Vangelo Gv 21 1-14
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Cap. DCXXXIII. Apparizione sulle rive del lago e conferimento del mandato a Pietro.
19 aprile 1947.
1 Una notte calma e afosa. Non tira un respiro di vento. Le stelle, larghe e palpitanti, gremiscono il cielo sereno. Il lago, calmo e immobile tanto da parere una vastissima vasca al riparo dei venti, riflette sulla sua superficie la gloria di quel cielo palpitante d’astri. Le piante lungo le rive sono un blocco senza fremiti. Così calmo il lago che il suo fiotto sulla riva si riduce ad un fruscio lievissimo. Qualche barca al largo, appena visibile come forma vagante, che talora mette una stellina a poca distanza dall’onda col suo lumino legato all’albero della vela a rischiarare l’interno del piccolo scafo.
Non so quale punto del lago sia. Direi in quello più meridionale, là dove il lago si appresta a ritornar fiume. Alla periferia di Tarichea, direi, non perché io veda la città, che un ammasso d’alberi mi nasconde, protendendosi nel lago a fare un piccolo promontorio collinoso, ma perché così giudico dalle stelline dei lumi delle barche, che si allontanano verso nord staccandosi dalle sponde del lago. Dico periferia perché un mucchietto di casupole, che son tanto poche da non poter costituire neppure un villaggio, sono riunite lì, ai piedi del piccolo promontorio. Case povere, quasi sul lido, certo di pescatori.
Delle barche in secco sulla piccola spiaggia; altre, già pronte a navigare, presso riva, nell’acqua, e così ferme da parer confitte al suolo, anziché galleggianti.
2 Da una casupola Pietro sporge il capo. La luce tremolante di un fuoco acceso nella cucina fumosa illumina da tergo la figura atticciata dell’apostolo, facendola risaltare come un disegno. Guarda il cielo, guarda il lago… Viene avanti sino al limite del lido. Poi — è con una tunica corta e a piedi scalzi — entra nell’acqua sino a mezza coscia e carezza il bordo di una barca, protendendo il braccio muscoloso.
Lo raggiungono i figli di Zebedeo.
«Bella notte».
«Fra poco ci sarà la luna».
«Sera di pesca».
«Coi remi però».
«Non c’è vento».
«Che si fa?».
Parlano adagio, a frasi staccate, come uomini usi alla pesca e alle manovre delle vele e delle reti, che richiedono attenzione e perciò poche parole.
«Sarebbe bene andare. Venderemmo parte della pesca».
Vengono a raggiungerli sulla riva Andrea, Tommaso e Bartolomeo.
«Che calda questa notte!», esclama Bartolomeo.
«Farà tempesta? Vi ricordate quella notte?», chiede Tommaso.
«Oh! no! Calmeria, nebbie forse, ma non tempesta. Io… Io vado a pescare. Chi viene con me?».
«Veniamo tutti. Forse si starà meglio là in mezzo», dice Tommaso che suda, e aggiunge: «Occorreva alla donna quel fuoco, ma è come fossimo stati alle terme calde…».
«Vado a dirlo a Simone. È tutto solo là», dice Giovanni.
3 Pietro già prepara la barca insieme ad Andrea e Giacomo.
«Andiamo sino a casa? Una sorpresa per mia madre…», chiede Giacomo.
«No. Non so se posso far venire Marziam. Prima di… della… Sì, insomma! Prima di andare a Gerusalemme — si era ancora ad Efraim — il Signore mi disse di voler fare la seconda Pasqua con Marziam. Ma poi non mi ha detto altro…».
«A me pare che abbia detto di sì», dice Andrea.
«Sì. La seconda Pasqua, sì. Ma farlo venire prima non so se vuole. Ho fatto tanti sbagli che… Oh! vieni anche tu?».
«Sì, Simone di Giona. Mi ricorderà molte cose questa pesca…».
«Eh! a tutti ricorderà molte cose… E cose che non torneranno più… Si andava col Maestro in questa barca, sul lago… E io le volevo bene come fosse una reggia, e mi pareva di non poter vivere senza di essa. Ma ora che Lui non c’è più, nella barca… ecco… ci sono dentro e non ne ho gioia», dice Pietro.
«Nessuno più ha gioia delle cose passate. Non è più la stessa vita. E anche a guardare indietro… fra quelle ore passate e quelle presenti c’è in mezzo quel tempo orrendo…», sospira Bartolomeo.
«Pronti. Venite. Tu al timone e noi ai remi. Andiamo verso la curva di Ippo. È posto buono. Su! Op! Su! Op!».
Pietro dà la voga e la barca scivola sull’acqua cheta, Bartolomeo al timone. Tommaso e lo Zelote a far da garzoni, pronti a gettar le reti che preparano stese. Si alza la luna, ossia supera i monti di Gadara (se non erro) o Gamala, insomma quelli che sono sulla costa orientale ma verso il sud del lago, e il lago ne riceve il raggio, che fa un strada di diamanti sull’acque chete.
«Ci accompagnerà sino al mattino».
«Se non viene foschia».
«I pesci lasciano il fondo attirati dalla luna».
«Se faremo buona pesca, bene sarà. Perché non abbiamo più denaro. Compreremo pane e porteremo a quelli sul monte pesce e pane».
Parole lente, con pause lunghe fra l’una e l’altra voce.
«Voghi bene, Simone. Non hai perso la vogata!…», ammira lo Zelote.
«Sì…
4 Maledizione!».
«Ma che hai?», chiedono gli altri.
«Ho… Ho che il ricordo di quell’uomo mi perseguita da per tutto. Mi ricordo di quel giorno che si faceva con due barche a chi vogava meglio, e lui…».
«Io invece pensavo che una delle prime volte che ebbi la visione del suo abisso di perfidia, fu quella volta che incontrammo, anzi, che scontrammo le barche dei romani. Ricordate?», dice lo Zelote.
«Eh! se si ricorda! Mah!… Lui lo difendeva… e noi… fra le difese del Maestro e le doppiezze del… del nostro, non si comprese mai bene…», dice Tommaso.
«Uhm! Io più di una volta… Ma diceva: “Non giudicare, Simone!”».
«Il Taddeo lo ebbe sempre in sospetto».
«Quello che io non riesco a credere è che costui non ne abbia saputo mai nulla», dice Giacomo urtando col gomito suo fratello. Ma Giovanni tace curvando il capo.
«Ormai puoi dire…», dice Tommaso.
«Mi sforzo di dimenticare. Così ne ho avuto ordine. Perché mi volete fare disubbidire?».
«Hai ragione. Lasciamolo stare», difende lo Zelote.
5 «Calate le reti. Adagio… Vogate voi. Voga lento. Curva a sinistra, Bartolmai. Accosta. Vira. Accosta. Vira. Stesa la rete? Sì? Su i remi e attendiamo», comanda Pietro.
Come è bello il dolce lago nella pace della notte, sotto il bacio della luna! Paradisiaco tanto è puro. La luna vi si specchia in pieno dal cielo e lo fa di diamante, la sua fosforescenza trema sui colli, li disvela, fa di neve le città delle rive…
Ogni tanto estraggono la rete. Una cascata arpeggiante di diamanti sull’argento del lago. Vuota. La immergono di nuovo. Si spostano. Non hanno fortuna…
Le ore passano. La luna tramonta, mentre la luce dell’alba si fa strada, incerta, verd’azzurra… Una foschia di caldo fuma verso le rive, specie verso l’estremità sud del lago. Tiberiade se ne vela e se ne vela Tarichea. Nebbia bassa, poco compatta, che il primo sole scioglierà. Per evitarla preferiscono costeggiare il lato d’oriente dove essa è meno fitta, mentre a ovest, venendo dall’acquitrino che è oltre Tarichea sulla riva destra del Giordano, essa si affittisce come l’acquitrino fumasse. Vogano attenti per evitare qualche pericolo del fondale, essi pratici del lago.
6 «Voi, della barca! Avete niente da mangiare?». Una voce maschile viene dalla riva. Una voce che li fa sussultare.
Ma scrollano le spalle, rispondendo forte: «No»; e poi fra loro: «Ci pare sempre di sentirlo!…».
«Gettate le reti a destra della barca e troverete».
La destra è verso il largo. Gettano la rete, un poco perplessi. Scosse, peso che fa piegare la barca dal lato dove è la rete.
«Ma questo è il Signore!», grida Giovanni.
«Il Signore, dici?», chiede Pietro.
«E ne hai dubbio? Ci è parsa la sua voce, ma questa ne è la prova. Guarda la rete! È come quella volta! È Lui, ti dico! Oh! Gesù mio! Dove sei?».
