Vangelo Gv 10, 31-42: “Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere”

FrancescoVangeloLeave a Comment


Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DXXXVII. Al Tempio nella festa della Dedicazione, Gesù si manifesta ai Giudei che tentano di lapidarlo.

Stare fermi non è possibile nella mattinata fredda e ventosa. Sulla cima del Moria il vento che viene in direzione nord-est si abbatte frizzante, facendo svolazzare le vesti e arrossando i volti e gli occhi. Eppure vi è della gente che è salita al Tempio per le preghiere. Mancano invece assolutamente i rabbi coi rispettivi gruppi degli allievi. E il portico pare più vasto, e soprattutto più dignitoso, privato della congrega vociante e pomposa che l’occupa di solito.
   E deve essere una cosa molto strana vederlo così vuoto, perché tutti se ne stupiscono come di cosa nuova. E Pietro se ne insospettisce anche. Ma Tommaso, che sembra ancor più robusto, avvolto come è in un largo e pesante mantello, dice: «Si saranno chiusi in qualche stanza per paura di perdere la voce. Li rimpiangi?», e ride.
   «Io no! Mai più li vedessi! Ma non vorrei che fosse…», e guarda l’Iscariota che non parla, ma che afferra l’occhiata di Pietro e dice: «Veramente hanno promesso di non dare altra noia, fuorché nel caso che il Maestro li… scandalizzi. Certo che saranno vigilanti, ma posto che qui non si pecca, né si offende, essi stanno assenti».
   «Meglio così. E Dio ti benedica, ragazzo, se ci sei riuscito a farli ragionare».
   È presto ancora. Poca gente è nel Tempio. Dico «poca», e questo pare, data la vastità di esso, che per apparire pieno abbisogna di masse di popolo. Due o trecento persone neppur si vedono in quel complesso di cortili, portici, atri, corridoi…
   Gesù, unico Maestro nel vasto portico dei Pagani, va in su e in giù, parlando con i suoi e con i discepoli che ha trovato già nel recinto del Tempio. Risponde alle loro obbiezioni o domande, chiarisce punti che essi non hanno saputo chiarire a se stessi e ad altri.
   Vengono due gentili, lo guardano, vanno via senza dire nulla. Passano degli addetti al Tempio, lo guardano, ma non dicono nulla neppur loro. Qualche fedele si accosta, saluta, ascolta. Ma sono pochi ancora.
   «Restiamo qui ancora?», domanda Bartolomeo.
   «Fa freddo e non c’è nessuno. Però fa piacere essere qui così in pace. Maestro, oggi sei proprio nella Casa del Padre tuo. E da padrone», dice sorridendo Giacomo d’Alfeo. E soggiunge: «Così doveva essere il Tempio quando erano Nehemia ed i re saggi e pii».

«Io direi di andare. Di là ci spiano…», dice Pietro.
   «Chi? Farisei?».
   «No. Quelli che sono passati prima ed altri. Andiamo via, Maestro…».
   «Attendo dei malati. Mi hanno visto entrare in città, la voce certo si è sparsa. Nelle ore più calde verranno. Restiamo almeno sino ad un terzo da sesta», risponde Gesù. E riprende a camminare avanti e indietro per non rimanere fermo in quell’aria cruda.
   Infatti dopo un poco, quando il sole cerca di mitigare gli effetti del tramontano, viene una donna con una bambina malata e chiede la guarigione. Gesù l’accontenta. La donna depone il suo obolo ai piedi di Gesù dicendo: «Questo per altri bambini che soffrono». L’Iscariota raccoglie le monete.
   Più tardi, su una barellina, portano un uomo anziano, malato nelle gambe. E Gesù lo risana.

 Terzo viene un gruppo di persone e pregano Gesù di uscire fuor dalle mura del Tempio per cacciare il demonio da una fanciulla, i cui gridi laceranti si sentono fin lì dentro. E Gesù si avvia dietro questi, uscendo nella strada che conduce in città. Della gente, fra la quale sono degli stranieri, si è stretta intorno a quelli che tengono la giovinetta, che spuma e si divincola stravolgendo gli occhi. Parolacce di ogni sorta escono dalle sue labbra, e tanto più escono più Gesù si avvicina a lei, così come cresce il suo dibattersi. A fatica la tengono quattro uomini giovani e robusti. E, con gli improperi, prorompono gridi di riconoscimento al Cristo e suppliche affannose dello spirito che la tiene per non essere cacciato, e anche delle verità, ripetute con monotonia: «Via! Non mi fate vedere questo maledetto! Va’ via! Via! Causa della nostra rovina. Lo so chi Tu sei. Tu sei… Tu sei il Cristo. Tu sei… Non ti ha unto altro olio che quello di lassù. La potenza del Cielo ti copre e ti difende. Ti odio! Maledetto! Non mi cacciare. Perché cacci noi e non ci vuoi, mentre tieni vicino una legione di demoni in un solo? Non lo sai che tutto l’inferno è in uno? Sì che lo sai… Lasciami qui, almeno sino all’ora di…». La parola si arresta delle volte come strozzata, altre volte cambia, o si ferma prima, o si prolunga fra gridi disumani come quando urla: «Lasciami entrare almeno in lui. Non mi mandare là nell’Abisso! Perché ci odii, o Gesù, Figlio di Dio? Non ti basta ciò che sei? Perché vuoi comandare anche su noi? Non vogliamo comando, noi! Perché sei venuto a perseguitarci, se noi ti abbiamo rinnegato? Va’ via! Non ci versare addosso i fuochi del Cielo! I tuoi occhi! Quando saranno spenti noi rideremo… Ah! No! Neanche allora… Tu ci vinci! Ci vinci! Sii maledetto Te e il Padre che ti ha mandato, e quello che da voi viene ed è voi… Aaaah! ».
   L’ultimo grido è addirittura spaventoso, di creatura scannata nella quale lentamente entri il ferro omicida, ed è originato dal fatto che Gesù, dopo aver troncato molte volte, per comando  mentale,  le  parole  dell’ossessa,  pone  fine  ad esse toccando con un dito la fronte della giovinetta. E il grido termina in una convulsione orrenda, sinché, con un fragore che ha della risata e del grido di un animale da incubo, il demonio la lascia urlando: «Ma non vado lontano… Ah! Ah! Ah!», seguito subito dallo schianto secco come di un fulmine, nonostante che il cielo sia tersissimo.

