I martiri della Rivoluzione francese sono commemorati collettivamente il 2 gennaio, mentre la festa in data odierna celebra un gruppo molto particolare di martiri, che morirono tutti in quattro prigioni a Parigi, il 2 e 3 settembre 1792. La Chiesa enumera e venera cento novantuno martiri, per la stragrande maggioranza ecclesiastici, ma la loro morte deve essere necessariamente vista nel contesto più ampio di una serie di atrocità sfrenate che provocarono la morte di molte altre persone che caddero per la loro fede, inclusi alcuni il cui nome è rimasto ignoto e più di quaranta giovani con meno di diciotto anni. Poiché il massacro avvenne illegalmente, gli archivi ufficiali erano quasi inesistenti, e persino questi rimasero distrutti nell’incendio all’Hotel de Ville a Parigi nel 1871. Le fonti d’informazione più importanti furono i testimoni oculari, in particolare quei pochi sacerdoti che riuscirono a scappare. Con la promulgazione della Costituzione Civile del Clero il 12 luglio 1790, l’Assemblea Costituente effettivamente alienò ogni sostegno che la Chiesa avrebbe potuto offrire alla Rivoluzione. Dichiarando che il clero francese era al servizio del pubblico, indipendente dalla Santa Sede, si richiedeva a ognuno di giurare alleanza alla Costituzione. Inizialmente ogni ecclesiastico che avesse rifiutato sarebbe stato privato di tutti suoi beni, ma successivamente, nel 1792, la condanna si tramutò in pena di morte.
Alcuni ecclesiastici, inclusi quattro vescovi e un certo numero di sacerdoti, che provenivano in gran parte da zone non urbane, non pensando che fosse un rinnegamento della fede e della morale, prestarono giuramento. La maggioranza, pensando fosse una mossa politica contro la Chiesa romana e un tentativo di creare una Chiesa nazionale, scismatica, al suo posto, rifiutò: si trattava dei re
La Chiesa s’indebolì, poiché divisa, sebbene le autorità gerarchiche condannassero immediatamente il decreto come illegale. Questa condanna fu confermata, ma solo dopo dieci mesi, il 10 marzo 1791, da papa Pio VI (1775-1799), che definì il decreto «eretico, contrario all’insegnamento cattolico, sacrilego, e in contrasto con i diritti della Chiesa». Per tutto il 1791, fu fatta pressione sui refrattari perché pronunciassero il giuramento; alcuni si recarono all’estero, e di quelli che abbandonarono le loro parrocchie, non pochi andarono a Parigi, dove vissero anonimamente tra i lazzaristi, i sulplici e altri. L’atteggiamento antireligioso dell’Assemblea Legislativa si rafforzò e il 29 novembre si decretò che ogni sacerdote che non avesse prestato giuramento entro otto giorni sarebbe stato accusato di avere mauvaises intentions vers la Patrie (in altre parole, di essere un traditore). Nell’aprile del 1792, questa accusa fu rivolta a quasi tutti i sacerdoti, senza tenere conto della loro opinione. La Francia aveva dichiarato guerra a una lega capeggiata dall’imperatore austriaco, Giuseppe II (1780-1790), e da Federico Guglielmo II (1786-1797), re di Prussia, e il papa era stato persuaso da sacerdoti emigrés a Roma a dichiarare il suo sostegno in favore della coalizione.
Schedati ora come nemici della Rivoluzione, gli ecclesiastici comparvero in modo prominente accanto ai membri dell’aristocrazia e a molti altri che furono arrestati durante le ultime due settimane dell’agosto 1792. Il giorno 23, la fortezza a Longwy si arrese alle armate della coalizione, il 30 Verdun fu posta sotto assedio, e la rivolta contadina della Vandea contro la Rivoluzione rese ulteriormente instabile una situazione già incerta. Lo stato d’animo che regnava a Parigi, dove la monarchia era stata appena abolita, era un miscuglio di panico, terrore e trionfalismo. Ci fu un’euforia marziale, quando il Concilio Esecutivo Provvisorio reclutò trentamila volontari, ma allo stesso tempo il popolo si convinse che, una volta che le truppe fossero partite, Parigi sarebbe stata indifesa contro una fuga di massa dalle prigioni. Nulla può giustificare ciò che accadde successivamente, ma parte della colpa risiede nel linguaggio infiammato e nell’atteggiamento laissezfaire dei capi della Rivoluzione. Domenica 2 settembre, Marat affermò retoricamente su L’Ami du Peuple: «Cittadini, il nemico è alle porte! […] Non un singolo nemico deve restare a Parigi per godere della nostra disfatta!».
Quello stesso pomeriggio, ventiquattro sacerdoti che erano stati segnalati per la deportazione furono assaliti da una folla ostile mentre si recavano sotto scorta armata dalla mairie alla prigione Abbaye. Fin qui la situazione fu contenuta, ma quando raggiunsero la prigione una folla più grande chiese che fossero “giudicati”, processo che fu condotto in modo sommario dal famigerato Stani-slao Maillard, che si era fatto un nome all’inizio della Rivoluzione e che ora capeggiava una compagnia di paramilitari. Quando i sacerdoti rifiutarono di prestare giuramento d’alleanza alla Costituzione furono lasciati nelle mani della folla, che ne uccise la maggioranza.
Nome: Beati Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld
Titolo: Martiri della Rivoluzione francese
Ricorrenza: 2 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione