti, Egizi o Frigi. L’oltre Eufrate si unirà alle sorgenti del Fiume perenne. Gli iperborei a fianco dei numidi verranno al suo Regno, e cadranno razze e idiomi. Costumi e colori di pelle e capelli non avranno più luogo. Ma sarà uno sterminato popolo fulgido e candido, un unico linguaggio, un solo amore. Sarà il Regno di Dio. Il Regno dei Cieli. Monarca eterno: l’Immolato Risorto. Sudditi eterni: i credenti nella sua Fede. Vogliate credere per essere di esso.

 10Ecco Emmaus, amici. Io vado oltre. Non è concessa sosta al Viandante che tanta strada ha da fare».
   «Signore, tu sei istruito più di un rabbi. Se Egli non fosse morto, diremmo che Egli ci ha parlato. Ancora vorremmo udire da te altre e più estese verità. Perché ora, noi pecore senza pastore, turbate dalla bufera dell’odio d’Israele, più non sappiamo comprendere le parole del Libro. Vuoi che veniamo con te? Vedi, ci istruiresti ancora, compiendo l’opera del Maestro che ci fu tolto».
   «L’avete avuto per tanto e non vi poté fare completi? Non è questa una sinagoga?».
   «Sì. Io sono Cleofa, figlio di Cleofa il sinagogo, morto nella sua gioia di avere conosciuto il Messia».
   «E ancora non sei giunto a credere senza nube? Ma non è colpa vostra. Ancora dopo il Sangue manca il Fuoco. E poi crederete, perché comprenderete. Addio».
   «O Signore, già la sera si appressa e il sole si curva al suo declino. Stanco sei, e assetato. Entra. Resta con noi. Ci parlerai di Dio mentre divideremo il pane e il sale».

 11Gesù entra e viene servito, con la solita ospitalità ebraica, di bevande e acque per i piedi stanchi.
   Poi si mettono a tavola e i due lo pregano di offrire per loro il cibo.
   Gesù si alza tenendo sulle palme il pane e, alzati gli occhi al cielo rosso della sera, rende grazie del cibo e si siede. Spezza il pane e ne dà ai suoi due ospiti. E nel farlo si disvela per quello che Egli è: il Risorto. Non è il fulgido Risorto apparso agli altri a Lui più cari. Ma è un Gesù pieno di maestà, dalle piaghe ben nette nelle lunghe Mani: rose rosse sull’avorio della pelle. Un Gesù ben vivo nella sua Carne ricomposta. Ma anche ben Dio nella imponenza degli sguardi e di tutto l’aspetto.
   I due lo riconoscono e cadono in ginocchio… Ma, quando osano alzare il viso, di Lui non resta che il pane spezzato. Lo prendono e lo baciano. Ognuno prende il proprio pezzo e se lo mette, come reliquia, avvolto in un lino sul petto.
   Piangono dicendo: «Egli era! E non lo conoscemmo. Eppure non sentivi tu arderti il cuore nel petto mentre ci parlava e ci accennava le Scritture?».
   «Sì. E ora mi pare di vederle di nuovo. E nella luce che dal Cielo viene. La luce di Dio. E vedo che Egli è il Salvatore».

 12«Andiamo. Io non sento più stanchezza e fame. Andiamo a dirlo a quelli di Gesù, in Gerusalemme».
   «Andiamo. Oh! se il vecchio padre mio avesse potuto godere quest’ora!».
   «Ma non lo dire! Egli più di noi ne ha goduto. Senza il velo usato per pietà della nostra debolezza carnale, egli, il giusto Clofé, ha visto col suo spirito il Figlio di Dio rientrare nel Cielo. Andiamo! Andiamo! Giungeremo a notte alta. Ma, se Egli lo vuole, ci darà maniera di passare. Se ha aperto le porte di morte, ben potrà aprire le porte delle mura! Andiamo».
   E nel tramonto tutto porpureo vanno solleciti verso Gerusalemme.

   Cap. DCXXII. Apparizione a Giovanna di Cusa.

   4 aprile 1945.
 
