Vangelo Gv 20, 19-31
Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Cap. DCXXVII. Apparizione agli apostoli nel Cenacolo.
6 aprile 1945.
1 Sono raccolti nel Cenacolo. La sera deve essere ben tarda, perché nessun rumore viene più dalla via né dalla casa. Penso che anche quelli che erano venuti prima si siano tutti ritirati o alle proprie case o a dormire, stanchi di tante emozioni.
I dieci invece, dopo avere mangiato dei pesci, di cui ancora qualcuno sussiste su un vassoio posato sulla credenza, stanno parlando sotto la luce di una sola fiammella del lampadario, la più vicina alla tavola. Sono ancora seduti alla stessa. E hanno discorsi spezzati. Quasi dei monologhi, perché pare che ognuno, più che col compagno, parli con se stesso. E gli altri lo lasciano parlare, magari parlando a loro volta di tutt’altra cosa. Però questi discorsi slegati, che mi fanno l’impressione dei raggi di una ruota sfasciata, si sente che appartengono ad un solo argomento che li accentra, anche se così sparsi. E che è Gesù.
2 «Non vorrei che Lazzaro avesse udito male, e meglio di lui avessero capito le donne…», dice Giuda d’Alfeo.
«A che ora ha detto di averlo visto la romana?», chiede Matteo. Nessuno gli risponde.
«Domani io vado a Cafarnao», dice Andrea.
«Che meraviglia! Fare sì che esca proprio in quel momento la lettiga di Claudia!», dice Bartolomeo.
«Abbiamo fatto male, Pietro, a venire via subito questa mattina… Fossimo rimasti, lo avremmo visto come la Maddalena», sospira Giovanni.
«Io non capisco come poté essere a Emmaus e in palazzo insieme. E come qui dalla Madre, e dalla Maddalena e da Giovanna insieme…», dice a se stesso Giacomo di Zebedeo.
«Non verrà. Non ho pianto abbastanza per meritarlo… Ha ragione. Io dico che per tre giorni mi fa aspettare per le mie tre negazioni. Ma come, come ho potuto fare quello?».
«Come era trasfigurato Lazzaro! Vi dico: pareva lui un sole. Io penso gli sia successo come a Mosè dopo avere visto Dio. E subito — vero, voi che eravate là? — subito dopo avere offerto la sua vita!», dice lo Zelote. Nessuno lo ascolta.
3 Giacomo d’Alfeo si volta da Giovanni e dice: «Come ha detto a quelli di Emmaus? Mi pare che ci abbia scusati, non è vero? Non ha detto che tutto è avvenuto per il nostro errore di israeliti sul modo di capire il suo Regno?».
Giovanni non gli dà nessuna retta e, volgendosi a guardare Filippo, dice… all’aria, perché a Filippo non parla: «A me basta di saperlo risorto. E poi… E poi che il mio amore sia sempre più forte. Visto, eh! È andato, se voi guardate, in proporzione all’amore che avemmo: la Madre, Maria Maddalena, i bambini, mia madre e la tua, e poi Lazzaro e Marta… Quando a Marta? Io dico quando ella intonò il salmo davidico: “Il Signore è mio pastore, non mi mancherà nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli, mi ha condotto ad acque ristoratrici. Ha richiamato a Sé l’anima mia…”. Ricordi come ci fece sussultare con quell’inaspettato canto? E quelle parole si riconnettono a quanto ha detto: “Ha richiamato a Sé l’anima mia”. Infatti Marta sembra avere ritrovato la sua via… Prima era smarrita, lei, la forte! Forse nel richiamo le ha detto il luogo dove la vuole.-È certo anzi, perché, se le ha dato appuntamento, deve sapere dove lei sarà. Che avrà voluto dire dicendo: “sponsali compiuti?”».
Filippo, che lo ha guardato un momento e poi lo ha lasciato monologare, geme: «Io non saprò che dirgli se viene… Io sono fuggito… e sento che fuggirò. Prima per paura degli uomini. Ora per paura di Lui».
«Dicono tutti: “è bellissimo”. Può mai essere più bello di quanto già era?», si chiede Bartolomeo.
«Io gli dirò: “Mi hai perdonato senza parola quando ero pubblicano. Perdonami anche ora col tuo silenzio, perché non merita la mia viltà la tua parola”», dice Matteo.
«Longino dice che ha pensato: “Devo chiedergli di guarire o di credere?”. Ma ha detto il suo cuore: “Di credere”, e allora la Voce ha detto: “Vieni a Me”, ed egli ha sentito la volontà di credere e la guarigione insieme. Me lo ha proprio detto così», afferma Giuda d’Alfeo.
«Io sono sempre fisso al pensiero di Lazzaro, premiato subito per la sua offerta… L’ho detto io pure: “La mia vita per la tua gloria”. Ma non è venuto», sospira lo Zelote.
4 «Che dici, Simone? Tu che sei colto, dimmi: che gli devo dire per fargli capire che lo amo e chiedo perdono? E tu, Giovanni? Tu hai parlato molto con la Madre. Aiutami. Non è pietà lasciare solo il povero Pietro!».
Giovanni si muove a compassione dell’avvilito compagno e dice: «Ma… ma io gli direi semplicemente: “Ti amo”. Nell’amore è compreso anche il desiderio del perdono e il pentimento. Però… non so. Simone, che dici tu?».
E lo Zelote: «Io direi quello che era il grido dei miracoli: “Gesù, pietà di me!”. Direi: “Gesù”. E basta. Perché è ben più del Figlio di Davide!».
«È ben quello che penso e che mi fa tremare. Oh! io nasconderò il capo… Anche stamane avevo paura di vederlo e…».
«… e poi sei entrato per primo. Ma non temere così. Sembra che tu non lo conosca», lo rincuora Giovanni.
5 La stanza si illumina vivamente come per un lampo abbagliante. Gli apostoli si celano il viso temendo sia un fulmine. Ma non odono rumore e alzano il capo.
Gesù è in mezzo alla stanza, presso la tavola. Apre le braccia dicendo: «La pace sia con voi».
Nessuno risponde. Chi più pallido, chi più rosso, lo fissano tutti con paura e soggezione. Affascinati e nello stesso tempo vogliosi quasi di fuggire.
Gesù fa un passo avanti, aumentando il suo sorriso. «Ma non temete così! Sono Io. Perché così turbati? Non mi desideravate? Non vi avevo fatto dire che sarei venuto? Non ve lo avevo detto fin dalla sera pasquale?».
Nessuno osa aprire bocca. Pietro piange già e Giovanni già sorride, mentre i due cugini, con gli occhi lustri e un movimento di parola senza suono sulle labbra, sembrano due statue raffiguranti il desiderio.
«Perché nei cuori avete pensieri così in contrasto fra il dubbio e la fede, l’amore e il timore? Perché ancora volete essere carne e non spirito, e con questo solo vedere, comprendere, giudicare, operare? Sotto la vampa del dolore non si è tutto arso il vecchio io, e non è sorto il nuovo io di una vita nuova?
6 Sono Gesù. Il vostro Gesù, risorto come aveva detto. Guardate. Tu che le hai viste le ferite e voi che ignorate la mia tortura. Perché quanto sapete è ben diverso dalla conoscenza esatta che ne ha Giovanni. Vieni, tu per il primo. Sei già tutto mondo. Tanto mondo che mi puoi toccare senza tema. L’amore, l’ubbidienza, la fedeltà già ti avevano fatto mondo. Il mio Sangue, di cui fosti tutto rorido quando mi deponesti dal patibolo, ti ha finito di purificare. Guarda. Sono vere mani e vere ferite. Osserva i miei piedi. Vedi come il segno è quello del chiodo? Sì. Sono proprio Io e non un fantasma. Toccatemi. Gli spettri non hanno corpo. Io ho vera carne sopra un vero scheletro».
Posa la Mano sul capo di Giovanni che ha osato andargli vicino: «Senti? È calda e pesante». Gli alita in volto: «E questo è respiro».
«Oh! mio Signore!», Giovanni mormora piano, così…
«Sì. Il vostro Signore. Giovanni, non piangere di timore e di desiderio. Vieni a Me. Sono sempre quello che ti amo. Sediamo, come sempre, alla tavola. Avete nulla più da mangiare? Datemelo, dunque».
Andrea e Matteo, con mosse da sonnambuli, prendono dalle credenze il pane e i pesci e un vassoio con un favo appena sbocconcellato in un angolo.
Gesù offre il cibo e mangia, e dà ad ognuno un poco di quanto mangia. E li guarda. Tanto buono. Ma tanto maestoso che essi ne sono paralizzati.
7 Osa parlare per primo Giacomo, fratello di Giovanni: «Perché ci guardi così?».
«Perché voglio conoscervi».
«Non ci conosci ancora?».
«Come voi non conoscete Me. Se mi conosceste, sapreste Chi sono e come vi amo, e trovereste le parole per dirmi il vostro tormento. Voi tacete. Come di fronte ad un estraneo potente di cui temete. Poco fa parlavate… Sono quasi quattro giorni che parlate con voi stessi dicendo: “Gli dirò questo…”, dicendo allo Spirito mio: “Torna, Signore, che io ti possa dire questo”. Ora sono venuto e voi tacete? Tanto mutato sono che più non vi paio Io? O tanto mutati siete da non amarmi più?».
Giovanni, seduto presso al suo Gesù, ha l’atto abituale di posargli la testa sul petto mentre mormora: «Io ti amo, mio Dio», ma si irrigidisce vietandosi questo abbandono per rispetto allo sfolgorante Figlio di Dio. Perché Gesù pare emanare una luce pur essendo di una carne pari alla nostra.
Ma Gesù se lo attira sul Cuore, e allora Giovanni apre la diga al suo pianto beato. Ed è il segnale a tutti di farlo.
8 Pietro, due posti dopo Giovanni, scivola fra la tavola e il sedile e piange gridando: «Perdono, perdono! Levami da questo inferno in cui sono da tante ore. Dimmi che hai visto il mio errore per quello che fu. Non dello spirito. Ma della carne che mi ha soverchiato il cuore. Dimmelo che hai visto il mio pentimento… Esso durerà fino alla morte. Ma Tu… ma Tu dimmi che come Gesù non ti devo temere… e io, e io… io cercherò di fare così bene da farmi perdonare anche da Dio… e morire… avendo solo un gran purgatorio da fare».
«Vieni qui, Simone di Giona».
«Ho paura».
«Vieni qui. Non essere oltre vile».
«Non lo merito di venirti accosto».
«Vieni qui. Che ti ha detto la Madre? “Se non lo guardi su questo sudario non avrai cuore di guardarlo mai più”. O uomo stolto! Quel Volto non ti ha detto col suo sguardo doloroso che ti capivo e che ti perdonavo? Eppure l’ho dato quel lino per conforto, per guida, per assoluzione, per benedizione… Ma che vi ha fatto Satana per accecarvi tanto? Ora Io ti dico: se non mi guardi ora che sulla mia gloria ho ancora steso un velo per adeguarmi alla vostra debolezza, non potrai mai più venire senza paura al tuo Signore. E che ti avverrà allora? Per presunzione peccasti. Vuoi ora tornare a peccare per ostinazione? Vieni, ti dico».
Pietro si trascina sui ginocchi, fra il tavolo e i sedili, con le mani sul volto piangente. Lo ferma Gesù, quando è ai suoi piedi, mettendogli la Mano sul capo. Pietro, con un pianto anche più forte, prende quella Mano e la bacia fra un vero singhiozzare senza freno. Non sa che dire: «Perdono! Perdono!».
Gesù si libera dalla sua stretta e, facendo leva della sua mano sotto il mento dell’apostolo, lo obbliga ad alzare il capo e lo fissa negli occhi arrossati, bruciati, straziati dal pentimento, coi suoi fulgidi Occhi sereni. Pare gli voglia trivellare l’anima. Poi dice: «Andiamo. Levami l’obbrobrio di Giuda. Baciami dove egli baciò. Lava col tuo bacio il segno del tradimento».
Pietro alza il capo, mentre Gesù si china ancora di più, e sfiora la guancia… poi china il capo sulle ginocchia di Gesù e sta così… come un vecchio bambino che ha fatto del male ma che è perdonato.
9 Gli altri, ora che vedono la bontà del loro Gesù, ritrovano un po’ di ardire e si accostano come possono.
Vengono prima i cugini… Vorrebbero dire tanto e non riescono a dire nulla. Gesù li carezza e rincuora col suo sorriso.
Viene Matteo con Andrea. Matteo dicendo: «Come a Cafarnao…», e Andrea: «Io, io… ti amo io».
Viene Bartolomeo gemendo: «Non sapiente fui. Ma stolto. Questo è sapiente», e accenna allo Zelote, al quale Gesù sorride già.
Giacomo di Zebedeo viene e sussurra a Giovanni: «Diglielo tu…»; e Gesù si volge e dice: «Da quattro sere lo hai detto e da tanto Io ti ho compatito».
Filippo, per ultimo, viene tutto curvo. Ma Gesù lo forza ad alzare il capo e gli dice: «Per predicare il Cristo occorre maggior coraggio».
10Ora sono tutti intorno a Gesù. Si rinfrancano piano piano. Ritrovano quanto hanno perduto o temuto di avere per sempre perduto. Riaffiora la confidenza, la tranquillità e, per quanto Gesù sia tanto maestoso da tenere in un rispetto nuovo i suoi apostoli, essi trovano finalmente il coraggio di parlare.
È il cugino Giacomo che sospira: «Perché ci hai fatto questo, Signore? Tu lo sapevi che noi non siamo nulla e che ogni cosa da Dio viene. Perché non ci hai dato la forza di essere al tuo fianco?».
Gesù lo guarda e sorride.
«Ora tutto è avvenuto. E nulla più Tu devi patire. Ma non mi chiedere più questa ubbidienza. Sono invecchiato ad ogni ora di un lustro, e le tue sofferenze, che l’amore e Satana ugualmente aumentavano nella mia immaginazione di cinque volte quel che già non fossero, hanno proprio consumato ogni mia forza. Non me ne è rimasta altro che per continuare ad ubbidire, tenendo, come un che affoga con le mani spezzate, la mia forza con la volontà come fossero i denti afferranti una tavola, per non perire… Oh! non chiedere più questo al tuo lebbroso!».
Gesù guarda Simone Zelote e sorride.
«Signore, Tu lo sai quello che voleva il mio cuore. Ma poi non ho più avuto cuore… come me lo avessero strappato i manigoldi che ti hanno preso… e mi è rimasto un buco da cui fuggiva ogni mio pensiero antecedente. Perché hai permesso questo, Signore?», chiede Andrea.
«Io… tu dici il cuore? Io dico che fui uno senza più ragione. Come chi prende un colpo di clava sulla nuca. Quando, a notte fatta, io mi trovai a Gerico… oh! Dio! Dio!… Ma può un uomo perire così? Io credo che così è la possessione. Ora la capisco cosa è questa cosa tremenda!…». Filippo sbarra ancora gli occhi al ricordo del suo soffrire.
«Ha ragione Filippo. Io guardavo indietro. Vecchio sono e non povero di sapienza. E più nulla sapevo di quanto avevo saputo fino a quell’ora.
11Guardavo Lazzaro, così straziato ma così sicuro, e mi dicevo: “Ma come può essere che egli sappia ancora trovare una ragione ed io nulla più?”», dice Bartolomeo.
«Io pure guardavo Lazzaro. E poiché io so appena ciò che Tu ci hai spiegato, non pensavo al sapere. Ma dicevo: “Almeno nel cuore fossi uguale!”; invece io non avevo che dolore, dolore, dolore. Lazzaro aveva dolore e pace… Perché a lui tanta pace?».
Gesù guarda a turno prima Filippo, poi Bartolomeo, poi Giacomo di Zebedeo. Sorride e tace.
Giuda dice: «Io speravo giungere a vedere ciò che certo Lazzaro vedeva. Per questo gli stavo sempre presso… Il suo viso!… Uno specchio. Un poco prima del terremoto del Venerdì egli era come uno che muore stritolato. E poi divenne di colpo maestoso nel suo dolore. Vi ricordate quando disse: “Il dovere compiuto dà pace”? Noi tutti credemmo fosse solo un rimprovero per noi o un’approvazione per se stesso. Ora penso che lo dicesse per Te. Era un faro nelle nostre tenebre, Lazzaro. Quanto gli hai dato, Signore!».
Gesù sorride e tace.
«Sì. La vita. E forse con quella gli hai dato un’anima diversa. Perché, infine, che è lui di diverso da noi? Eppure non è più un uomo. È già qualcosa di più dell’uomo e, per quello che era in passato, avrebbe dovuto essere ancora meno di noi perfetto di spirito. Ma lui si è fatto, e noi… Signore, il mio amore è stato vuoto come certe spighe. Solo pula ho dato», dice Andrea.
E Matteo: «Io nulla posso chiedere. Perché già tanto ho avuto con la mia conversione. Ma sì! Avrei voluto avere ciò che ebbe Lazzaro. Un’anima data da Te. Perché penso anche io come Andrea…».
«Anche Maddalena e Marta furono dei fari. Sarà la razza. Voi non le avete viste. Una era pietà e silenzio. L’altra! Oh! se siamo stati tutti un fascio intorno alla Benedetta, è perché Maria di Magdala ci ha stretti con le fiamme del suo coraggioso amore. Sì. Ho detto: la razza. Ma devo dire: l’amore. Ci hanno superati nell’amore. Per questo sono stati quelli che furono», dice Giovanni.
Gesù sorride e tace sempre.
«Ne hanno avuto gran premio però…».
«A loro apparisti».
«A tutti e tre».
«A Maria subito dopo tua Madre…».
È chiaro negli apostoli un rimpianto per queste apparizioni di privilegio.
«Maria ti sa risorto già da tante ore. E noi solo ora ti possiamo vedere…».
«Non più dubbi in loro. In noi, invece, ecco… solo ora sentiamo che nulla è finito. Perché a loro, Signore, se ancora ci ami e non ci ripudi?», chiede Giuda d’Alfeo.
«Sì. Perché alle donne, e specie a Maria? L’hai anche toccata sulla fronte, e lei dice che le pare di portare un serto eterno. E a noi, i tuoi apostoli, nulla…».
12Gesù non sorride più. Il suo Volto non è turbato, ma cessa il suo sorriso. Guarda serio Pietro che ha parlato per ultimo, riprendendo ardire man mano che la paura gli passa, e dice:
«Avevo dodici apostoli. E li amavo con tutto il mio Cuore. Io li avevo scelti e come una madre ne avevo curato la crescita nella mia Vita. Non avevo segreti per loro. Tutto dicevo, tutto spiegavo, tutto perdonavo. E le umanità, e le sventatezze, e le caparbietà… tutto. E avevo dei discepoli. Dei ricchi e dei poveri discepoli. Avevo donne dal fosco passato o dalla debole costituzione. Ma i prediletti erano gli apostoli.
È venuta la mia ora. Uno mi ha tradito e consegnato ai carnefici. Tre hanno dormito mentre Io sudavo sangue. Tutti, meno due, sono fuggiti per viltà. Uno mi ha rinnegato avendo paura, nonostante avesse l’esempio dell’altro, giovane e fedele. E, quasi non bastasse, fra i dodici ho avuto un suicida disperato e uno che ha dubitato tanto del mio perdono da non credere che a fatica, e per materna parola, alla Misericordia di Dio. Di modo che, se avessi guardato alla mia schiera, se l’avessi guardata con occhio umano, avrei dovuto dire: “Meno Giovanni, fedele per amore, e Simone, fedele all’ubbidienza, Io non ho più apostoli”. Questo avrei dovuto dire mentre soffrivo nel recinto del Tempio, nel Pretorio, per le vie e sulla Croce.
13Avevo delle donne… E una, la più colpevole in passato, è stata, come Giovanni ha detto, la fiamma che ha saldato le spezzate fibre dei cuori. Quella donna è Maria di Magdala. Tu mi hai rinnegato e sei fuggito. Ella ha sfidato la morte per starmi vicino. Insultata, ha scoperto il suo volto, pronta a ricevere sputi e ceffoni, pensando di assomigliare così di più al suo Re crocifisso. Schernita nel fondo dei cuori per la sua tenace fede nella mia Risurrezione, ha saputo continuare a credere. Straziata, ha agito. Desolata, stamane, ha detto: “Di tutto mi spoglio, ma datemi il mio Maestro”. Puoi osare ancora la domanda: “Perché a lei?”.
Avevo dei discepoli poveri: dei pastori. Poco li ho avvicinati, eppure come seppero confessarmi con la loro fedeltà!
Avevo delle discepole timide, come tutte le donne ebree. Eppure hanno saputo lasciare la casa e venire fra la marea di un popolo che mi bestemmiava, per darmi quel soccorso che i miei apostoli mi avevano negato.
Avevo delle pagane che ammiravano il “filosofo”. Per loro ero tale. Ma seppero scendere ad usi ebrei, le potenti romane, per dirmi, nell’ora dell’abbandono di un mondo d’ingrati: “Noi ti siamo amiche”.
14Avevo il volto coperto di sputi e sangue. Lacrime e sudore gocciavano sulle ferite. Lordure e polvere me lo incrostavano. Di chi la mano che mi deterse? La tua? o la tua? o la tua? Nessuna delle vostre mani. Costui era presso alla Madre. Costui riuniva le pecore sperse. Voi. E se sperse erano le mie pecore, come potevano darmi soccorso? Tu nascondevi il tuo volto per paura del disprezzo del mondo, mentre il tuo Maestro veniva coperto del disprezzo di tutto il mondo, Lui che era innocente.
Avevo sete. Sì. Sappi anche questo. Morivo di sete. Non avevo più che febbre e dolore. Il sangue era già corso nel Getsemani, tratto dal dolore di essere tradito, abbandonato, rinnegato, percosso, sommerso dalle colpe infinite e dal rigore di Dio. Ed era corso nel Pretorio… Chi mi volle dare una stilla per le fauci arse? Una mano d’Israele? No. La pietà di un pagano. La stessa mano che, per decreto eterno, mi aprì il petto per mostrare che il Cuore aveva già una ferita mortale, ed era quella che il non amore, la viltà, il tradimento, vi avevano fatta. Un pagano. Vi ricordo: “Ebbi sete e mi desti da bere”. Non uno che mi desse un conforto in tutto Israele. O per impossibilità di farlo, come la Madre e le donne fedeli, o per mala volontà di farlo. E un pagano trovò per lo Sconosciuto la pietà che il mio popolo mi aveva negato. Troverà in Cielo il sorso a Me dato.
In verità vi dico che, se Io ho rifiutato ogni conforto, perché quando si è Vittima non bisogna temperare la sorte, non ho voluto respingere il pagano, nella cui offerta ho sentito il miele di tutto l’amore che dai Gentili mi verrà dato a compenso dell’amarezza che mi dette Israele. Non mi ha levato la sete. Ma lo sconforto, sì. Per questo ho preso quel sorso ignorato. Per attirare a Me colui che già verso il Bene piegava. Sia benedetto dal Padre per la sua pietà!