Tutti aguzzano lo sguardo a forare i veli della nebbia, dopo aver bene assicurata la rete per trascinarla nella scia della barca, posto che volerla issare è pericolosa manovra, e remano per andare a riva. Ma Tommaso deve prendere il remo di Pietro che, infilata in fretta e furia la breve tunica sulle brachette cortissime che erano il suo unico vestimento, come è quello degli altri meno Bartolomeo, si è gettato a nuoto nel lago e fende a grandi bracciate l’acqua cheta, precedendo la barca e mettendo per primo il piede sulla spiaggetta deserta, dove su due pietre al riparo da un cespuglio spinoso luccica un fuoco di sterpi. E lì, vicino al fuoco, è Gesù, sorridente e benigno.
«Signore! Signore!». Pietro ha il fiato grosso dall’emozione e non può dire altro. Grondante d’acqua come è, non osa toccare neppur la veste del suo Gesù, e sta prostrato sull’arena con la tunica incollata addosso, adorando.
La barca sfrega sul greto e si ferma. Tutti sono in piedi, agitati dalla gioia…
7 «Portate qua di quei pesci. Il fuoco è pronto. Venite e mangiate», ordina Gesù.
Pietro corre alla barca e aiuta a issare la rete, e afferra nel mucchio guizzante tre grossi pesci e li sbatte sull’orlo della barca per ucciderli e li sbuzza col suo coltello. Ma gli tremano le mani, oh! non di freddo! Li sciacqua, li porta là dove è il fuoco e ve li aggiusta sopra, sorvegliandoli nella cottura. Gli altri stanno adorando il Signore, un poco lontani da Lui, timorosi come sempre di Lui che è, Risorto, così divinamente potente.
«Ecco. Qui è il pane. Avete lavorato tutta la notte e siete stanchi. Ora vi rifocillerete. È pronto, Pietro?».
«Sì, mio Signore», dice Pietro con una voce ancor più roca del solito, curvo sul fuoco, e si asciuga gli occhi che gocciano, come se il fumo li facesse piangere irritandoli insieme alla gola. Ma non è il fumo che dà quella voce e quelle lacrime…
Porta il pesce che ha steso su una foglia rasposa, pare una foglia di zucca e gliel’ha portata Andrea dopo averla sciacquata nel lago.
Gesù offre e benedice, spezza il pane e i pesci e li distribuisce facendone otto parti e gustandone Lui pure. Mangiano con la riverenza con cui compirebbero un rito. Gesù li guarda e sorride. Ma tace Egli pure sinché chiede: «Dove sono gli altri?».
«Sul monte. Dove hai detto. E noi si è venuti per pescare, perché non si ha più denaro e non vogliamo abusare dei discepoli».
«Fate bene. Però d’ora in avanti voi apostoli starete sul monte in orazione, edificando con l’esempio i discepoli. Mandate quelli a pescare. Voi è bene che rimaniate là in preghiera e per ascoltare quelli che hanno bisogno di consiglio o possono venire a darvi delle notizie. Teneteli uniti molto i discepoli. Presto verrò».
«Lo faremo, Signore».
«Marziam non è con te?».
«Non me lo avevi detto di farlo venire così subito».
«Fàllo venire. La sua ubbidienza è finita».
«Lo farò venire, Signore».
8 Un silenzio. Poi Gesù, che era stato un poco a capo chino, pensando, alza la testa e figge gli sguardi su Pietro. Lo guarda col suo sguardo delle ore di più forte miracolo e impero. Pietro ne ha un trasalimento quasi di paura e si getta un poco indietro… Ma Gesù, posando una mano sulla spalla di Pietro, lo trattiene fortemente e gli chiede, tenendolo così: «Simone di Giona, mi ami tu?».
«Certo, Signore! Tu lo sai che ti amo», risponde Pietro sicuro.
«Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».
«Sì, mio Signore. E Tu lo sai che ti amo». La voce è meno baldanzosa, è anzi un poco stupita per la ripetizione di quella domanda.
«Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».
«Signore… Tu sai tutto… Tu sai se io ti amo…», gli trema la voce a Pietro, che è sicuro del suo amore ma che ha l’impressione non ne sia sicuro Gesù.
«Pasci le mie pecorelle. La tua triplice professione d’amore ha cancellato la tua triplice negazione. Sei tutto puro, Simone di Giona, ed Io ti dico: assumi la veste ponteficale e porta la Santità del Signore in mezzo al mio gregge. Cingiti le vesti alla cintura e tienile cinte sinché da Pastore tu pure diverrai agnello. In verità ti dico che, quando eri più giovane, da te ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai invecchiato stenderai le mani ed un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti. Ora però sono Io che ti dico: “Cingiti e seguimi sulla mia stessa via”. Alzati e vieni».
Si alza Gesù e si alza Pietro, andando verso la riva, e gli altri si danno a spegnere il fuoco soffocandolo sotto la rena.
9 Ma Giovanni, raccolti i resti del pane, segue Gesù. Pietro sente lo scalpiccìo dei passi e volge il capo. Vede Giovanni e chiede, accennandolo a Gesù: «E di questo che avverrà?».
«Se Io voglio che resti finché Io non ritorni, che te ne importa? Tu seguimi».
Sono sulla riva. Pietro vorrebbe ancora parlare: l’imponenza di Gesù, le parole sentite lo trattengono. Si inginocchia, imitato dagli altri, e adora. Gesù li benedice e congeda. Essi salgono in barca e si allontanano remando. Gesù li guarda andare.
Cap. DCXXIX. Apparizione agli apostoli con Tommaso. Discorso sulla dignità del sacerdozio e sui sacerdoti futuri.
9 agosto 1944.
[…]
1 Gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.
Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.
Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.
Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di porgere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.
2 Gesù è apparso in maniera molto curiosa. La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.
Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli angeli santi: immateriale. Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.
Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.
Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente. Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite. In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.
3 Giovanni lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.
Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.
Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».
Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni — anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato — chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.
Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.
4 L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.
Gesù, dando le sue Mani a baciare — gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa — gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undecimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.
Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».
Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.
Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.
Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.
«Ecco colui che non crede se non vede!», esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.
Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.
«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».
Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.
Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.
«Dammi la tua mano, Tommaso», dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.
Tommaso — pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio — riesce finalmente a parlare e a spiccicare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.
Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».
5 Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.
«Mangiate, amici», dice Gesù.
Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.
Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.
Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul Cuore e parla tenendolo così.
6 «Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».
Gesù appoggia molto su queste ultime parole.
«Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».
Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.
«Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato. Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo? Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore? Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?
7 Amici, pensate alla vostra dignità di sacerdoti.
Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra. Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore. Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?
Ecco perché Io creo i sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio Sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della Morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete. Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa accieca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.
Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!
Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio. Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.
8 Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa Carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.
Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.
Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatasi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe. Al suo centro è il granello di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite al peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.
Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.
9 Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio o mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo — che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia — usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia. Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?
O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempo sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.
10Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo. Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.
Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col loro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo…
E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e a maledire.
Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci nella notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”. Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.
11Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No. Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori. La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore! I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei sacerdoti!
12Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppo rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane — anime umili e laiche — Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.
Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.
13Alziamoci, amici, e venite meco, ché Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».
E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.
Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».
E la visione finisce.
Cap. DCXXXII. Apparizioni a varie persone in luoghi diversi.
16-17 aprile 1947.
I. Alla madre di Annalia.
1 Elisa, la madre di Annalia, piange sconsolatamente nella sua casa, chiusa in una stanzetta dove è un lettino senza coperture, forse quello di Annalia. Tiene il capo abbandonato sulle braccia, a loro volta abbandonate, tese sul lettuccio come per abbracciarlo tutto. Il corpo grava sui ginocchi in posa di languore. Di vigoroso non c’è che il suo pianto.
Poca luce entra dalla finestra aperta. Il giorno da poco è risorto. Ma una luce viva si fa quando entra Gesù.
Dico: entra, per dire che è nella stanza mentre prima non c’era. E dirò sempre così per significare il suo apparire in un luogo chiuso, senza stare a ripetermi come Egli si scopra da dietro ad una grande luminosità che ricorda quella della Trasfigurazione, da dietro un fuoco bianco — mi si permetta il paragone — che pare liquefare muri e porte per permettere a Gesù di entrare col suo vero, respirante, solido Corpo glorificato: un fuoco, una luminosità che su Lui si rinchiude e lo nasconde quando se ne va. Però, dopo, piglia l’aspetto bellissimo di Risorto, ma Uomo, proprio Uomo, di una bellezza centuplicata rispetto a quella che già aveva prima della Passione. È Lui, ma è il Lui glorioso, Re.
2 «Perché piangi, Elisa?».
Non so come la donna non riconosca la Voce inconfondibile. Forse il dolore l’intontisce. Risponde come se parlasse a un parente che forse l’ha raggiunta dopo la morte di Annalia.
«Hai sentito ieri sera quegli uomini? Egli non era nulla. Potere magico, ma non divino. Ed io che mi rassegnavo alla morte di mia figlia pensandola amata da un Dio, in pace… Me lo aveva detto!…», piange ancor più forte.
«Ma lo videro risorto in molti. Solo Dio da Se stesso può risuscitarsi».
«L’ho detto anche io a quelli di ieri. Lo hai sentito. Ho combattuto le loro parole. Perché le loro parole erano la morte della mia speranza, della mia pace. Ma essi — hai sentito? — essi hanno detto: “Tutta commedia dei suoi seguaci per non confessarsi folli. Esso è morto e ben morto, e putrido, l’hanno trafugato e distrutto, dicendo che è risorto”. Hanno detto così… E che per questo l’Altissimo ha mandato il secondo terremoto, per fare loro sentire la sua ira per la loro sacrilega menzogna. Oh! non ho più conforto!».
«Ma se tu vedessi il Signore risorto, coi tuoi occhi, e lo palpassi con le tue mani, crederesti?».
«Non ne sono degna… Ma certo che crederei! Mi basterebbe vederlo. Non oserei toccare le sue Carni perché, se così fosse, sarebbero carni divine, e una donna non può avvicinarsi al Santo dei Santi».
3 «Alza il capo, Elisa, e guarda Chi ti è davanti!».
La donna alza la testa canuta, il viso sfigurato dal pianto, e vede… Cade ancor più ribassata sui calcagni, si sfrega gli occhi, apre la bocca su un grido che vuol salire ma che lo stupore strozza in gola.
«Sono Io. Il Signore. Tocca la mia Mano. Baciala. Mi hai sacrificato la figlia. Lo meriti. E ritrova, su questa Mano, il bacio spirituale della tua creatura. È in Cielo. È beata. Dirai questo ai discepoli e questo giorno».
La donna è così affascinata che non osa il gesto, ed è Gesù stesso che le preme sulle labbra la punta delle sue dita.
«Oh! sei proprio risorto!!! Felice! Felice sono! Te benedetto che mi hai consolata!».
Si curva per baciargli i piedi e lo fa, e resta così.La luce soprannaturale fascia nel suo splendore il Cristo, e la stanza è vuota di Lui. Ma la madre ha il cuore pieno di incrollabile certezza.
II. A Maria di Simone a Keriot, con Anna madre di Joanna e il vecchio Anania.
4 La casa di Anna, madre di Joanna. La casa di campagna dove Gesù, accompagnato dalla madre di Giuda, operò il miracolodi guarire Anna. Anche qui una stanza e una giacente sul letto. Una che è irriconoscibile, tanto è sfigurata da un’angoscia mortale. Il viso è consumato. La febbre lo divora accendendo i pomelli sporgenti, tanto le gote sono incavate. Gli occhi, in un cerchio nero, rossi di febbre e di pianto, sono socchiusi sotto le palpebre gonfie. Là dove non è rossore di febbre, è giallore intenso, verdastro, come per bile sparsa nel sangue. Le braccia scarne, le mani affilate, sono abbandonate sulle coperture che un ansito affrettato solleva.
Presso la malata, che altra non è che la madre di Giuda, è Anna, la madre di Joanna. Essa asciuga lacrime e sudore, agita un ventaglio di palma, muta le pezze bagnate in un aceto aromatizzato sulla fronte e sulla gola della malata, le carezza le mani, le carezza i capelli disciolti, divenuti in poco tempo più bianchi che neri, sparsi sul guanciale e incollati dal sudore sulle orecchie fatte trasparenti. E piange anche Anna, dicendo parole di conforto: «Non così, Maria! Non così! Basta! Egli… egli ha peccato. Ma tu, tu lo sai come il Signore Gesù…».
«Taci! Quel Nome… a me… detto a me… si profana… Sono la madre… del Caino… di Dio! Ah!». Il pianto quieto si muta in sfinito, lacerante singhiozzo. Si sente affogare, si abbranca al collo dell’amica, che la soccorre nel vomito bilioso che le esce dalla bocca.
«Pace! Pace, Maria! Non così! Oh! che dirti per persuaderti che Egli, il Signore, ti ama? Te lo ripeto! Te lo giuro sulle cose a me più sante: il mio Salvatore e la mia creatura. Egli me lo ha detto quando tu me lo portasti. Egli ha avuto per te parole e previdenze di amore infinito. Tu sei innocente. Egli ti ama. Sono certa, certa sono che darebbe Se stesso un’altra volta per darti pace, povera madre martire».
«Madre del Caino di Dio! Senti? Quel vento, là, fuori… Lo dice… Va per il mondo la voce… la voce del vento, e dice: “Maria di Simone, madre di Giuda, colui che tradì il Maestro e lo consegnò ai suoi crocifissori”. Senti? Tutto lo dice… Il rio, là fuori… Le tortore… le pecore… Tutta la Terra grida che io sono… No, non voglio guarire. Morire voglio!… Dio è giusto e non colpirà me nell’altra vita. Ma qui, no. Il mondo non perdona… non distingue… Folle divengo perché il mondo urla…: “Sei la madre di Giuda!”».
Ricade esausta sui guanciali. Anna la ricompone ed esce per portare via i panni sporcati…
Maria, ad occhi chiusi, esangue dopo lo sforzo fatto, geme: «La madre di Giuda! di Giuda! di Giuda!». Ansa, poi riprende: «Ma cosa è Giuda? Cosa ho partorito? Cosa è Giuda? Cosa ho…».
5 Gesù è nella stanza, che un tremulo lume rischiara perché troppo poca ancora è la luce del giorno per illuminare la stanza vasta, nella quale il letto è nel fondo, molto lontano dall’unica finestra. Chiama dolcemente: «Maria! Maria di Simone!».
La donna è quasi delirante e non dà peso alla voce. È assente, rapita nei gorghi del suo dolore, e ripete le idee che ossessionano il suo cervello, monotonamente, come il tic tac di un pendolo: «La madre di Giuda! Cosa ho partorito? Il mondo urla: “La madre di Giuda”…».
Gesù ha due lacrime nell’angolo degli occhi dolcissimi. Mi stupiscono molto. Non pensavo che Gesù potesse piangere ancora dopo che è risorto…
Si curva. Il letto è così basso, per Lui così alto! Pone la Mano sulla fronte febbrile, respingendo le pezze umide d’aceto, e dice: «Un’infelice. Questo e non altro. Se il mondo urla, Dio copre l’urlo del mondo dicendoti: “Abbi pace, perché Io ti amo”. Guardami, povera mamma! Raccogli il tuo spirito smarrito e mettilo nelle mie mani. Sono Gesù!…».
Maria di Simone apre gli occhi come uscendo da un incubo e vede il Signore, sente la sua Mano sulla sua fronte, porta le mani tremanti al viso e geme: «Non mi maledire! Se avessi saputo cosa generavo, mi sarei strappate le viscere per impedire che egli nascesse».
«E avresti peccato. Maria! oh! Maria! Non uscire dalla tua giustizia per la colpa di un altro. Le madri che hanno fatto il loro compito non devono tenersi responsabili del peccato dei figli. Tu lo hai fatto il tuo dovere, Maria. Dammi le tue povere mani. Sii quieta, povera mamma».
«Sono la madre di Giuda. Immonda sono come tutto ciò che quel demonio toccò. Madre di un demonio! Non mi toccare». Si dibatte per sfuggire alle Mani divine che la vogliono tenere.
Le due lacrime di Gesù le cadono sul volto tornato acceso di febbre. «Io ti ho purificata, Maria. Il mio pianto di pietà è su te. Su nessuno ho pianto da quando ho consumato il mio dolore. Ma su te piango con tutta la mia amorosa pietà». È riuscito a prenderle le mani e si siede, sì, proprio si siede sull’orlo del lettuccio, tenendo quelle mani tremanti fra le sue.
La pietà amorosa dei suoi fulgidi occhi accarezza, fascia, medica l’infelice, che si calma piangendo tacitamente e mormorando: «Non m’hai rancore?».
«Ho amore. Sono venuto per questo. Abbi pace».
«Tu perdoni! Ma il mondo! Tua Madre! Mi odierà».
«Ella pensa a te come a una sorella. Il mondo è crudele. È vero. Ma mia Madre è la Madre dell’Amore, ed è buona. Tu non puoi andare per il mondo, ma Ella verrà a te quando tutto sarà in pace. Il tempo pacifica…».
«Fammi morire, se mi ami…».
«Ancora un poco. Tuo figlio non seppe darmi nulla. Tu dammi un tempo del tuo soffrire. Sarà breve».
«Mio figlio ti ha dato troppo… L’orrore infinito ti ha dato».
«E tu il dolore infinito. L’orrore è passato. Non serve più. Il tuo dolore serve. Si unisce a queste mie piaghe, e le lacrime tue e il Sangue mio lavano il mondo. Tutto il dolore si unisce per lavare il mondo. Le tue lacrime sono fra il mio Sangue e il pianto di mia Madre, e intorno intorno è tutto il dolore dei santi che soffriranno per il Cristo e per gli uomini, per amor mio e degli uomini. Povera Maria!».
La adagia dolcemente, le incrocia le mani, la guarda calmarsi…
6 Rientra Anna e resta sbalordita sulla soglia.
Gesù, che si è rialzato, la guarda dicendo: «Hai ubbidito al mio desiderio. Per gli ubbidienti è pace. La tua anima mi ha compreso. Vivi nella mia pace».
Riabbassa gli occhi su Maria di Simone, che lo guarda fra un fluire di lacrime più calme, e le sorride ancora. Le dice ancora: «Poni tutte le tue speranze nel Signore. Egli ti darà tutte le sue consolazioni». La benedice e fa per andarsene.
Maria di Simone ha un grido appassionato: «Si dice che mio figlio ti ha tradito con un bacio! È vero, Signore? Se sì, lascia che io lo lavi baciandoti le Mani. Non posso fare altro! Altro non posso fare per cancellare… per cancellare…». Il dolore la riprende più forte.
Gesù, oh! Gesù non le dà le Mani da baciare, quelle Mani sulle quali la larga manica della veste candida ricade sino a metà del metacarpo nascondendo le ferite, ma le prende il capo fra le mani e si curva a sfiorare con le labbra divine la fronte bruciante dell’infelicissima fra tutte le donne, e le dice nel rialzarsi: «Le mie lacrime e il mio bacio! Nessuno ha avuto tanto da Me. Sta’ dunque nella pace che fra Me e te non c’è che amore». La benedice e, traversata la stanza sveltamente, esce dietro ad Anna, che non ha osato venire avanti, né parlare, ma che lacrima di emozione.
7 Quando però sono nel corridoio che conduce alla porta di casa, Anna osa parlare, fare la domanda che le è nel cuore: «La mia Joanna?».
«Da quindici giorni gode nel Cielo. Non l’ho detto là, perché troppo è il contrasto fra tua figlia e suo figlio».
«È vero! Grande strazio! Io credo ne muoia».
«No. Non subito».
«Ora avrà più pace. Tu l’hai consolata. Tu! Tu che più di tutti…».
«Io che più di tutti la compiango. Io sono la divina Compassione. Io sono l’Amore. Io te lo dico, donna: sol che Giuda mi avesse gettato uno sguardo di pentimento, Io gli avrei ottenuto il perdono di Dio…». Che tristezza sul volto di Gesù!
La donna ne è colpita. Parole e silenzi combattono sulle sue labbra, ma è donna, e la curiosità la vince. Chiede: «Ma è stata una… un… Sì, voglio dire: quel disgraziato peccò all’improvviso, o…».
«Da mesi peccava e nessuna mia parola, nessun atto mio valse a fermarlo, tanto era forte la sua volontà di peccare. Ma non dire questo a lei…».
«Non dirò!… Signore! Che ora quando Anania, fuggito senza neppure ultimare la Pasqua da Gerusalemme, la notte stessa del Parasceve, entrò qui urlando: “Tuo figlio ha tradito il Maestro e lo ha consegnato ai suoi nemici! Con un bacio lo ha tradito. E io ho visto il Maestro percosso e sputacchiato, flagellato, coronato di spine, caricato della croce, crocifisso e morto per opera di tuo figlio. E il nome nostro è urlato con trionfo osceno dai nemici del Maestro, e sono narrate le gesta di tuo figlio che, per meno del prezzo che costa un agnello, ha venduto il Messia, e con il tradimento di un bacio lo ha indicato alle guardie!”. Maria cadde a terra, nera di colpo, e il medico dice che si è sparso il suo fiele e crepato il suo fegato, e tutto il sangue ne è corrotto. E… il mondo è cattivo. Ella ha ragione… Ho dovuto trasportarla qui, perché venivano presso la casa in Keriot a gridare: “Tuo figlio deicida e suicida! Impiccato si è! E Belzebù ha preso la sua anima e persino il corpo è venuto a prendersi Satana”. È vero questo orrendo prodigio?».
«No, donna. Egli fu trovato morto, appeso ad un ulivo…».
«Ah! E gridavano: “Cristo è risorto ed è Dio. Tuo figlio ha tradito Dio. Sei la madre del traditore di Dio. Sei la madre di Giuda”. Di notte, con Anania e un servo fedele, l’unico che mi è rimasto perché nessuno ha voluto stare presso di lei… l’ho portata qui. Ma quei gridi Maria li sente nel vento, nel rumore della terra, in tutto».
«Povera madre! È orrendo, sì».
«Ma quel demonio non ha pensato a questo, Signore?».
«Era una delle ragioni che usavo a trattenerlo. Ma non è valso. Giuda giunse a odiare Dio non avendo mai amato di vero amore padre e madre né alcun altro suo prossimo».
«È vero!».
«Addio, donna. La mia benedizione ti conforti a sopportare gli scherni del mondo per la tua pietà per Maria. Bacia la mia Mano. A te la posso mostrare. A lei avrebbe fatto troppo male vedere questo». Getta indietro la manica scoprendo il polso trafitto.
Anna ha un gemito mentre sfiora appena con le labbra la punta delle dita.
8 Il rumore di una porta che si apre e un grido soffocato: «Il Signore!». Un uomo vecchiotto si prostra e resta così.
«Anania, buono è il Signore. È venuto a confortare la tua parente, a confortare noi pure», dice Anna per confortare anche il vecchiotto nella sua troppo grande emozione.
Ma l’uomo non osa far movimento. Piange dicendo: «Siamo di un sangue orrendo. Non posso guardare il Signore».
Gesù va a lui. Lo tocca sul capo dicendo le stesse parole già dette a Maria di Simone: «I parenti che hanno fatto il loro dovere non devono tenersi responsabili del peccato del parente. Fa’ cuore, uomo! Dio è giusto. La pace a te e a questa casa. Io sono venuto e tu andrai dove ti mando. Per la Pasqua supplementare i discepoli saranno a Betania. Andrai da loro e dirai che il dodicesimo giorno dalla sua morte tu vedesti il Signore a Keriot, vivo e vero, in Carne ed Anima e Divinità. Ti crederanno perché già molto sono stato con loro. Ma li confermerà nella fede sulla mia Natura divina sapermi in ogni luogo nello stesso giorno. E prima ancora, oggi stesso, andrai a Keriot chiedendo al sinagogo di raccogliere il popolo, e dirai alla presenza di tutti che Io sono venuto qui e che si ricordino le mie parole del commiato. Certo ti diranno: “Perché non è venuto da noi?”. Risponderai così: “Il Signore mi ha detto di dirvi che, se aveste fatto ciò che Egli vi aveva detto di fare verso la madre incolpevole, Egli si sarebbe mostrato. Avete mancato all’amore, e il Signore non si è mostrato per questo”. Lo farai?».
«È difficile questo, Signore! Difficile a farsi! Ci tengono tutti per dei lebbrosi di cuore… Non mi ascolterà il sinagogo, e non mi lascerà parlare il popolo. Forse mi percuoterà… Pure lo farò, poiché Tu lo vuoi». Il vecchiotto non alza il capo. Parla stando curvo in profonda prostrazione.
«Guardami, Anania!».
L’uomo alza un volto tremebondo di venerazione.
Gesù è fulgido e bello come sul Tabor… La luce lo copre nascondendo il suo aspetto e il suo sorriso… E vuoto di Lui resta il corridoio, senza che nessuna porta si sia mossa a dargli varco.
I due adorano, adorano ancora, fatti tutta adorazione dalla manifestazione divina.
III. Ai bambini di Jutta con la mamma Sara.
9 Il frutteto della casa di Sara. I bambini che giuocano sotto gli alberi fronzuti. Il più piccolo che si rotola sull’erba presso un filare folto di pampini, gli altri più grandi che si rincorrono con gridi di rondini in festa, giuocando a nascondersi dietro le siepi e le viti e a scoprirsi a vicenda.
Gesù, eccolo là apparire presso il piccino al quale ha dato il nome. Oh! santa semplicità degli innocenti! Jesai non si stupisce vedendolo là, all’improvviso, ma gli tende le braccine per essere preso in braccio, e Gesù lo prende: la massima naturalezza è nell’atto di entrambi.
Sopraggiungono correndo gli altri e — ancora una volta beata semplicità dei fanciulli! — e senza stupore si avvicinano a Lui, felici. Sembra che nulla sia mutato per loro. Forse non sanno. Ma, dopo la carezza di Gesù ad ognuno, Maria, la più grandicella e assennata, dice: «Allora non soffri più, Signore, ora che sei risorto? Ho avuto tanto dolore!…».
«Non soffro più. Vi sono venuto a benedire prima di salire al Padre mio e vostro, nel Cielo. Ma anche di là vi benedirò sempre, se sarete sempre buoni. Direte a quelli che mi amano che ho lasciato a voi la mia benedizione, oggi. Ricordate questo giorno».
10«Non vieni in casa? C’è la mamma. A noi non crederanno», dice ancora Maria. Ma suo fratello non chiede. Grida: «Mamma, mamma. Il Signore è qui!…», e correndo verso la casa ripete quel grido.
Sara accorre, si affaccia… in tempo per vedere Gesù, bellissimo sul limite del frutteto, annullarsi nella luce che lo assorbe…
«Il Signore! Ma perché non chiamarmi prima?…», dice Sara appena può dire parola. «Ma quando? da dove è venuto? Era solo? Stolti che siete!».
«Lo abbiamo trovato qui. Un minuto prima non c’era… Dalla strada non è venuto e neppure dall’orto. E aveva in braccio Jesai… E ci ha detto di essere venuto a benedirci e a darci la benedizione per quelli che lo amano a Jutta e di ricordare questo giorno. E ora va in Cielo. Ma ci vorrà bene se saremo buoni. Come era bello! Aveva le mani ferite. Ma non gli fanno più male. Anche i piedi erano feriti. Li ho visti fra l’erba. Quel fiore lì toccava proprio la ferita di un piede. Lo colgo io…», parlano tutti insieme, accesi di emozione. Sudano persino nell’orgasmo di dire.
Sara li carezza mormorando: «Dio è grande! Andiamo. Venite. Andiamo a dirlo a tutti. Parlate voi, innocenti. Voi potete parlare di Dio».
IV. Al giovinetto Jaia, a Pella.
11Il giovinetto lavora con ardore intorno a un carretto. Lo sta caricando di verdure colte in un’ortaglia vicina. L’asinello batte lo zoccolo sul suolo duro della via campestre.
Nel volgersi per prendere un canestro di lattughe vede Gesù che gli sorride. Lascia cadere il cesto a terra e si inginocchia sfregandosi gli occhi, incredulo di ciò che vede, e mormora: «Altissimo, non trarmi in illusione! Non permettere, Signore, che io sia ingannato da Satana con falsi aspetti seduttori. Egli è ben morto, il mio Signore! E sepolto fu e or dicono che fu trafugato il cadavere. Pietà, Signore altissimo! Mostrami la verità».
«Io sono la Verità, Jaia. Io sono la Luce del mondo. Guardami. Vedimi. Ti ho reso la vista per questo, perché tu potessi testimoniare della mia potenza e della mia Risurrezione».
«Oh! È proprio il Signore! Tu sei! Sì! Tu sei Gesù!». Si trascina sui ginocchi per baciargli i piedi.
«Dirai che mi hai visto e parlato e che sono ben vivo. Dirai che mi hai visto oggi. La pace a te e la mia benedizione».
Jaia resta solo. Felice. Dimentica carretto e verdure. Inutilmente l’asino batte irrequieto la via e raglia protestando per l’attesa… Jaia è estatico.
12Una donna esce dalla casa presso l’ortaglia e lo vede là, pallido di emozione con un volto assente. Grida: «Jaia! Che hai? Che ti è accaduto?». Accorre, lo scrolla. Lo riporta sulla terra…
«Il Signore! Ho visto il Signore risorto. Gli ho baciato i piedi e visto le piaghe. Essi hanno mentito. Era proprio Dio ed è risorto. Io avevo paura che fosse un inganno. Ma è Lui! È Lui!».
La donna trema per un brivido d’emozione e mormora: «Ne sei proprio sicuro?».
«Tu sei buona, donna. Per amor di Lui ci hai preso per servi, me e la madre mia. Non volere non credere!…».
«Se tu sei sicuro, credo. Ma era proprio carne? Era caldo? Respirava? Parlava? Proprio una voce aveva, o ti è parso?».
«Sicuro sono. Era carne tiepida di vivo, era voce vera, era respiro. Bello come Dio, ma Uomo, come me e te. Andiamo, andiamo a dirlo a quelli che soffrono o dubitano».
V. A Giovanni di Nobe.
13Il vecchio è solo nella sua casa. Ma è sereno. Aggiusta una specie di sedia che si è schiodata da un lato, e sorride chissà a che sogno.
Un bussare all’uscio. Il vecchio, senza lasciare il suo lavoro, dice: «Avanti. Che volete, voi che venite? Ancora di quelli? Sono vecchio per cambiare! Anche se tutto il mondo mi urlasse: “È morto”, io dico: “È vivo”. Anche dovessi morire per dirlo. Avanti, dunque!».
Si rialza per andare alla porta, per vedere chi è che bussa senza entrare. Ma, quando è là presso, essa si apre e Gesù entra.
«Oh! Oh! Oh! Il mio Signore! Vivo! Ho creduto! Ed Egli viene a premiare la mia fede! Benedetto! Io non ho dubitato.
Nel mio dolore ho detto: “Se mi ha mandato l’agnello per il banchetto di letizia, segno è che in questo giorno risorgerà”. Allora ho capito tutto. Quando Tu sei morto e la terra si è scossa, io ho capito ciò che ancor non avevo capito. E sono sembrato folle, a Nobe, perché, tramontato il sole del dì dopo il sabato, ho preparato il banchetto andando ad invitare dei mendichi e dicendo: “È risorto l’Amico nostro!”. Già si diceva che non era vero. Si diceva che ti avevano rubato, la notte. Ma io non ho creduto, perché da quando sei morto ho capito che morivi per risorgere, e che questo era il segno di Giona».
14Gesù lo lascia parlare sorridendo. Poi chiede: «Ed ora vuoi ancora morire, o vuoi rimanere per testimoniare la mia gloria?».
«Ciò che Tu vuoi, Signore!».
«No. Ciò che tu vuoi».
Il vecchione pensa. Poi decide: «Sarebbe bello uscire dal mondo, dove Tu non sei più come prima. Ma rinuncio alla pace del Cielo per dire agli increduli: “Io l’ho veduto!”».
Gesù gli posa la mano sul capo benedicendolo e aggiungendo: «Ma presto sarà anche la pace, e tu verrai a Me col grado di confessore del Cristo».
E se ne va. Qui, forse per pietà del vecchio annoso, non ha dato al suo apparire e sparire forma meravigliosa, ma ha fatto in tutto come fosse il Gesù di un tempo, che entrava e usciva da una casa, umanamente.
VI. A Mattia, il solitario presso Jabes Galaad.
15Lavora il vecchio intorno alle sue verdure e monologa: «Tutte ricchezze che ho per Lui. E Lui non le gusterà mai più. Inutilmente ho lavorato. Io credo che Egli era il Figlio di Dio, che è morto ed è risorto. Ma non è più il Maestro che si asside alla mensa del povero o del ricco e spartisce con uguale amore, forse, certo anzi, con più amore il cibo col povero che col ricco. Ora è il Signore Risorto. È risorto per confermare nella fede noi suoi fedeli. E quelli dicono che non è vero. Che nessuno è mai risorto da sé. Nessuno. No. Nessun uomo. Ma Lui sì. Perché Lui è Dio».
Batte le mani a scacciare i suoi colombi, che scendono a rapire semi nella terra di fresco vangata e seminata, e dice: «Inutile ormai che voi prolifichiate! Egli non gusterà più della vostra prole! E voi, inutili api? Per chi fate il miele? Avevo sperato almeno una volta di averlo con me, ora che sono meno misero. Tutto ha prosperato qui, dopo la sua venuta… Ah! ma con quei denari, che mai ho toccato, io voglio andare a Nazaret, da sua Madre, dirle: “Fammi tuo servo, ma lasciami qui dove sei, perché tu sei ancora Lui”…». Si asciuga una lacrima col dorso della mano…
16«Mattia, hai un pane per un pellegrino?».
Mattia alza il capo ma, così a ginocchi come è, non vede chi parla dietro l’alta siepe che cinge la sua piccola proprietà, sperduta in quella solitudine verde che è questo luogo d’oltre Giordano. Ma risponde: «Chiunque tu sia, vieni, in nome del Signore Gesù». E si alza in piedi per aprire la chiudenda.
Si trova di fronte Gesù e resta con la mano sul chiavistello, senza poter fare più gesto.
«Non mi vuoi per ospite, Mattia? Lo hai fatto una volta. Ti rammaricavi di non poterlo più fare. Sono qui e non mi apri?», sorride Gesù…
«Oh! Signore… io… io… non sono degno che il mio Signore entri qui… Io…».
Gesù passa la mano sopra la chiudenda e fa agire il catenaccio dicendo: «Il Signore entra dove vuole, Mattia».
Entra, si inoltra nell’umile ortaglia, va alla casa, sulla soglia dice: «Sacrifica dunque i figli dei tuoi colombi. Leva dalla terra le tue verdure, e il miele alle tue api. Spezzeremo insieme il pane e non sarà stato inutile il tuo lavoro, vano il tuo desiderio. E caro ti sarà questo luogo, senza che tu vada là dove presto sarà silenzio e abbandono. Io sono dovunque, Mattia. Chi mi ama è con Me, sempre. I miei discepoli saranno a Gerusalemme. Là sorgerà la mia Chiesa. Fa’ di esservi per la Pasqua supplementare».
«Perdonami, Signore. Ma non ho saputo resistere in quel luogo e sono fuggito. Ero giunto là a nona del giorno avanti Parasceve, e il giorno dopo… Oh! sono fuggito per non vederti morire. Per questo solo, Signore».
«Lo so. E so che sei tornato, uno dei primi, per piangere sul mio sepolcro. Ma esso era già vuoto di Me. So tutto. Ecco, Io mi siedo qui e riposo. Ho sempre riposato qui… E gli angeli lo sanno».
17L’uomo si dà da fare, ma sembra si muova in una chiesa tanto si muove con gesti riverenti. Ogni tanto si asciuga una lacrima che vuol mescolarsi al suo sorriso, mentre va e viene per prendere i colombi, ucciderli, prepararli, e attizzare la fiamma, e cogliere e sciacquare le verdure, e disporre in un piatto i fichi primaticci, e apparecchiare sulla povera tavola con le stoviglie migliori. Ma, quando tutto è pronto, come può sedere a mangiare? Vuole servire e gli pare già molto, non vuole di più.
Ma Gesù, che ha offerto e benedetto, gli offre metà del piccione, che ha tagliato mettendo la carne su un pezzo di focaccia che ha intinto nel sugo.
«Oh! come a un prediletto!», dice l’uomo e mangia, piangendo di gioia e di emozione, senza levare gli occhi da Gesù che mangia… che beve, che gusta le verdure, le frutta, il miele, che gli offre il suo calice dopo avere sorbito un sorso di vino. Prima aveva bevuto sempre acqua.
Il pasto è finito.
«Sono ben vivo. Lo vedi. E tu sei ben felice. Ricordati che dodici giorni fa Io morivo per volere degli uomini. Ma che nullo è il volere degli uomini quando ad esso non consente il volere di Dio. Anzi, il contrario volere degli uomini strumento servile diviene del Volere eterno. Addio, Mattia. Poiché ho detto che meco sarà chi mi dette da bere quando ero il Pellegrino sul quale ancora era lecito ogni dubbio, così Io ti dico: tu avrai parte nel mio Regno celeste».
«Ma ora ti perdo, o Signore!».
«In ogni pellegrino vedi Me; in ogni mendico, Me; in ogni infermo, Me; in ogni bisognoso di pane, acqua e vesti, Me. Io sono in ognuno che soffre, e ciò che è fatto a chi soffre, a Me è fatto».
Apre le braccia benedicendo e scompare.
VII. Ad Abramo di Engaddi, che gli muore tra le braccia.
18La piazza di Engaddi: tempio ipòstilo di palme fruscianti. La fontana: specchio al cielo d’aprile. I colombi: murmure basso di organo.
Il vecchio Abramo la traversa con gli arnesi del lavoro sulle spalle. Ancor più vecchio, ma sereno come chi ha trovato ristoro dopo molta tempesta. Traversa anche il resto della città, va alle vigne presso le fonti. Le belle vigne ubertose, già piene di promesse di raccolto dovizioso. Vi entra, si dà a sarchiare, a potare, a legare. Ogni tanto si rialza, si appoggia alla zappa, pensa. Si liscia la barba patriarcale, sospira, scrolla il capo in un interno discorso.
Un uomo molto ammantellato sale la strada verso le fonti e le vigne. Dico: un uomo. Ma è Gesù, perché la veste è quella e quello è l’incesso. Ma per il vecchio è: un uomo. E l’Uomo interpella Abramo dicendo: «Posso sostare qui?».
«Sacra è l’ospitalità. Non l’ho mai ricusata ad alcuno. Vieni. Entra. Ti sia dolce il riposo all’ombra delle mie viti. Vuoi latte? Pane? Ti darò ciò che possiedo, qui».
«E Io che ti posso dare? Non ho nulla».
«Colui che è il Messia mi ha dato tutto, per tutti gli uomini. E per quanto io dia, nulla do rispetto a quel che Egli mi ha dato».
«Lo sai che lo hanno crocifisso?».
«So che è risorto. Sei tu un crocifissore? Io non posso odiare perché Egli non vuole odio. Ma, potessi, ti odierei se tu lo fossi».
«Non sono un suo crocifissore. Sta’ in pace. Tu dunque sai tutto di Lui».
«Tutto. Ed Eliseo… È mio figlio, sai? Eliseo non è più tornato da Gerusalemme, dicendo: “Congedami, padre, perché io lascio ogni bene per predicare il Signore. Andrò a Cafarnao, a cercare di Giovanni, e mi unirò ai discepoli fedeli”».
«Tuo figlio ti ha dunque lasciato? Così vecchio e solo?».
«È il mio gaudio sognato questo che tu chiami abbandono. Non mi aveva fatto orbo di lui la lebbra? E chi me lo ha reso? Il Messia. E lo perdo forse perché egli predica il Signore? Ma no! Lo ritrovo anche nella vita eterna.
19Ma tu parli in un modo che mi dai sospetto. Sei un emissario del Tempio? Vieni a perseguitare chi crede nel Risorto? Colpisci! Non fuggo. Non imito i tre saggi del tempo lontano. Io resto. Perché, se cado per Lui, lo raggiungo in Cielo e si compie la mia preghiera dell’anno avanti questo».
«È vero. Tu hai detto allora: “Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto”».
«Come lo sai? Sei uno dei suoi discepoli? Eri qui con Lui quando lo pregai? Oh! se tale sei, aiutami a fargli giungere il mio grido, perché Egli lo ricordi». Si prostra credendo di parlare a un apostolo.
«Sono Io, Abramo di Engaddi, e ti dico: “Vieni”». Gli apre le braccia, Gesù, manifestandosi, e lo invita a precipitarsi in esse, ad abbandonarsi sul suo Cuore.
Entra in quel momento nella vigna un fanciullo, seguito da un giovinetto, chiamando: «Padre! Padre! Eccoci a darti aiuto».
Ma il trillante grido del fanciullo è soverchiato dal grido possente del vecchio, un vero grido di liberazione: «Ecco! Io vengo!». E si getta Abramo fra le braccia di Gesù, gridando ancora: «Gesù, Messia santo! Nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».
Morte beata! Morte che invidio! Sul Cuore di Cristo, nella pace serena della campagna fiorente nell’aprile…
20Gesù depone con calma il vecchio sull’erba fiorita che ondeggia alla brezza, al piede di un filare, e dice ai fanciulli rimasti stupiti e spaventati, prossimi al pianto: «Non piangete. È morto nel Signore. Beati coloro che muoiono in Lui! Andate, fanciulli, ad avvisare quelli di Engaddi che il loro sinagogo ha visto il Risorto ed ha avuto da Lui esaudita la sua preghiera. Non piangete! Non piangete!». Li accarezza guidandoli all’uscita.
Poi torna presso l’estinto e gli ravvia barba e capelli, gli abbassa le palpebre rimaste socchiuse, gli compone le membra e gli stende sopra il mantello che Abramo si era levato per lavorare.
Resta sinché sente delle voci sulla via. Allora si raddrizza. Splendido… Quelli che accorrono lo vedono. Gridano. Aumentano la loro corsa per raggiungere Gesù. Ma Egli si invola ai loro sguardi nel fulgore di un raggio più vivo del sole.
VIII. A Elia, l’esseno del Carit.
21La solitudine aspra dell’aspra montagna dove scorre nel fondo il Carit. Elia che prega, ancor più scarno e barbuto, vestito di una ruvida veste di lana né bigia né marrone, che lo fa simile ai massi che lo circondano.
Sente un suono come di vento o di tuono. Alza il capo. Gesù è apparso su un masso sospeso in bilico sul precipizio nel cui fondo scorre il torrente.
«Il Maestro!». Si getta al suolo anche col volto.
«Io, Elia. Non hai sentito il terremoto di Parasceve?».
«L’ho sentito e sono sceso a Gerico e da Niche. Non ho trovato nessuno di quelli che ti amano. Ho chiesto di Te. Mi hanno percosso. Poi ho sentito un’altra volta tremare la terra, ma più leggermente, e sono tornato qui, in penitenza, pensando che si è aperta la diga dell’ira celeste».
«Della Misericordia divina. Io sono morto e risorto. Guarda le mie piaghe. Raggiungi sul Tabor i servi del Signore e di’ loro che Io ti ho mandato».
Lo benedice e scompare.
IX. A Dorca e al suo bambino, nel castello di Cesarea di Filippo.
22Il bambino di Dorca, sostenuto dalla madre, fa i primi passi sul bastione della fortezza. E Dorca, curva come è, non vede apparire il Signore. Ma quando, avendo lasciato un poco libero il fanciullino, lo vede darsi a camminare sicuro e svelto verso l’angolo del bastione, si rialza per correre acciò egli non caschi e forse perisca passando fra le merlature o passaggi fatti ad arte per le armi di offesa. E, nel farlo, vede Gesù che si raccoglie sul cuore l’infante e lo bacia.
La donna non osa fare un gesto. Ma grida, forte. Un grido che fa alzare il capo a quelli delle corti e sporgere volti dalle finestre: «Il Signore! Il Signore! Il Messia è qui! È veramente risorto». Ma, prima che la gente possa accorrere, Gesù è già scomparso.
«Sei pazza! Sognavi! Uno scherzo di luce ti ha fatto vedere un fantasma».
«Oh! era ben vivo! Guardate mio figlio come guarda là e come ha nelle mani una mela bella come il suo piccolo volto. La rode coi dentini e ride. Io non ho mele…».
«Nessuno ha mele mature di questi giorni, e fresche così…», dicono rimanendo scossi.
23«Interroghiamo Tobia», dicono alcune donne.
«E che volete fare? Sa appena chiamare “mamma”!», deridono degli uomini.
Ma le donne si curvano sul fanciullino e dicono: «Chi ti ha dato la mela?».
E la bocca, che quasi non sa dire le più elementari parole, dice sicura, tutta in un ridere di dentini minuti e di gengive ancor vuote: «Gesù».
«Oh!».
«Eh! lo chiamate Jesai! Sa dire il suo nome».
«Gesù tu, o Gesù il Signore? Quale Signore? Dove lo hai visto?», incalzano le donne.
«Lì, il Signore. Gesù il Signore».
«Dove è? Dove è andato?».
«Là», indica il cielo pieno di sole e ride felice, e morde la sua mela.
E mentre gli uomini se ne vanno scrollando il capo, Dorca dice alle donne: «Era bello. Pareva vestito di luce. E aveva sulle mani il segno dei chiodi, rosso come una gemma in tanto candore. Ho visto bene perché teneva il bambino così», e fa l’atto di Gesù.
24Accorre l’intendente, si fa ripetere la storia, pensa, conclude: «Il salmo lo dice: “Sulla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai posta la lode perfetta”. E perché no la verità? Essi sono innocenti. E noi… Ricordiamo questo giorno… Ma no! Io vado nel paese dei discepoli. Vado a vedere se là è il Rabbi… Eppure… Era morto… Mah!…».
E su questo «mah!», che finisce di concludersi internamente, l’intendente se ne va, mentre le donne, esaltate, continuano a far domande al piccino, che ride e ripete: «Gesù, là. E poi là. Gesù Signore», e indica il luogo dove era Gesù, poi il sole nel quale lo vide sparire, felice, felice.
X. Alle persone raccolte nella sinagoga di Cedes.
25La gente di Cedes è raccolta nella sinagoga e discute col vecchio Mattia, il sinagogo, sugli ultimi avvenimenti. La sinagoga è piuttosto semibuia, perché le porte sono chiuse e le tende calate sulle finestre, tende pesanti che il vento d’aprile smuove appena.
Un lampo illumina la stanza. Sembra un lampo, ma è la luce che precede Gesù. E Gesù si manifesta allo stupore dei molti. Apre le braccia e ben visibili appaiono le ferite alle mani e ai piedi, perché si mostra sull’ultimo dei tre gradini che conducono ad una porta chiusa. Dice: «Io sono risorto. Vi ricordo la disputa fra Me e gli scribi. Alla generazione malvagia ho dato il segno che avevo promesso. Quello di Giona. A chi mi ama e mi è fedele do la mia benedizione». Nulla più. È scomparso.
«Ma era Lui! Da dove? Eppure era vivo! Lo aveva detto! Ecco! Ora capisco. Il segno di Giona: tre giorni nelle viscere della Terra e poi la risurrezione…».
Brusio di commenti…
XI. Ad un gruppo di rabbi a Giscala.
26Un gruppo velenoso di rabbi, che cercano di persuadere alle loro richieste alcuni uomini che titubano. Vorrebbero ottenere che questi andassero da Gamaliele, che si è chiuso nella sua casa e non vuole vedere nessuno.
Dicono questi uomini: «Vi diciamo che non è qui. Non sappiamo dove è. È venuto. Ha consultato dei rotoli. È partito. Non ha detto una parola. Faceva paura, tanto era stravolto e invecchiato», ribattono gli altri.
Con mal garbo i rabbi volgono le spalle a questi che parlano e se ne vanno dicendo: «Anche Gamaliele è pazzo come Simone! Non è vero che il Galileo è risorto! Non è vero. Non è vero! Non è vero che è Dio. Non è vero. Nulla è vero. Noi soli siamo nel vero». Lo stesso affanno col quale dicono che non è vero mostra la loro paura che vero sia, il bisogno di rassicurarsi.
Hanno costeggiato il muro della casa e sono verso la tomba di Illele. Sempre latrando le loro negazioni, alzano il volto… e fuggono con un grido. Il Gesù buonissimo coi buoni è là, terribile di potenza, a braccia aperte come sulla croce… Le piaghe alle mani rosseggiano come ancora gocciassero sangue. Non dice una parola. Ma i suoi sguardi fulminano.
I rabbi fuggono, cadono, si rialzano, si feriscono contro piante e sassi, folli, resi folli di paura. Sono simili a omicidi ricondotti alla presenza della vittima.
XII. A Gioacchino e Maria, a Bozra.
27«Maria! Maria! Gioacchino e Maria! Venite fuori».
I due, che sono in una stanza quieta, illuminata da un lume, una intenta a cucire, l’altro a far conti, alzano il capo, si guardano… Gioacchino, sbiancando di paura, sussurra: «La voce del Rabbi! Viene dall’altra vita…». La donna si stringe spaurita all’uomo.
Ma l’appello si ripete e i due, tenendosi stretti per farsi coraggio a vicenda, osano uscire, andare in direzione della voce.
Nel giardino, che illumina il falcetto di una luna novella, splende, in una luce più forte di molte lune, Gesù. La luce lo circonda e lo fa Dio. Il sorriso dolcissimo e lo sguardo amorevole lo fanno Uomo: «Andate a dire a quei di Bozra che mi avete visto vivo e reale. E ditelo al Tabor, tu, Gioacchino, a quelli là convenuti». Li benedice. Scompare.
«Ma era Lui! Non era un sogno! Io… Domani vado in Galilea. Ha detto al Tabor, vero?…».
XIII. A Maria di Giacobbe, ad Efraim.
28La donna sta intridendo della farina per fare del pane. Si volta sentendosi chiamare e vede Gesù. Volto a terra, mani a terra, muta di adorazione, un poco spaventata.
Gesù parla: «Dirai a tutti che mi hai visto e che ti ho parlato. Il Signore non è soggetto al sepolcro. Sono risorto al terzo giorno come avevo predetto. Perseverate, voi che state nella mia via, e non vi lasciate sedurre dalle parole di quelli che mi hanno crocifisso. La mia pace a te».
XIV. A Sintica, ad Antiochia.
29Sintica sta preparando una sacca da viaggio. È sera, perché arde un lume piccolo, tremulo, dalla luce molto relativa, posato su una tavola presso la donna intenta a ripiegare delle vesti.
La stanza si illumina vivamente e Sintica alza il capo, stupita, a vedere cosa succede, donde viene quella luce così chiara in quella stanza tutta chiusa. Ma, prima che veda, Gesù la previene: «Sono Io. Non temere. Mi sono mostrato a molti per confermarli nella fede. Anche a te mi mostro, discepola ubbidiente e fedele. Sono risorto. Vedi? Non ho più dolore. Perché piangi?».
La donna, davanti alla bellezza del Glorificato, non trova le parole… Gesù le sorride per incoraggiarla e soggiunge: «Sono lo stesso Gesù che ti ha accolta sulla via presso Cesarea. Sapesti parlare allora che eri tanto timorosa e che ti ero lo Sconosciuto. Ed ora non sai dirmi una parola?».
«O Signore! Io stavo partendo… Per levarmi dal cuore tanta inquietudine e dolore».
«Perché dolore? Non ti hanno detto che ero risorto?».
«Hanno detto e contraddetto. Ma delle loro contraddizioni non mi sono turbata. Io sapevo che Tu non potevi corromperti in un sepolcro. Ho pianto sul tuo martirio. Ho creduto, prima ancora che me la dicessero, alla tua risurrezione. E ho continuato a credere quando sono venuti altri a dire che non era vero. Ma volevo venire in Galilea. Pensavo: a Lui non posso fare più del male. Egli ora è più Dio che Uomo. Non so se so dir bene…».