 1 In una ricca stanza, dove a mala pena filtra la luce esterna, piange Giovanna tutta abbandonata su un sedile presso il basso letto coperto di splendide coperture. Piange con un braccio appoggiato alla sponda e la fronte sul braccio, tutta scossa dai singhiozzi che le devono rompere il petto. Quando, nell’affanno del piangere, solleva per un momento il viso, cercando aria, si vede una larga macchia d’umido sulla coperta preziosa, ed il suo viso è letteralmente inondato di lacrime. Poi torna a curvarlo sul braccio e torna a vedersi di lei solo il collo sottile e bianchissimo, la massa dei bruni capelli, le spalle e il sommo del tronco molto snelli. Il resto si perde nella penombra che annulla il corpo, fasciato nell’abito viola scuro.
   Senza spostare tenda o socchiudere porta, entra Gesù, e senza rumore le va vicino. Le sfiora i capelli con la Mano e chiede in un sussurro: «Perché piangi, Giovanna?».
   E Giovanna, che deve credere che sia il suo angelo che l’interroga, e che non vede nulla perché non alza il capo dalla sponda del letto, con un pianto più desolato dice il suo tormento: «Perché non ho più neppure il Sepolcro del Signore per andare a versare il mio pianto e non essere sola…».
   «Ma è risorto. Non ne sei felice?».
   «Oh! sì! Ma tutte lo hanno visto, meno io e Marta. E Marta certo lo vedrà a Betania… perché là è casa amica. La mia… la mia non è più casa amica… Tutto ho perduto con la sua Passione… E il mio Maestro e l’amore dello sposo… e la sua anima… perché non crede… non crede… e mi deride… e mi impone di non venerare neppure la memoria del mio Salvatore… per non rovinare lui… Per lui è più importante l’interesse umano… Io… io… io non so se continuare ad amarlo o ad averne ribrezzo. Non so se ubbidirlo come moglie o disubbidirlo, come l’anima vorrebbe, per il più grande sponsale dello spirito col Cristo a cui resto fedele… Io… io vorrei sapere… E chi mi dà consiglio se Lui non è più raggiungibile dalla povera Giovanna? Oh!… per il mio Signore la Passione è finita!… Ma per me è cominciata il Venerdì, e dura… Oh! che tanto debole sono e non ho forza di portare questa croce!…».
   «Ma se Egli ti aiutasse, la vorresti portare per Lui?».
   «Oh! sì! Purché Egli mi aiuti… Egli sa cosa è portare da solo la croce… Oh! pietà della mia sventura!…».
   «Sì. Io lo so cosa è portare da solo la croce. Per questo sono venuto e ti sono al fianco.

 2 Giovanna, comprendi Chi è che ti parla? La tua casa non è più amica del Cristo? Perché? Se egli, lo sposo terreno, è come astro coperto da una nube di miasmi umani, tu sei sempre Giovanna di Gesù. Non ti ha lasciata il Maestro. Gesù non lascia mai le anime a Lui sposate. È sempre il Maestro, l’Amico, lo Sposo, anche ora che è il Risorto. Alza il capo, Giovanna. Guardami. In quest’ora di ammaestramento segreto, e più dolce che se ti fossi apparso come alle altre, Io ti dico quale deve essere la tua condotta futura. Quella che dovrà essere di tante tue sorelle. Ama con pazienza e sommissione il turbato sposo. Aumenta la tua dolcezza più egli fermenta in sé amarezza di umane paure. Aumenta la tua luminosità spirituale più egli genera da sé ombre di terreni interessi. Sii fedele per due. E sii forte nel tuo sponsale dello spirito. Quante, in futuro, dovranno scegliere fra il volere di Dio e quello del consorte! Ma saranno grandi quando, sopra l’amore e la maternità, seguiranno Iddio. La tua passione incomincia. Sì. Ma tu vedi che ogni passione termina in una risurrezione…».
   Giovanna è andata piano piano alzando il capo. I suoi singhiozzi si sono diradati. Ora guarda e vede, e scivola in ginocchio, adorando e mormorando: «Il Signore!».
   «Sì. Il Signore. Tu vedi che, come con te, con nessuna Io sono stato. Ma Io vedo le necessità particolari e graduo il soccorso da dare alle anime che da Me aspettano aiuto. Sali il tuo calvario di sposa coll’aiuto della mia carezza e di quella del tuo innocente. È entrato con Me in Cielo e mi ha dato la sua carezza per te. Io ti benedico, Giovanna. Abbi fede. Io ti ho salvata. Tu salverai se avrai fede».