 Molti scappano terrorizzati. Altri si affollano ancor più ad osservare la giovinetta che si è calmata di colpo, accasciandosi fra le braccia di chi la teneva. Sta così pochi attimi e poi apre gli occhi, sorride, si vede fra la gente senza velo sul volto e sul capo e reclina il viso, per nasconderselo, sul braccio che alza al volto. Chi è con lei vorrebbe che ella ringraziasse il Maestro. Ma Egli dice: «Lasciatela nel suo pudore. La sua anima mi ringrazia già. Riconducetela a casa, dalla madre. È il posto suo di fanciulla…», e volge le spalle alla gente rientrando nel Tempio, al posto di prima.
   «Hai visto, Signore, che molti giudei ci erano venuti alle spalle? Ne ho riconosciuti alcuni… Eccoli là! Sono quelli che ci spiavano prima. Guarda come disputano fra loro…», dice Pietro.
   «Staranno stabilendo in chi di loro è entrato il diavolo. C’è anche Nahum, il fiduciario di Anna. È tipo adatto…», dice Tommaso.
   «Sì. E tu non hai visto, perché avevi le spalle voltate. Ma il fuoco si è aperto proprio sul suo capo», dice Andrea quasi battendo i denti.
   «Io gli ero vicino e ho avuto una paura!…».
   «Veramente erano tutti uniti, loro. Però io ho visto il fuoco aprirsi su di noi e ho creduto di morire… Anzi ho tremato per il Maestro. Pareva proprio sospeso sul suo capo», dice Matteo.
   «Ma no. Io invece l’ho visto uscire dalla fanciulla e scoppiare sul muro del Tempio», ribatte Levi, il pastore discepolo.
   «Non discutete fra voi. Il fuoco non indicò né questo né quello. Fu solo il segno che il demonio era fuggito», dice Gesù.
   «Ma ha detto che non andava lontano!…», obbietta Andrea.
   «Parole di demonio… Non vanno ascoltate. Lodiamo piuttosto l’Altissimo per questi tre figli di Abramo guariti nel corpo a nell’anima».

Intanto molti giudei, sbucati da questa e quella parte ? ma non fanno parte dei loro gruppi né un fariseo, né uno scriba, né un sacerdote ? si avvicinano e circondano Gesù, e uno si fa avanti dicendo: «Grandi cose Tu hai fatto in questo giorno! Opere veramente da profeta, e gran profeta. E gli spiriti degli abissi hanno detto di Te cose grandi. Ma le loro parole non possono essere accettate se non le conferma la tua parola. Noi sbigottiamo per quelle parole. Ma anche temiamo un grande inganno, poiché è noto che Belzebù è spirito di menzogna. Non vorremmo ingannarci né essere ingannati. Dicci dunque chi sei, con la tua bocca di verità e giustizia».
   «E non ve l’ho detto molte volte chi Io sono? Sono quasi tre anni che ve lo dico, e prima di Me ve lo disse Giovanni al Giordano e la Voce di Dio dai Cieli».
   «È vero. Ma noi non c’eravamo le altre volte. Noi… Tu che sei giusto devi capire il nostro affanno. Noi vorremmo credere in Te come Messia. Ma troppe volte ormai il popolo di Dio fu ingannato da falsi Cristi. Consola il nostro cuore, che spera e che attende, con una sicura parola, e noi ti adoreremo».
   Gesù li guarda severamente. I suoi occhi sembrano perforare le carni e mettere a nudo i cuori. Poi dice: «In verità molte volte gli uomini sanno dire menzogne meglio di Satana. No. Voi non mi adorerete. Mai. Qualunque cosa Io vi dica. E, anche giungeste a farlo, chi adorereste voi?».
   «Chi? Ma il nostro Messia! ».
   «Sareste da tanto? Chi è per voi il Messia? Rispondete, perché Io sappia ciò che valete».
   «Il Messia? Ma il Messia è colui che per mandato di Dio riunirà lo sparso Israele e ne farà un popolo trionfale, sotto il cui potere sarà il mondo. E che? Tu non lo sai ciò che è il Messia?».
   «Lo so come voi non lo sapete. Per voi dunque è un uomo che, superando Davide e Salomone e Giuda Maccabeo, farà di Israele la Nazione regina del mondo?».
   «Questo è. Dio lo ha promesso. Ogni vendetta, ogni gloria, ogni rivendicazione, verrà dal promesso Messia».
   «È detto: “Non adorerai altro che il Signore Iddio tuo”. Perché allora voi mi adorereste, se in Me soltanto poteste vedere l’Uomo?Messia?».
   «E che altro dobbiamo vedere in Te?».
   «Che? E con questi sentimenti mi venite ad interrogare? Razza di vipere subdole e velenose! E sacrileghe anche. Perché, se in Me voi non poteste vedere altro che il Messia umano e mi adoraste, sareste idolatri. Solo a Dio va data adorazione. Ed in verità vi dico una volta ancora che Colui che vi parla è da più del Messia che voi vi fingete con missione e mansioni e poteri quali voi, privi di spirito e sapienza, vi immaginate. Il Messia non viene a dare al suo popolo un regno quale voi vi credete, non viene ad esercitare vendette su altri potenti. Il suo Regno non è di questo mondo e il suo potere supera ogni potere limitato del mondo».

 «Tu ci mortifichi, Maestro. Se sei Maestro e noi siamo ignoranti, perché non ci vuoi istruire?».
   «Sono tre anni che lo faccio, e voi siete sempre più nelle tenebre perché respingete la Luce».
   «È vero. Forse è vero. Ma ciò che fu per il passato può non più essere nell’avvenire. E che? Tu che hai pietà dei pubblicani e delle meretrici e che assolvi i peccatori, vuoi essere senza pietà con noi, solo perché siamo di dura cervice e stentiamo a comprendere chi Tu sei?».
   «Non è che stentiate. È che non volete capire. Essere ebeti non sarebbe una colpa. Dio ha tante luci che potrebbe fare luce nell’intelletto più ottuso ma pieno di buona volontà. In voi questa manca. Anzi avete volontà opposta. Per questo non comprendete chi Io sono».
   «Sarà come Tu dici. Tu vedi come siamo umili. Ma te ne preghiamo nel nome di Dio. Rispondi alle nostre domande. Non ci tenere più oltre sospesi. Fino a quando il nostro animo deve rimanere incerto? Se sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
   «Ve l’ho detto. Nelle case, nelle piazze, per le vie, per i paesi, sui monti, lungo i fiumi, in faccia al mare, di fronte ai deserti, nel Tempio, nelle sinagoghe, sui mercati ve l’ho detto, e voi non credete. Non c’è posto di Israele che non abbia sentito la mia voce. Persino i luoghi che portano abusivamente il nome di Israele da secoli, ma che sono separati dal Tempio, persino i luoghi che hanno dato il nome a questa nostra Terra, ma che da dominanti sono divenuti soggetti, e mai però si liberarono completamente dai loro errori per venire alla Verità, persino la Siro?Fenicia, dai rabbi sfuggita come terra di peccato, hanno sentito la mia voce e conosciuto il mio essere.
   Ve l’ho detto, e alle mie parole non credete. Ho fatto, e alle mie azioni non avete posto mente con spirito buono. Lo aveste fatto, con l’intenzione retta di sincerarvi su di Me, sareste giunti alla fede in Me, perché le opere che Io faccio nel nome del Padre mio testimoniano di Me. Quelli di buona volontà, che sono venuti al mio seguito perché mi hanno riconosciuto Pastore, hanno creduto alle mie parole e alla testimonianza che dànno le mie opere.
   E che? Credete forse che ciò che Io faccio non abbia un fine di vostra utilità? Di utilità per le creature tutte? Disingannatevi. E non vogliate pensare che l’utile è dato dalla salute del singolo, riacquistata per il mio potere, o dalla liberazione dall’ossessione o dal peccato di questo o quello. Questa è un’utilità circoscritta all’individuo. Troppo poca cosa rispetto alla potenza che viene sprigionata, e dalla fonte soprannaturale, più che soprannaturale, divina, che la sprigiona, per essere l’unica utilità. Vi è l’utilità collettiva delle opere che Io faccio. L’utilità di levare ogni dubbio agli incerti, di convincere i contrari oltre che di rinforzare sempre più la fede dei credenti.
   Per questa utilità collettiva, a favore di tutti gli uomini presenti e futuri, perché le mie opere testimonieranno di Me presso i futuri e li convinceranno di Me, il Padre mio mi dà potere di fare ciò che faccio. Nulla è fatto senza un fine buono nelle opere di Dio. Ricordatevelo sempre. Meditate questa verità».

 Gesù ha un momento di arresto. Fissa lo sguardo su un giudeo che sta a capo chino a dice poi:
«Tu che stai così pensando, tu dalla veste color d’uliva matura, ti chiedi se ha fine buono anche Satana. Non essere stolto per essere a Me contrario e cercare l’errore nelle mie parole. Ti rispondo che Satana non è opera di Dio, ma della libera volontà dell’angelo ribelle. Dio lo aveva fatto suo ministro glorioso, e perciò lo aveva creato a fine buono. Ecco, ora tu, parlando col tuo io, dici: “Allora Dio è stolto, perché aveva donato la gloria ad un futuro ribelle e affidato i suoi voleri ad un disubbidiente”.
   Ti rispondo: “Dio non è stolto ma perfetto nelle sue azioni e pensieri. È il Perfettissimo. Le creature sono imperfette, anche le più perfette. Sempre un punto di inferiorità è in esse rispetto a Dio. Ma Dio, che le ama, ha concesso alle creature la libertà di arbitrio, perché attraverso ad essa la creatura si completi nelle virtù e si faccia perciò più simile al Dio e Padre suo”. E ancora ti dico, o derisore e astuto cercatore del peccato nelle mie parole, che dal Male, che si è volontariamente formato, Dio trae ancora un fine buono: quello di servire a far possessori gli uomini di una gloria meritata. Le vittorie sul Male sono la corona degli eletti. Se il Male non potesse suscitare una conseguenza buona per i volonterosi di volontà buona, Dio lo avrebbe distrutto. Perché nulla di quanto è nel Creato deve essere totalmente privo di incentivo o di conseguenza buoni.
   Non rispondi? Ti è duro dover proclamare che ti ho letto in cuore e che ho vinto le illazioni ingiuste del tuo pensiero tortuoso? Non ti forzerò a farlo. Al cospetto di tanti ti lascio nella tua superbia. Non reclamo che tu mi proclami vittorioso. Ma quando sarai solo con questi, simili a te, e con quelli che vi hanno mandato, allora confessa pure che Gesù di Nazaret ha letto i pensieri della tua mente e ti ha strangolato le obbiezioni nella strozza con la sola arma della sua parola di verità.
   Ma abbandoniamo questa interruzione personale e torniamo ai molti che mi ascoltano. Se anche uno solo di tanti, per le mie parole, convertisse il suo spirito alla Luce, sarebbe ricompensata la mia fatica di parlare a delle pietre, anzi a dei sepolcri pieni di vipere.

 Dicevo che quelli che mi amano mi hanno riconosciuto Pastore per le mie parole e le mie opere. Ma voi non credete, non potete credere, perché non siete delle mie pecorelle.
Cosa siete voi? Ve lo chiedo. Chiedetevelo nell’interno del cuore. Non siete stolti. Potete conoscervi per ciò che siete. Basta che ascoltiate la voce della vostra anima, che non è tranquilla di continuare a offendere il Figlio di Colui che l’ha creata. Voi, pur conoscendo ciò che siete, non lo direte. Non siete né umili né sinceri. Ma Io ve lo dico ciò che siete. Siete in parte lupi, in parte capretti selvatici. Ma nessuno di voi, nonostante la pelle di agnello che portate per fingervi agnelli, è vero agnello. Sotto il vello morbido e bianco avete tutti i colori feroci, le corna pontute e le zanne e gli artigli del caprone o della belva, e volete rimanere tali perché vi compiacete di esser tali, e sognate ferocia e ribellione. Perciò non mi potete amare e non potete seguirmi e comprendermi. Se entrate nel gregge è per nuocere, per dare dolore o portare disordine. Le mie pecore hanno paura di voi. Se fossero come voi siete, vi dovrebbero odiare. Ma essi non sanno odiare. Sono gli agnelli del Principe di pace, del Maestro di amore, del Pastore misericordioso. E non sanno odiare. Non vi odieranno mai, come Io non vi odierò mai. Lascio a voi l’odio, che è il malvagio frutto della concupiscenza triplice con l’io scatenato nell’animale uomo, che vive dimentico di essere anche spirito, oltre che carne. Io mi tengo ciò che è mio: l’amore. E questo comunico ai miei agnelli, e offro anche a voi per farvi buoni.
   Se vi faceste buoni, allora mi capireste e diverreste del mio gregge, simili agli altri che sono in esso. Ci ameremmo. Io e le mie pecore ci amiamo. Esse mi ascoltano, riconoscono la mia voce.
Voi non capite ciò che è in verità conoscere la mia voce. È non avere dubbi sulla sua Origine e distinguerla fra mille altre voci di falsi profeti come vera voce venuta dal Cielo. Ora e sempre, anche fra quelli che si credono, e in parte lo sono, seguaci della Sapienza, vi saranno molti che non sapranno distinguere la mia voce da altre voci che parleranno di Dio, più o meno con giustizia, ma che saranno tutte voci inferiori alla mia…».

 «Dici sempre che presto te ne vai e poi vuoi dire che sempre parlerai? Se te ne sarai andato non parlerai più», obbietta un giudeo con il tono sprezzante col quale parlerebbe ad un menomato mentale.
   Gesù risponde ancora, col suo tono paziente e accorato, che ha avuto soltanto un suono severo quando ha parlato in principio ai giudei, e dopo, quando ha risposto alle interne obbiezioni di quel giudeo: «Io parlerò sempre, perché il mondo non diventi tutto idolatra. E parlerò ai miei, eletti a ripetervi le mie parole. Lo Spirito di Dio parlerà, ed essi capiranno ciò che anche i sapienti non sapranno capire. Perché gli studiosi studieranno la parola, la frase, il modo, il luogo, il come, lo strumento attraverso i quali la Parola parla, mentre i miei eletti non si perderanno in questi studi inutili, ma ascolteranno, persi nell’amore, e capiranno poiché sarà l’Amore quello che parlerà. Essi distingueranno le ornate pagine dei dotti o le bugiarde pagine dei falsi profeti, dei rabbi di ipocrisia che insegnano dottrine inquinate o insegnano ciò che essi non praticano, dalle parole semplici, vere, profonde che da Me verranno. Ma il mondo li odierà per questo, perché il mondo odia Me?Luce e odia i figli della Luce, il tenebroso mondo che ama le tenebre propizie al suo peccare. Le mie pecore conoscono e conosceranno Me e mi seguiranno sempre, anche sulle vie di sangue e di dolore che Io percorrerò per il primo ed essi percorreranno dopo di Me. Le vie che conducono alla Sapienza le anime. Le vie che il sangue e il pianto dei perseguitati, perché insegnano la giustizia, fanno luminose perché spicchino nella caligine dei fumi del mondo e di Satana, a siano come scie di stelle per condurre chi cerca la Via, la Verità, la Vita, e non trova chi ad esse li conduca. Perché di questo hanno bisogno le anime: di chi le conduca alla Vita, alla Verità, alla Via giusta.
   Dio è pietoso verso le anime che cercano e non trovano, non per loro colpa, ma per infingardia dei pastori idoli. Dio è pietoso verso le anime che, lasciate a se stesse, si smarriscono e vengono accolte da ministri di Lucifero, pronti ad accogliere gli smarriti per farne proseliti delle loro dottrine. Dio è pietoso per quelli che cadono nell’inganno soltanto perché i rabbi di Dio, i cosiddetti rabbi di Dio, si sono disinteressati di essi. Dio è pietoso a tutti questi che vanno incontro allo sconforto, alle caligini, alla morte per colpa dei falsi maestri, che di maestri non hanno che la veste e l’orgoglio di essere detti tali. E per queste povere anime, come ha mandato i profeti per il suo popolo, come ha mandato Me per tutto il mondo, così dopo, dopo di Me, manderà i servi della Parola, della Verità e dell’Amore, a ripetere le parole mie. Perché sono le mie parole quelle che danno la Vita. Cosicché le mie pecorelle di ora e di poi avranno la Vita che Io do loro attraverso la mia Parola che è Vita eterna per chi l’accoglie, e non periranno mai e nessuno le potrà strappare dalle mie mani».

 10«Noi non abbiamo mai respinto le parole dei veri profeti. Abbiamo sempre rispettato Giovanni che è stato l’ultimo profeta», risponde con ira un giudeo, e i suoi compagni gli fanno eco.
   «È morto in tempo per non venirvi inviso ed essere perseguitato anche da voi. Se egli fosse ancora fra i vivi, il “non è lecito” detto per un incesto carnale lo direbbe anche a voi, che fate un adulterio spirituale fornicando con Satana contro Dio. E voi lo uccidereste come avete in animo di uccidere Me».
   I giudei tumultuano irosi, pronti già a colpire, stanchi di doversi fingere miti. Ma Gesù non se ne preoccupa. Alza la voce per dominare il tumulto e grida:
   «E mi avete chiesto chi Io sono, o ipocriti? Dicevate di voler sapere per essere sicuri? Ed ora dite che Giovanni fu l’ultimo profeta? E due volte vi condannate per peccato di menzogna. Una perché dite di non avere mai respinto le parole dei veri profeti, l’altra perché, dicendo che Giovanni è l’ultimo profeta e che voi credete ai veri profeti, escludete che Io sia anche profeta, almeno profeta, e profeta vero. Bocche di menzogna! Cuori d’inganno! Sì, in verità in verità Io, qui nella casa del Padre mio, proclamo che Io sono più che Profeta. Io ho quello che il Padre mio mi ha donato. Quello che il Padre mio mi ha donato è più prezioso di tutto e di tutti, perché è cosa sulla quale il volere e il potere degli uomini non può mettere le mani rapaci. Io ho quello che Dio mi ha donato e che, pur essendo in Me, è sempre in Dio, e nessuno può rapirlo dalle mani del Padre mio né a Me, perché è l’uguale Natura Divina. Io e il Padre siamo Uno». 
   «Ah! Orrore! Bestemmia! Anatema!!». L’urlio dei giudei rimbomba nel Tempio, e ancora una volta le pietre, usate dai cambiavalute e dai venditori di bestiame per tenere in sesto i loro recinti, sono fornitura per quelli che cercano armi atte a colpire.
   Ma Gesù si aderge con le braccia incrociate sul petto. È salito sopra un sedile di pietra per essere anche più alto e visibile, e di là li domina coi raggi dei suoi occhi di zaffiro. Domina e dardeggia. È così maestoso che li paralizza. In luogo di lanciare le pietre, le gettano o le tengono in mano, ma senza avere più l’audacia di lanciarle contro di Lui. Anche le urla si calmano in uno sbigottimento strano. È proprio Dio che balena nel Cristo. E quando Dio balena così, l’uomo anche più protervo si fa piccolo e spaurito.
   Penso quale mistero è nascosto nell’aver potuto i giudei essere tanto feroci nel Venerdì Santo. Quale nell’assenza di questo potere di domi-nazione nel Cristo in quel giorno. Veramente era l’ora delle Tenebre, l’ora di Satana, ed essi soli regnavano… La Divinità, la Paternità di Dio aveva abbandonato il suo Cristo, ed Egli era nulla più che la Vittima…

 11Gesù sta così qualche minuto. Poi riprende a parlare a questa turba venduta e vile, che ha perso ogni prepotenza soltanto per aver visto un baleno divino: «Ebbene? Che volete fare? Mi avete chiesto chi ero.
   Ve l’ho detto. Siete divenuti furenti. Vi ho ricordato quanto ho fatto, vi ho fatto vedere e ricordare molte opere buone provenienti dal Padre mio e compiute col potere che mi viene dal Padre mio. Per quale di queste opere mi lapidate? Per aver insegnato la giustizia? Per aver portato agli uomini la Buona Novella? Per essere venuto ad invitarvi al Regno di Dio? Per avere guarito i vostri malati, reso la vista ai vostri ciechi, dato moto ai paralitici, parola ai muti, liberato gli ossessi, risuscitato i morti, beneficato i poveri, perdonato ai peccatori, amato tutti, anche quelli che mi odiano: voi e quelli che vi mandano? Per quale dunque di queste opere voi mi volete lapidare?».
   «Non è per le opere buone che hai fatto che ti lapidiamo, ma per la tua bestemmia, perché Tu, essendo uomo, ti fai Dio».
   «Non è scritto nella vostra Legge: (Salmo 82, 6. Così annota MV su una copia dattiloscritta: S. Tommaso definisce l’uomo “un infinito in potenza” appunto perché ordinato a rendersi quanto più può “simile a Dio e a Lui somigliante”) “Io dissi: voi siete dèi e figli dell’Altissimo”? Ora, se “dèi” nominò Dio coloro ai quali parlò, dando un mandato: quello di vivere in modo che la somiglianza e l’immagine di Dio, che è nell’uomo, appaia manifesta e l’uomo non sia né demone né bruto; se “dèi” sono detti gli uomini nella Scrittura, tutta ispirata da Dio, e perciò la Scrittura non può essere modificata né annullata secondo il piacere e l’interesse dell’uomo; perché voi dite a Me che Io bestemmio, Io che il Padre ha consacrato ed inviato nel mondo, perché dico: “Sono Figlio di Dio”? Se Io non facessi le opere del Padre mio, avreste ragione di non credere a Me. Ma Io le faccio. E voi non volete credere a Me. Credete allora almeno a queste opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in Me e che Io sono nel Padre».

 12La bufera degli urli e delle violenze rincomincia più forte di prima. Da uno dei terrazzi del Tempio, sul quale certo erano in ascolto e nascosti sacerdoti, scribi e farisei, gracchiano molte voci: «Ma impadronitevi di questo bestemmiatore. Ormai la sua colpa è pubblica. Tutti abbiamo sentito. A morte il bestemmiatore che si proclama Dio! Dategli lo stesso castigo che al figlio di Salumit di Dabri. Sia portato fuori dalla città e lapidato! È nel nostro diritto! È detto: “Il bestemmiatore sia messo a morte”». (Levitico 24, 16, nel contesto dell’episodio (Levitico 24, 10?23) riguardante il figlio di Salumit di Dabri [o Selòmit, figlia di Dibri]. Già al capitolo 506 i farisei hanno invocato per Gesù la legge contro i bestemmiatori, a lo faranno ancora dinanzi a Pilato al Vol 10 Cap 604).
   Gli incitamenti dei capi acuiscono l’ira dei giudei. I quali tentano di impadronirsi di Gesù e di darlo legato in mano dei magistrati del Tempio, che stanno accorrendo seguiti dalle guardie del Tempio.
   Ma più svelti di loro sono ancora una volta i legionari che, vigilando dall’Antonia, hanno seguito il tumulto e che escono fuori dalla caserma, venendo verso il luogo dove si urla. E non portano rispetto a nessuno. Le aste delle lance manovrano a dovere sulle teste e le schiene. E si eccitano a vicenda con frizzi e insulti a lavorare sui giudei: «A cuccia, cani! Fate largo! Picchia sodo su quel tignoso, Licinio. Via!  La  paura  vi  fa  puzzare  più  che  mai!  Ma  che  mangiate, corvacci, per essere così fetenti? Dici bene, Basso. Si purificano ma puzzano. Guarda là quel nasuto! Al muro! Al muro, che ne prendiamo i nomi! E voi, gufi, scendete di lassù. Tanto vi conosciamo. Un buon rapporto avrà da stendere il Centurione per il Preside. No! Quello lascialo. È un apostolo del Rabbi. Non vedi che ha aspetto d’uomo e non di sciacallo? Guarda! Guarda come fuggono per quella parte! E lasciali andare! Per averli persuasi bisognerebbe infilarli tutti sulle aste! Allora soltanto li avremmo domati! Fosse domani! Ah! ma tu sei preso e non scappi. Ti ho visto, sai? La prima pietra è stata la tua. Ne risponderai di aver colpito un soldato di Roma… Anche questo. Ci ha maledetti imprecando alle insegne. Ah! Sì? Proprio? Vieni, che te le faremo amare nelle nostre carceri…». E così, caricando e schernendo, acciuffando alcuni, mettendo in fuga altri, i legionari sgombrano il vasto cortile.
   Ma è soltanto quando i giudei vedono arrestare realmente due di loro, che si svelano per quel che sono: vili, vili, vili. O fuggono schiamazzando come un branco di polli che veda calare lo sparviero, o si gettano ai piedi dei militi per supplicare pietà con un servilismo e una adulazione rivoltanti.
   Un graduato, ai polpacci del quale si attacca un vecchio grinzoso, uno dei più accaniti contro Gesù, chiamandolo “magnanimo e giusto”, se ne libera con una vigorosa scossa, che manda il giudeo a ruzzolare tre passi indietro, a grida: «Va’ via, vecchia volpe tignosa». E rivolto ad un compagno, mostrando il polpaccio, dice: «Hanno unghie di volpe e bava di serpe. Guarda qui! Per Giove Massimo! Ora vado subito alle Terme a cancellare i segni di quel vecchio bavoso!», e realmente se ne va, stizzito, col suo polpaccio rigato di sgraffi.
   Ho perduto affatto di vista Gesù. Non potrei dire dove è andato, per quale porta è uscito. Ho visto soltanto per qualche tempo emergere e scomparire nella confusione i volti dei due figli di Alfeo e di Tommaso, lottanti per farsi strada, e quelli di alcuni discepoli pastori intenti allo stesso lavoro. Poi anche essi mi sono spariti e non è rimasto che l’ultimo starnazzio dei perfidi giudei, intenti a correre qua a là per sottrarsi alla cattura e al riconoscimento da parte dei legionari, per i quali ho l’impressione che fosse una festa poter menar sodo sugli ebrei, e ripagarsi di tutto l’odio di cui si sanno gratificati.    

   Cap. DXLVII. Gesù decide di andare a Betania.

   24 dicembre 1946.
 
 1 La luce non è già più luce nell’orticello della casa di Salomon, e le piante, i contorni delle case oltre la via, e specie il fondo della via stessa, là dove la stradetta si annulla nella boschina del fiume, perdono sempre più i loro contorni netti, unificandosi in un’unica linea di ombre più o meno chiare, più o meno scure, nell’ombra della sera che cresce sempre più. Più che colori, le cose sparse sulla terra sono suoni, ormai. Voci di bimbi dalle case, richiami di madri, incitamenti di uomini alle pecore o all’asinello, qualche ultimo cigolare di carrucole nei pozzi, fruscio di foglie nel vento della sera, urti secchi, come di legnetti urtati fra loro, dei nocchi sparsi per la boschina. In alto il primo palpitare delle stelle, ancora incerto perché permane un ricordo di luce e perché la prima fosforescenza della luna comincia già a diffondersi nel cielo.
   «Il resto lo direte domani. Ora basta. È notte. E ognuno vada a casa. La pace a voi. La pace a voi. Sì… Sì… Domani. Eh? Che dici? Hai uno scrupolo? Dormici sopra sino a domani e poi, se non ti è passato, verrai. Ci mancherebbe altro! Anche gli scrupoli per affaticarlo di più! Anche gli smaniosi di guadagno! E le suocere che vogliono far rinsavire le spose, e le spose che vogliono far meno acide le suocere, e fra queste e quelle meriterebbero d’aver mozza la lingua tutte e due. E che c’è d’altro? Tu? Che dici? Oh! questo sì, poverino! Giovanni, conduci questo bambino dal Maestro. Ha la mamma malata e lo manda a dire a Gesù che preghi per lei. Poverino! È rimasto indietro perché piccino. E viene da lontano. Come farà a tornare a casa? Ehi! voi tutti! Invece di stare qui per godere di Lui, non potreste mettere in pratica ciò che il Maestro vi ha detto: di aiutarsi l’un l’altro, e i più forti di dare aiuto ai più deboli? Su! Chi accompagna a casa il fanciullo? Potrebbe, Dio non voglia, trovar morta la madre… Che almeno la veda. Asini ce ne avete… È notte? E cosa c’è di più bello della notte? Io ho lavorato per più lustri al lume delle stelle e sono sano e robusto. Lo conduci tu a casa? Dio ti benedica, Ruben. Ecco il fanciullo. Ti ha consolato il Maestro? Sì. Allora va’, e sii felice. Ma bisognerà dargli del cibo. È forse dal mattino che non mangia».
   «Il Maestro gli ha dato del latte caldo e pane e frutta; li ha nella tunichella», dice Giovanni.
   «Allora vai con quest’uomo. Ti porta a casa coll’asino».
   Finalmente la gente se ne è andata tutta, e Pietro può riposarsi insieme a Giacomo, Giuda, l’altro Giacomo e Tommaso, che lo hanno aiutato a mandare alle case i più ostinati.
   «Chiudiamo. Che non ci sia chi si pente e torna indietro, come quei due là. Auf! Ma il giorno dopo il sabato è ben faticoso!», dice ancora Pietro entrando nella cucina e chiudendo la porta: «Oh! ora staremo in pace».
2 Guarda Gesù che è seduto presso la tavola, col gomito su essa e il capo sorretto dalla mano, pensieroso, astratto. Gli va vicino, gli posa la mano sulla spalla e gli dice: «Sei stanco, eh! Tanta gente! Vengono da tutte le parti nonostante la stagione».
   «Sembra che abbiano paura di perderci presto», osserva Andrea che sta sventrando dei pesci. Anche gli altri si danno da fare a preparare il fuoco per arrostirli, o a rimestare delle cicorie in un paiolo che bolle. Le loro ombre si proiettano sulle pareti scure che il fuoco, più del lume, rischiara.
   Pietro cerca una tazza per dare del latte a Gesù, che sembra molto stanco. Ma non trova il latte e ne chiede conto agli altri.
   «Lo ha bevuto il bambino l’ultimo latte che avevamo. Il resto lo ebbe quel vecchio mendico e la donna dal marito infer­mo», spiega Bartolomeo.
   «E il Maestro è rimasto senza! Non dovevate dare tutto».
   «Ha voluto così Lui…».
   «Oh! Lui vorrebbe sempre così. Ma non si deve lasciarlo fare. Lui dà via le vesti, Lui dà via il suo latte, Lui dà via Se stesso e si consuma…». Pietro è malcontento.
   «Buono, Pietro! Dare è meglio che ricevere», dice Gesù quietamente uscendo dalla sua astrazione.
   «Già! E Tu dài, dài e ti consumi. E più ti fai vedere disposto a tutte le generosità, e più gli uomini se ne approfittano».
   E intanto, con delle foglie ruvide e sprigionanti un odore misto di mandorla amara e di crisantemo, struscia il tavolo, lo rende ben netto per deporvi sopra il pane, l’acqua, e mette una coppa davanti a Gesù. Gesù si versa subito da bere come se avesse una grande sete. Pietro mette un’altra coppa sull’altro lato del tavolo, presso un piatto con delle ulive e degli steli di finocchio selvatico. Aggiunge il vassoio dei radicchi che Filippo ha già conditi, e insieme ai compagni porta degli sgabelli molto primitivi in aggiunta alle quattro sedie che sono nella cucina, insufficienti a tredici persone.
   Andrea, che ha sorvegliato la cottura del pesce arrostito sulle braci, colloca il pesce su un altro piatto e con degli altri pani va verso la tavola. Giovanni leva la lucerna dal luogo dove era e la mette in mezzo al tavolo.
   Gesù si alza, mentre tutti si avvicinano alla tavola per la cena, e prega ad alta voce, offrendo il pane e benedicendo poi la mensa. Si siede imitato dagli altri e distribuisce il pane e i pesci, ossia depone i pesci sulle forme basse e larghe del pane, in parte fresco, in parte stantio, che ognuno si è messo davanti. Poi gli apostoli si servono dei radicchi usando del forchettone di legno infisso nei medesimi. Anche per la verdura il pane fa da piatto. Soltanto Gesù ha davanti un piatto di metallo largo e piuttosto malandato, e lo usa per dividere il pesce, dando ora a questo e ora a quello un boccone prelibato. Sembra un padre fra i suoi figli, sempre padre anche se Natanaele, Simone Zelote e Filippo sembrano padri a Lui, e Matteo e Pietro possono parere suoi fratelli più anziani.
 3 Mangiano e parlano degli avvenimenti del giorno, e Giovanni ride di gusto per lo sdegno di Pietro verso quel pastore dei monti di Galaad, che pretendeva che Gesù andasse lassù dove era il gregge per benedirlo e fargli guadagnare molto denaro per la dote da darsi alla figlia.
   «C’è poco da ridere. Finché ha detto: “Ho le pecore malate e se muoiono io sono rovinato”, l’ho compatito. È come se a noi pescatori si tarlasse la barca. Non si può più pescare e mangiare. E di mangiare tutti si ha diritto. Ma quando ha detto: “E le voglio sane perché voglio farmi ricco e sbalordire il paese per la dote che farò a Ester e per la casa che mi costruirò”, allora mi sono fatto brutto. Gli ho detto: “E per questo hai fatto tanta strada? Non hai a cuore che la dote e le ricchezze e le pecore tu? Non ci hai un’anima?”. Mi ha risposto: “Per quella c’è tempo. Ora mi premono più le pecore e le nozze, perché è un buon partito ed Ester comincia a invecchiare”. Allora, ecco, se non era che mi ricordavo che Gesù dice che si deve essere misericordiosi con tutti, stava fresco l’uomo! Gli ho parlato proprio fra tramontana e scirocco…».
   «E pareva che tu non avessi più a finire. Non prendevi fiato. Ti eran venute le vene del collo gonfie e sporgenti come due bastoni», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Era già via da un pezzo il pastore e tu continuavi a predicare. Meno male che dici che non sai parlare alla gente!», aggiunge Tommaso. E lo abbraccia dicendo: «Povero Simone! Che grossa ira che ha preso!».
   «Ma non avevo ragione forse? Cosa è il Maestro? Il facitor di fortune di tutti gli stolti di Israele? Il paraninfo delle altrui nozze, forse?».
   «Non ti inquietare, Simone. Ti fa male il pesce se lo mangi con quel veleno», stuzzica bonario Matteo.
   «Hai ragione. Ci sento in tutto il sapore che hanno i banchetti in casa dei farisei, quando mi mangio pane con timore e carne con ira».
   Ridono tutti. Gesù sorride e tace.
 4 Sono alla fine del pasto. Sazi, soddisfatti di cibo e di calore, stanno, un poco imprigriti, intorno alla tavola. Parlano anche meno, alcuni sonnecchiano. Tommaso si diverte a disegnare col coltello un rametto di fiori sul legno del tavolo.
   Li scuote la voce di Gesù che, disserrando le braccia che teneva conserte sull’orlo del tavolo e sporgendo le mani come fa il sacerdote quando dice “Dominus vobiscum”, dice: «Eppure bisogna andare!».
   «Dove, Maestro? Da quello delle pecore?», chiede Pietro.
   «No, Simone. Da Lazzaro. Torniamo in Giudea».
   «Maestro, ricordati che i giudei ti odiano!», esclama Pietro.
   «Volevano lapidarti or non è molto», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Ma, Maestro, questa è un’imprudenza!», esclama Matteo.
   «Non ti importa di noi?», chiede l’Iscariota.
   «Oh! Maestro e fratello mio, io te ne scongiuro in nome di tua Madre, e in nome anche della Divinità che è in Te, non permettere che i satana mettano le mani sulla tua persona, a strozza della tua parola. Sei solo, troppo solo contro tutto un mondo che ti odia e che è, sulla Terra, potente», dice il Taddeo.
   «Maestro, tutela la tua vita! Che sarebbe di me, di tutti, se non ti avessimo più?». Giovanni, sconvolto, lo guarda con occhi dilatati di bambino spaventato e addolorato.
   Pietro, dopo la prima esclamazione, si è voltato a parlare concitatamente con i più anziani e con Tommaso e Giacomo di Zebedeo. Sono tutti del parere che Gesù non deve tornare presso Gerusalemme, almeno fintanto che il tempo pasquale non faccia più sicura la permanenza colà, perché, dicono, la presenza di un numero stragrande di seguaci del Maestro, venuti per le feste pasquali da ogni parte della Palestina, sarà una difesa per il Maestro. Nessuno di quelli che lo odiano oserà toccarlo quando tutto un popolo sarà stretto intorno a Lui con amore… E glielo dicono, affannosamente, quasi prepotentemente… L’amore li fa parlare.
 5 «Pace! Pace! Non è forse di dodici ore la giornata? Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte inciampa perché non ci vede. Io so quello che mi faccio, perché la Luce è in Me. Voi lasciatevi guidare da chi ci vede. E poi sappiate che, sinché non è l’ora delle tenebre, nulla di tenebroso potrà avvenire. Quando poi sarà quell’ora, nessuna lontananza e nessuna forza, neppure le armate di Cesare, potranno salvarmi dai giudei. Poiché ciò che è scritto deve avvenire, e le forze del male già operano in occulto per compiere la loro opera. Perciò lasciatemi fare. E fare del bene sinché sono libero di farlo. Verrà l’ora in cui non potrò più muovere un dito né dire una parola per operare il miracolo. Il mondo sarà vuoto della mia forza. Ora tremenda di castigo per l’uomo. Non per Me. Per l’uomo che non mi avrà voluto amare. Ora che si ripeterà, per volontà dell’uomo che avrà respinto la Divinità sino a far di sé un senza Dio, un seguace di Satana e del suo figlio maledetto. Ora che verrà quando sarà prossima la fine di questo mondo. La non-fede imperante renderà nulla la mia potenza di miracolo. Non perché Io la possa perdere. Ma perché il miracolo non può essere concesso là dove non è fede e volontà di ottenerlo, là dove del miracolo si farebbe un oggetto di scherno e uno strumento di male, usando il bene avuto per fare un maggior male. Ora posso ancora fare il miracolo, e farlo per dare gloria a Dio.