15Non parlate più? Perché non chiedete ancora il perché ho così agito? Non osate di chiederlo? Io ve lo dirò. Tutto vi dirò dei perché di quest’ora.
Chi siete voi? I miei continuatori. Sì. Lo siete nonostante il vostro smarrimento. Che dovete fare? Convertire il mondo a Cristo. Convertire! È la cosa più delicata e difficile, amici miei. Gli sdegni, i ribrezzi, gli orgogli, gli zeli esagerati sono tutti deleteri alla riuscita. Ma, poiché nulla e nessuno vi avrebbe persuaso alla bontà, alla condiscendenza, alla carità per quelli che sono nelle tenebre, è stato necessario — comprendete? — necessario è stato che voi aveste, una buona volta, frantumato il vostro orgoglio di ebrei, di maschi, di apostoli, per dare luogo solo alla vera sapienza del ministero vostro. Alla mitezza, pazienza, pietà, amore senza borie e ribrezzi.
Voi vedete che tutti vi hanno superato nel credere e nell’agire, fra quelli che voi guardavate con sprezzo o con compatimento orgoglioso.Tutti. E la peccatrice di un giorno. E Lazzaro, intinto di cultura profana, il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato. E le donne pagane. E la debole moglie di Cusa. Debole? Invero ella tutti vi supera! Prima martire della mia fede. E i soldati di Roma. E i pastori. E l’erodiano Mannaen. E persino Gamaliele, il rabbino. Non sussultare, Giovanni. Credi tu che il mio Spirito fosse nelle tenebre? Tutti. E questo perché domani, ricordando il vostro errore, non chiudiate il cuore a chi viene alla Croce.
Ve lo dico. E già so che, nonostante lo dica, non lo farete che quando la Forza del Signore vi piegherà come fuscelli al mio Volere, che è quello di avere dei cristiani di tutta la Terra. Ho vinto la Morte. Ma è meno dura del vecchio ebraismo. Ma vi piegherò.
16Tu, Pietro, in luogo di stare piangente e avvilito, tu che devi essere la Pietra della mia Chiesa, scolpisciti queste amare verità nel cuore. La mirra è usata per preservare dalla corruzione. Intriditi di mirra, dunque. E quando vorrai chiudere il cuore e la Chiesa ad uno d’altra fede, ricorda che non Israele, non Israele, non Israele, ma Roma mi difese e volle avere pietà. Ricordati che non tu, ma una peccatrice seppe stare ai piedi della Croce e meritò di vedermi per prima. E per non essere degno di biasimo sii imitatore del tuo Dio. Apri il cuore e la Chiesa dicendo: “Io, il povero Pietro, non posso sprezzare, perché se sprezzerò sarò sprezzato da Dio ed il mio errore tornerà vivo agli occhi suoi”. Guai se non ti avessi spezzato così! Non un pastore ma un lupo saresti divenuto».
17Gesù si alza. Maestosissimo.
«Figli miei. Ancora vi parlerò nel tempo che fra voi resterò. Ma per intanto vi assolvo e perdono. Dopo la prova che, se fu avvilente e crudele, è stata anche salutare e necessaria, venga in voi la pace del perdono. E, con essa in cuore, tornate i miei amici fedeli e forti. Il Padre mi ha mandato nel mondo. Io mando voi nel mondo a continuare la mia evangelizzazione. Miserie di ogni sorta verranno a voi chiedendo sollievo. Siate buoni pensando alla miseria vostra quando rimaneste senza il vostro Gesù. Siate illuminati. Nelle tenebre non è lecito vedere. Siate mondi per dare mondezza. Siate amore per amare. Poi verrà Colui che è Luce, Purificazione e Amore. Ma intanto, per prepararvi a questo ministero, Io vi comunico lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi. A chi li riterrete saranno ritenuti. L’esperienza vostra vi faccia giusti per giudicare. Lo Spirito Santo vi faccia santi per santificare. Il sincero volere di superare il vostro mancamento vi faccia eroici per la vita che vi aspetta. Quanto ancora è da dire ve lo dirò quando l’assente sarà venuto. Pregate per lui. Rimanete con la mia pace e senza orgasmo di dubbio sul mio amore».