 3 Giovanna ora sorride e osa chiedere: «Dai bambini non vai?».
   «Li ho baciati all’aurora mentre ancora dormivano nel loro lettino, e mi hanno creduto un angelo del Signore. Gli innocenti li posso baciare quando voglio. Ma non li ho destati per non turbarli troppo. La loro anima conserva il ricordo del mio bacio… e lo trasmetterà, a suo tempo, alla mente. Nulla si perde di quanto è mio. Tu sii sempre una madre per essi. E sempre sii figlia di mia Madre. Non ti staccare mai totalmente da Lei. Ella ti perpetuerà, con soavità materna, ciò che fu la nostra amicizia. E portale i bambini. Ella ha bisogno di bambini per sentirsi meno sola della sua Creatura…».
   «Cusa non vorrà…».
   «Cusa ti lascerà fare».
   «Mi ripudierà, Signore?», è un grido di nuovo strazio.
   «È un astro offuscato. Riportalo alla luce col tuo eroismo di sposa e di cristiana. Addio. Fuorché alla Madre mia, non dire ad altri questa mia venuta. Anche le rivelazioni vanno dette a chi e quando è giusto farlo».
   Gesù le sorride sfolgorando, e nel fulgore scompare.
   Giovanna si alza, trasognata, combattuta fra la gioia e la pena, fra il timore di aver sognato e la certezza di avere visto.
   Ma quanto sente in sé la rassicura.

 4 Va dai piccoli, che giuocano quieti sulla terrazza superiore, e li bacia.
 «Non piangi più, mamma?», chiede timidamente Maria, non più la povera bambina miserella, ma una gracile e gentile fanciullina dalla veste ben curata ed i capellucci ravviati; e Mattia, bruno e snello con la sua esuberanza di maschietto, dice: «Dimmi chi ti fa piangere ed io lo punirò».
   Giovanna li raccoglie in un solo abbraccio sul cuore e dice, parlando sulla testolina castana di Maria, sui capelli bruni di Mattia: «Non piango più. Gesù è risorto e ci benedice».
   «Oh! allora non sanguina più? Non ha più male?», chiede Maria.
   «Stolta! Di’ piuttosto: non è più morto! Ora è felice, allora!… Perché essere morti deve essere brutto…», dice Mattia.
   «Allora non c’è più da piangere, mamma?», torna a chiedere Maria.
   «No. Voi innocenti, no. Cogli angeli giubilate».
   «Gli angeli!… Questa notte, non so che vigilia fosse, ho sentito una carezza e mi sono svegliata dicendo: “Mamma!”, ma non chiamavo te. Chiamavo la mamma morta, perché quella carezza era più leggera e più dolce delle tue, e ho aperto un momento gli occhi. Ma ho visto solo una grande luce e ho detto: “Il mio angelo mi ha baciata per consolarmi del gran dolore che ho per la morte del Signore”», dice Maria.
   «Anche io. Ma io avevo sonno molto e ho detto: “Sei tu?”. Pensavo al mio Custode e volevo dirgli: “Va’ a baciare Gesù e Giovanna, perché non abbiano più paura”, ma non ci sono riuscito. Ho ripreso a dormire e a sognare, e mi pareva di essere in Cielo con te e Maria. Poi è venuto quel terremoto e mi sono svegliato spaventato. Ma Ester mi ha detto: “Non avere paura. È già passato”, e io ho dormito ancora».
   Giovanna li bacia di nuovo e poi li lascia ai loro giuochi sereni

 5 e va alla casa del Cenacolo.
   Chiede di Maria. Entra da Lei. Chiude l’uscio e dice la sua grande parola: «Io l’ho veduto. A te lo dico. Io sono confortata e felice. Amami, perché Egli lo ha detto che ti devo stare unita».
   La Madre risponde: «Te l’ho già detto, che ti amo, nella giornata del sabato. Ieri. Poiché è ieri… E pare tanto lontana, quella giornata di pianto e tenebre, da questa di luce e sorriso!».
   «Sì… Tu hai già detto, ora ricordo, ciò che Egli ora mi ha ripetuto. Tu hai detto: “Noi donne dovremo fare perché noi siamo rimaste e gli uomini sono fuggiti… È sempre la donna la generatrice…”. Oh! Madre, aiutami a generare Cusa! Egli è fuggito dalla Fede!…». Giovanna piange di nuovo.
   Maria la prende fra le braccia: «Più forte della fede è l’amore. È la più attiva virtù. Con essa creerai l’anima novella di Cusa. Non temere. Ma io ti aiuterò».

   Cap. DCXXIII. Apparizione a Giuseppe d’Arimatea, a Nicodemo e a Mannaen.

   4 aprile 1945.
 
 1 Mannaen, insieme ai pastori, va svelto per le pendici che da Betania conducono a Gerusalemme. Una bella strada va diretta in direzione dell’Uliveto. E verso essa piega Mannaen dopo avere lasciato i pastori, che alla spicciolata vogliono entrare in città per andare al Cenacolo.
   Poco prima, lo rilevo dai loro discorsi, devono avere incontrato Giovanni, che veniva verso Betania per portare la notizia della Risurrezione e l’ordine di essere tutti in Galilea fra qualche giorno. Si lasciano appunto perché i pastori vogliono ripetere personalmente a Pietro ciò che già hanno detto a Giovanni, ossia che il Signore, apparendo a Lazzaro, ha detto di riunirsi nel Cenacolo.
   Mannaen sale per una strada secondaria verso una casa in mezzo ad un uliveto. Una bella casa, che ha intorno una fascia di cedri del Libano, dominanti con le loro moli imponenti i numerosi ulivi del monte. Entra sicuro e al servo accorso dice: «Dove è il tuo padrone?».
   «Di là con Giuseppe. È venuto da un poco».
   «Digli che ci sono».
   Il servo va e torna con Nicodemo e Giuseppe.
   Le voci dei tre si mescolano in uno stesso grido: «È risor­to!». Si guardano, stupiti di saperlo tutti.

 2 Poi Nicodemo prende l’amico e lo trascina in una stanza interna. Giuseppe li segue.
   «Hai osato tornare?».
   «Sì. Egli lo ha detto: “Al Cenacolo”. Io lo voglio ben vedere, ora, glorioso, per levarmi il dolore del ricordo di Lui legato e coperto di sozzure come un malvivente colpito dallo sdegno del mondo».
   «Oh! noi pure vorremmo vederlo… E per levarci l’orrore del ricordo di Lui suppliziato, delle sue ferite senza numero… Ma Egli si è mostrato solo alle donne», mormora Giuseppe.
   «È giusto. Esse sono state fedeli a Lui sempre in questi anni. Noi avevamo paura. La Madre lo ha detto: “Un ben povero amore il vostro, se ha atteso questa ora per mostrarsi!”», obbietta Nicodemo.
   «Ma per sfidare Israele, a Lui più contrario che mai, avremmo ben bisogno di vederlo!…

 3 Se tu sapessi! Le guardie hanno parlato… Ora i Capi del Sinedrio e i farisei, non ancora convertiti da tanta ira del Cielo, vanno cercando chi può sapere della sua Risurrezione per imprigionarlo. Io ho mandato il piccolo Marziale — un fanciullo sfugge più e meglio — ad avvisare quelli della casa di stare all’erta. Dal Tesoro del Tempio hanno tratto denaro sacro per pagare le guardie, acciò dicano che i discepoli lo hanno rapito e che quanto hanno detto prima, della Risurrezione, non era che bugia per paura della punizione. La città bolle come un paiolo. E c’è chi, dei discepoli, già la lascia per paura… Voglio dire i discepoli che non erano a Betania…».
   «Sì, avremmo bisogno della sua benedizione per avere coraggio».
   «A Lazzaro è apparso… Era quasi l’ora di terza. Lazzaro ci apparve trasfigurato».
   «Oh! Lazzaro lo merita! Noi…», dice Giuseppe.
   «Sì. Noi siamo ancora incrostati di dubbio e di pensiero umano come da una lebbra mal guarita… E non c’è che Lui che può dire: “Io voglio che voi ne siate mondati”. Non parlerà dunque più, ora che è risorto, a noi che siamo i meno perfetti?», chiede Nicodemo.
   «E non farà più miracoli, per castigo del mondo, ora che è il Risorto da morte e dalle miserie della carne?», domanda di nuovo Giuseppe.
   Ma il loro chiedere non può avere che una risposta. La sua. E la sua non viene. I tre restano accasciati.