 6 Andiamo, dunque, dal nostro amico Lazzaro che dorme. Andiamo a svegliarlo da questo sonno, perché sia fresco e pronto a servire il suo Maestro».
   «Ma se dorme è bene. Finirà di guarire. Il sonno è già un rimedio. Perché svegliarlo?», gli osservano.
   «Lazzaro è morto. Ho atteso che fosse morto per andare là, non per le sorelle e per lui. Ma per voi. Perché crediate. Perché cresciate nella fede. Andiamo da Lazzaro».
   «E va bene! Andiamo pure! Moriremo tutti come è morto lui e come Tu vuoi morire», dice Tommaso rassegnato fatalista.
   «Tommaso, Tommaso, e voi tutti che nell’interno avete critiche e brontolii, sappiate che chi vuol seguire Me deve avere per la sua vita la stessa cura che ha l’uccello per la nuvola che passa. Lasciarla passare a seconda che il vento la porta. Il vento è la volontà di Dio, il quale può darvi o levarvi la vita a suo piacere, né voi ve ne avete a rammaricare, come non se ne rammarica l’uccello della nube che passa, ma canta ugualmente, sicuro che dopo tornerà il sereno. Perché la nuvola è l’incidente, il cielo è la realtà. Il cielo resta sempre azzurro anche se le nuvole sembrano farlo grigio. È e resta azzurro oltre le nubi. Così è della Vita vera. È e resta, anche se la vita umana cade. Chi vuole seguirmi non deve conoscere ansia della vita e paura per la vita. Vi mostrerò come si conquista il Cielo. Ma come potrete imitarmi se avete paura di venire in Giudea, voi a cui nulla sarà fatto di male, ora? Avete scrupolo a mostrarvi con Me? Siete liberi di abbandonarmi. Ma, se volete restare, dovete imparare a sfidare il mondo con le sue critiche, le sue insidie, le sue derisioni, i suoi tormenti, per conquistare il Regno mio.
 7 Andiamo, dunque, a trarre da morte Lazzaro che dorme da due giorni nel sepolcro, essendo morto la sera che venne qui il servo da Betania. Domani all’ora di sesta, dopo aver licenziato chi attende il domani per avere da Me ristoro e premio alla sua fede, partiremo di qui e passeremo il fiume, sostando la notte in casa di Niche. Poi all’aurora partiremo per Betania, facendo la strada che passa per Ensemes. Saremo a Betania avanti sesta. E vi sarà molta gente. Ed i cuori resteranno scossi. L’ho promesso e lo mantengo…».
   «A chi, Signore?», chiede quasi timoroso Giacomo d’Alfeo.
   «A chi mi odia e a chi mi ama, ambedue in maniera assoluta. Non ricordate la disputa[105] a Cédès con gli scribi? Potevano ancora dirmi mendace per avere risuscitato una fanciulla appena morta e uno morto da un giorno. Hanno detto: “Ancor non hai saputo ricomporre uno sfatto”. Infatti soltanto Iddio può dal fango trarre un uomo e dalla putredine rifare un corpo intatto e vivente. Ebbene, Io lo farò. Alla luna di casleu, alle sponde del Giordano, ho ricordato Io stesso agli scribi questa sfida e ho detto: “Alla nuova luna si compirà”. Questo per chi mi odia. Alle sorelle, poi, che mi amano in maniera assoluta, ho promesso di premiare la loro fede se esse avessero continuato a sperare contro il credibile. Le ho molto provate e molto afflitte, e Io solo conosco le sofferenze dei loro cuori in questi giorni e il loro perfetto amore. In verità vi dico che meritano gran premio perché, più che del non vedere risorto il fratello, si angosciano che Io possa essere schernito. Vi parevo assorto, stanco e triste. Ero presso di loro col mio spirito e sentivo i loro gemiti e numeravo le loro lacrime. Povere sorelle! Ora Io ardo di ricondurre un giusto sulla Terra, un fratello fra le braccia delle sorelle, un discepolo fra i miei discepoli. Tu piangi, Simone? Sì. Tu e Io siamo i più grandi amici di Lazzaro, e nel tuo pianto è il dolore per il dolore di Marta e Maria e l’agonia dell’amico, ma è anche già la gioia di saperlo presto reso al nostro amore.
 8 Alziamoci, per preparare le sacche e andare al riposo per alzarci all’alba e riordinare qui dove… non è sicuro il ritorno. Bisognerà distribuire ai poveri quanto abbiamo e dire ai più attivi di trattenere i pellegrini dal cercarmi sinché non sarò in altro luogo sicuro. Bisognerà ancora dire loro di avvisare i discepoli che mi cerchino presso Lazzaro. Tante cose da fare. Saranno tutte fatte prima che giungano i pellegrini… Su. Spegnete il fuoco e accendete i lumi e ognuno vada a fare ciò che deve e al riposo. La pace a voi tutti».
   Si alza. Benedice e si ritira nella sua stanzetta…
   «È morto da più giorni!», dice lo Zelote.
   «Questo è un miracolo!», esclama Tommaso.
   «Voglio vedere cosa trovano poi per dubitare!», dice Andrea.
   «Ma quando è venuto il servo?», chiede Giuda Iscariota.
   «La sera avanti il venerdì», risponde Pietro.
   «Sì? E perché non lo hai detto?», chiede ancora l’Iscariota.
   «Perché il Maestro mi aveva detto di tacere», ribatte Pietro.
   «Dunque… quando noi si arriva là… sarà da quattro dì nel sepolcro?».
   «Certo, eh! Sera di venerdì un giorno, sera del sabato due giorni, questa sera tre giorni, domani quattro… Quattro dì e mezzo, dunque… Potenza eterna! Ma sarà già in pezzi!», dice Matteo.
   «Sarà già in pezzi… Voglio vedere anche questo e poi…».
   «Che, Simon Pietro?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «E poi, se Israele non si converte, neppure Jeovè fra i fulmini lo può convertire».
   Se ne vanno parlando così.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

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