E Gesù scompare così come era entrato, lasciando fra Giovanni e Pietro un posto vuoto. Scompare in un bagliore che fa chiudere gli occhi tanto è forte. E, quando gli occhi abbacinati si riaprono, trovano solo che la pace di Gesù è rimasta, fiamma che brucia e che medica e che consuma le amarezze del passato in un unico desiderio: di servire.
Cap. DCXXVIII. Il ritorno di Tommaso e la sua incredulità.
7 aprile 1945.
1 I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.
Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».
«Ed io neppure», dice Giovanni.
«Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».
«Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».
«È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare di mostrarsi».
«Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Signore per lui? Ha detto: “il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.
«Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del Traditore», risponde Filippo.
2 «Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato a venditori di pesce, che… — sì, mi posso fidare di loro — che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.
«A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.
«Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.
«Ma come finì in quel posto? Era suo?».
«E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda di Keriot? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».
«Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi, che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di un fortezza».
«Di una fortezza? Oh! Simone! Di’ di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.
«Oh! sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia.
Ebreo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo Traditore”.
3 Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».
«Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».
«No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto Satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».
«Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».
«Eppure dovrai bene…».
«No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».
4 «Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile suo perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.
«Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.
«Io pure».
«Io pure».
«E anche io».
Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».
5 Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.
I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».
«Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai. Torna a battere l’oro”. E sono scappato…».
«Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».
«Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e lì mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».
«Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».
«Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».
«Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”. Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi». Elia se ne va.
6 «Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».
Tommaso non si scuote dal suo abbattimento. Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per le prime. Un uomo morto, da sé non risorge».
«Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».
«Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne basta di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».
«Ma se lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».
«Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro il dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo. Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».
«Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».
«No, poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».
«Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».
«Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».
«Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».
«Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».
E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che lo hanno visto, e come lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino, ripete: «Crederò se vedrò…».
La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.
Cap. DCXXIX. Apparizione agli apostoli con Tommaso. Discorso sulla dignità del sacerdozio e sui sacerdoti futuri.
9 agosto 1944.
[…]
1 Gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.
Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.
Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.
Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di porgere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.
2 Gesù è apparso in maniera molto curiosa. La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.
Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli angeli santi: immateriale. Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.
Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.
Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente. Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite. In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.
3 Giovanni lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.
Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.
Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».
Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni — anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato — chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.
Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.
4 L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.
Gesù, dando le sue Mani a baciare — gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa — gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undecimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.
Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».
Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.
Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.
Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.
«Ecco colui che non crede se non vede!», esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.
Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.
«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».
Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.
Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.
«Dammi la tua mano, Tommaso», dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.
Tommaso — pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio — riesce finalmente a parlare e a spiccicare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.
Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».
5 Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.
«Mangiate, amici», dice Gesù.
Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.
Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.
Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul Cuore e parla tenendolo così.
6 «Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».
Gesù appoggia molto su queste ultime parole.
«Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».
Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.
«Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato. Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo? Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore? Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?
7 Amici, pensate alla vostra dignità di sacerdoti.
Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra. Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore. Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?
Ecco perché Io creo i sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio Sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della Morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete. Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa accieca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.
Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!
Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio. Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.
8 Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa Carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.
Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.
Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatasi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe. Al suo centro è il granello di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite al peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.
Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.
9 Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio o mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo — che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia — usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia. Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?
O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempo sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.
10Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo. Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.
Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col loro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo…
E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e a maledire.
Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci nella notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”. Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.
11Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No. Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori. La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore! I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei sacerdoti!
12Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppo rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane — anime umili e laiche — Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.
Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.
13Alziamoci, amici, e venite meco, ché Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».
E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.
Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».
E la visione finisce.
Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!