 4 Poi Mannaen dice: «Ebbene. Io vado al Cenacolo. Se mi uccideranno, Egli assolverà l’anima mia e lo vedrò in Cielo. Se no lo vedrò qui, in Terra. Mannaen è tanto inutile cosa nelle sue schiere che, se cade, lascerà lo stesso vuoto che lascia un fiore colto in un prato gremito di corolle: non si vedrà neppure…», e si alza per andare.
   Ma, mentre si volge verso la porta, questa si illumina del divino Risorto, che a palme aperte, in atto di abbraccio, lo ferma dicendo: «Pace a te! A voi pace! Ma rimanete dove siete tu e Nicodemo. Giuseppe può ancora andare, se crede. Ma qui mi avete, e dico la richiesta parola: “Io voglio che siate mondati da quanto di impuro resta nel vostro credere”. Domani scenderete in città. Andrete dai fratelli. Questa sera ho da parlare ai soli apostoli. Addio. E Dio sia sempre con voi. Mannaen, grazie. Tu hai creduto più di questi. Grazie, dunque, anche al tuo spirito. A voi grazie della vostra pietà. Fate che si muti in più alta cosa con una vita di intrepida fede».
   Gesù scompare dietro una incandescenza abbagliante.
   I tre sono beati e smarriti.
   «Ma era Lui?», chiede Giuseppe.
   «E non hai sentito la sua voce?», risponde Nicodemo.
   «La voce… può averla anche uno spirito… Tu, Mannaem, che gli eri tanto vicino, che ti parve?».
   «Un vero corpo. Bellissimo Respirava. Ne sentivo l’alito. E mandava calore. E poi… le Piaghe le ho viste. Parevano aperte allora. Non davano sangue, ma era carne viva. Oh! non dubitate più! Che Egli non vi castighi. Abbiamo visto il Signore. Voglio dire: Gesù tornato glorioso come sua Natura lo vuole! E… ci ama ancora… In verità, se ora Erode mi offrisse il regno, gli direi: “Mi è polvere e sterco il tuo trono e corona. Ciò che io possiedo nulla lo supera. Ho la conoscenza beata del Volto di Dio”».

   Cap. DCXXIV. Apparizione ai pastori.

   4 aprile 1945.
    
 1 Anche essi vanno lesti sotto gli ulivi, e sono talmente sicuri della sua Risurrezione che parlano con la letizia di bambini felici. Vanno direttamente verso la città.
   «Diremo a Pietro di guardarlo bene e di dirci come è bello il suo Volto», dice Elia.
   «Oh! io, per quanto possa essere bello, non potrò mai dimenticare come era torturato», mormora Isacco.
   «Ma lo hai presente quando è stato alzato con la Croce?», chiede Levi. «E voi altri?».
   «Perfettamente, io. Allora la luce era ancora buona. Dopo, coi miei vecchi occhi, non ho visto che ben poco», dice Daniele.
   «Io invece l’ho visto finché non parve morto. Ma avrei voluto essere cieco per non vedere», dice Giuseppe.
   «Oh! bene. Ora è risorto. Questo deve farci felici», lo consola Giovanni.
   «E il pensiero che noi non lo abbiamo lasciato altro che per una carità», aggiunge Gionata.
   «Ma il cuore è rimasto lassù. Sempre», mormora Mattia.
   «Sempre. Sì. Tu che lo hai visto sul Sudario, di’: come è? somigliante?», chiede Beniamino.
   «Come parlasse», risponde Isacco.
   «Lo vedremo quel velo?», chiedono in molti.
   «Oh! la Madre lo mostra a tutti. Lo vedrete certo. Ma è triste vista. Meglio sarebbe vedere…

 2 Oh! Signore!».
   «Servi fedeli. Eccomi. Andate. Vi attendo a giorni in Galilea. Ancora voglio dirvi che vi amo. Giona è beato, cogli altri, in Cielo».
   «Signore! Oh! Signore».
   «La pace a voi di buona volontà».
   Il Risorto si fonde nel raggio del vivo sole del mezzogiorno. Quando essi alzano il capo, Egli non c’è più. Ma c’è la grande gioia di averlo visto come è ora. Glorioso.
   Si alzano in piedi, trasfigurati di gioia. Nella loro umiltà non sanno capacitarsi di avere meritato di vederlo e dicono: «A noi! A noi! Come è buono il nostro Signore! Dalla nascita al suo trionfo, sempre umile e buono con i suoi poveri servi!».
   «E come era bello!».
   «Oh! bello così non fu mai! Che maestà!».
   «Sembra più alto ancora e più maturo d’anni».
   «È proprio il Re!».
   «Oh! lo dicevano il Re pacifico! Ma è anche il Re tremendo per coloro che devono avere timore del suo giudizio!».
   «Hai visto che raggi si sprigionavano dal suo Volto?».
   «E che balenii nei suoi sguardi!».
   «Io non osavo fissarlo. E fissarlo avrei pur voluto, perché penso che forse non mi sarà più concesso di vederlo così altro che in Cielo. E voglio conoscerlo per non averne tremore allora».

 3 «Oh! non dobbiamo temere se rimaniamo quali siamo: suoi servi fedeli. Hai udito: “Ancora voglio dirvi che vi amo. Pace a voi di buona volontà”. Oh! non una parola di troppo. Ma in questo poco c’è tutto il consenso sul nostro aver fatto fino ad ora e tutta la più alta promessa per la vita futura. Oh! intoniamo il canto della gioia. Della nostra gioia:
   
   “Gloria a Dio nei Cieli altissimi e pace in Terra agli uomini di buona volontà.
   Veramente il Signore è risorto, come aveva detto per bocca dei profeti e con la sua parola senza difetto.
   Ha perduto col Sangue tutto quanto il bacio di un uomo aveva in Lui deposto di corrotto;
   e, mondato come è l’altare, il suo Corpo ha assunto l’inesprimibile bellezza di Dio.
   Prima di salire ai Cieli si è mostrato ai suoi servi. Alleluia.
   Andiamo cantando, alleluia!, l’eterna giovinezza di Dio!
   Andiamo annunciando alle genti che Egli è risorto, alleluia!
   Il Giusto, il Santo è risorto, alleluia, alleluia!
   Dal Sepolcro è uscito immortale. E l’uomo giusto con Lui è risorto.
   Nel peccato come in grotta serrato era il cuore dell’uomo.
   Egli è morto per dire: ‘Sorgete!’. E i dispersi sono sorti, alleluia!
   Aperte le porte dei Cieli agli eletti ha detto: ‘Venite’.
   Ci conceda per il santo suo Sangue di salire noi pure. Alleluia!”».
   
   Mattia, l’anziano ex-discepolo di Giovanni Battista, va in testa cantando, come un tempo forse aveva cantato Davide davanti al suo popolo per le strade di Giudea. Gli altri lo seguono, facendo coro ad ogni “alleluia” con giubilo santo.

 4 Gionata, che fa parte del gruppo, dice, mentre già Gerusalemme è ai loro piedi dal piccolo colle che essi scendono a passo veloce: «Per la sua nascita ho perso la patria e la casa, e per la sua morte ho perso la nuova casa dove da trent’anni operai da onesto. Ma, anche mi fosse stata levata la vita per Lui, sarei morto in letizia, perché per Lui l’avrei persa. Non ho rancore per colui che è con me ingiusto. Il mio Signore mi ha insegnato col suo morire la perfetta mansuetudine. E non ho pensiero del domani. La mia dimora non è qui. Ma nel Cielo. Vivrò nella povertà a Lui tanto cara e lo servirò fino all’ora del suo chiamarmi… e… sì… gli offrirò anche la rinuncia… alla mia padrona… Questa è la spina più dura… Ma, ora che ho visto il dolore del Cristo e la sua gloria, non devo pesare il mio dolore, ma solo sperare la celeste gloria. Andiamo a dire agli apostoli che Gionata è il servo dei servi del Cristo».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!


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