«Capisco il tuo pensiero».
«E dicevo: lo adorerò, e vedrò Maria. Pensavo che Tu non rimarresti molto fra noi e affrettavo la partenza. Dicevo: quando sarà tornato al Padre, come diceva, sua Madre sarà un poco triste nella sua gioia. Perché è un’anima, ma è anche una madre… E io cercherò di consolarla, ora che è sola… Superba ero!».
«No. Eri pietosa. Dirò a mia Madre il tuo pensiero. Ma non venire là. Resta dove sei e continua a lavorare per Me. Ora più di prima. I tuoi fratelli, i discepoli, hanno bisogno del lavoro di tutti per poter propagare la mia dottrina. Mi hai visto. Maria è affidata a Giovanni. Ogni tua pena cada. Potrai fortificare il tuo spirito nella certezza di avermi visto e con la potenza della mia benedizione».
30Sintica ha una grande voglia di baciarlo. Ma non osa. Gesù le dice: «Vieni». E lei osa strascinarsi a ginocchi presso Gesù e fa l’atto di baciargli i piedi. Ma vede le due piaghe e non osa. Prende il lembo della veste e la bacia piangendo. E mormora: «Cosa ti hanno fatto!».
Poi ha una domanda: «E Giovanni-Felice?».
«È felice. Non ricorda più altro che l’amore e vive in esso. La pace a te, Sintica». Scompare.
La donna resta nell’atto adorante, in ginocchio, il volto alzato, le mani un poco tese, delle lacrime sul volto, un sorriso sulla bocca…
XV. Al levita Zaccaria.
31È in una piccola stanza. Pensieroso, sta seduto, col capo reclino su una mano, Zaccaria, il levita.
«Non essere dubbioso. Non accogliere le voci che turbano. Io sono la Verità e la Vita. Guardami. Toccami».
Il giovane, che ha alzato il viso alle prime parole e ha visto Gesù, ed è scivolato in ginocchio, grida: «Perdonami, Signore. Io ho peccato. Ho accolto in me il dubbio sulla tua verità».
«Più di te, colpevoli coloro che cercano di sedurre il tuo spirito. Non cedere alle loro tentazioni. Sono corpo vivo e reale. Senti il peso e il calore, la consistenza e la forza della mia Mano». Lo prende per un avambraccio e lo alza con forza dicendo: «Sorgi e cammina nelle vie del Signore. Fuori dal dubbio e dalla paura. E te beato se saprai perseverare sino alla fine». Lo benedice e scompare.
Il giovane, dopo qualche attimo di sbalordita meraviglia, si precipita fuori dalla stanza gridando: «Madre! Padre! Ho visto il Maestro. Non è vero ciò che dicono gli altri! Non ero folle. Non vogliate persistere a credere alla menzogna, ma benedite con me l’Altissimo che ha avuto pietà del suo servo. Io parto. Vado in Galilea. Troverò qualcuno dei discepoli. Vado a dire loro che credano. Che Egli è proprio risorto».
Non prende sacca con cibo né vesti. Si ammanta e corre via, senza dare tempo ai genitori di rinvenire dal loro stupore e potere intervenire per trattenerlo.
XVI. Ad una donna della piana di Saron, che ottiene la guarigione del figlio malato.
32Una via litoranea. Forse quella che unisce Cesarea a Joppe, o un’altra. Non so. So che vedo campagne nell’interno e mare all’esterno, azzurro vivo dopo la linea giallastra della riva. La strada è certo un’arteria romana. La sua pavimentazione lo testimonia.
Una donna piangente va per essa nelle prime ore di un sereno mattino. L’aurora è da poco sorta. La donna deve essere stanchissima, perché ogni tanto si ferma sedendosi su una pietra miliare o sulla via. Poi si rialza e procede, come se qualcosa la spronasse ad andare, nonostante la grande stanchezza.
Gesù, un viandante ammantellato, gli si pone al fianco. La donna non lo guarda. Procede assorbita nel suo dolore. Gesù la interroga: «Perché piangi, donna? Da dove vieni? E dove vai così tutta sola?».
«Vengo da Gerusalemme e torno a casa mia».
«Lontano?».
«A mezza via tra Joppe e Cesarea».
«A piedi?».
«Nella valle, prima di Modin, dei ladroni mi hanno preso l’asino e quanto era su esso».
«Sei stata imprudente ad andar sola. Non usa venire soli per la Pasqua».
«Non ero venuta per la Pasqua. Ero rimasta a casa, perché ho, spero di averlo ancora, un bambino malato. Mio marito era andato con gli altri. Io l’ho lasciato andare avanti e quattro giorni dopo sono andata io. Perché ho detto: “Certo Egli è a Gerusalemme per la Pasqua. Lo cercherò”. Avevo un poco paura. Ma ho detto: “Non faccio nulla di male. Dio vede. Io credo. E so che è buono. Non mi respingerà, perché…”». Si arresta come impaurita e getta uno sguardo fugace sull’uomo che le cammina vicino, così tutto coperto che appena se ne vedono gli occhi, gli inconfondibili occhi di Gesù.
33«Perché taci? Hai paura di Me? Credi tu che Io sia nemico di Colui che tu cercavi? Perché tu cercavi il Maestro di Nazaret, per chiedergli che venisse nella tua casa a guarire il fanciullo mentre tuo marito era assente…».
«Vedo che sei profeta. Così è. Ma, quando sono arrivata in città, il Maestro era morto». Il pianto la soffoca…
«È risorto. Non lo credi?».
«Lo so. Lo credo. Ma io… Ma io… Per qualche giorno ho sperato di vederlo anche io… Si dice che si è mostrato ad alcuni. E ho tardato a partire… ogni giorno uno spasimo, perché… è tanto malato il mio bambino… Il mio cuore diviso… Andare per consolarlo nella morte… Rimanere per cercare il Maestro… Non pretendevo che venisse alla mia casa. Ma che mi promettesse guarigione».
«E avresti creduto? Pensi che da lontano…».
«Credo. Oh! se mi avesse detto: “Va’ in pace. Tuo figlio guarirà”, io non avrei dubitato. Ma non lo merito, perché…», piange premendosi il velo sulla bocca come per impedirle di parlare.
«Perché tuo marito è uno degli accusatori e carnefici di Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo è il Messia. È Dio. E Dio è giusto, donna. Non punisce un innocente per il colpevole. Non tortura una madre perché un padre è peccatore. Gesù Cristo è Misericordia viva…».
«Oh! tu sei forse un suo apostolo? Tu forse sai dove è Egli? Tu… Forse Egli ti ha mandato a me per dirmi questo. Ha sentito, ha visto il mio dolore, la mia fede, e mi ti manda così come
l’Altissimo mandò l’arcangelo Raffaele a Tobiolo. Dimmelo se così è, ed io, benché stanca fino alla febbre, rivolgerò indietro i miei passi per cercare il Signore».
«Non sono un apostolo. Ma a Gerusalemme sono rimasti ancora gli apostoli per molti giorni dopo la sua Risurrezione…».
«È vero. Potevo chiedere a loro».
«Così. Essi continuano il Maestro».
«Non credevo potessero fare miracoli».
«Li hanno fatti ancora…».
«Ma ora… Mi hanno detto che solo uno è rimasto fedele, e non credevo…».
«Sì. Tuo marito ti ha detto così, schernendoti nel suo delirio di falso trionfatore. Ma Io ti dico che l’uomo può peccare, perché solo Dio è perfetto. E può pentirsi. E, se si pente, la sua fortezza cresce, e Dio gli aumenta le sue grazie per la sua contrizione. Non perdonò forse a Davide il Signore altissimo?».
34«Ma chi sei? Ma chi sei, che parli così dolce e sapiente, se apostolo non sei? Un angelo, forse? L’angelo del mio bambino. Egli è forse spirato e tu sei venuto a prepararmi…».
Gesù lascia cadere il manto, e dal capo e dal volto, e passando dall’aspetto dimesso di un comune pellegrino all’imponenza sua di Dio-Uomo, risorto da morte, dice con dolce solennità: «Sono Io. Il Messia invano crocifisso. Sono la Risurrezione e la Vita. Vai, o donna. Tuo figlio vive, perché Io ho premiato la tua fede. Tuo figlio è guarito. Perché, se il Rabbi di Nazaret ha finito la sua missione, l’Emanuele continua la sua sino alla fine dei secoli per tutti coloro che hanno fede, speranza e carità nel Dio uno e trino, di cui il Verbo incarnato è una Persona, che per divino amore ha lasciato il Cielo per venire a insegnare, a patire e morire per dare agli uomini la Vita. Va’ in pace, donna. E sii forte nella fede, perché il tempo è venuto che in una famiglia lo sposo sarà contro la sposa, il padre contro ai figli e questi a quello, per odio o per amore per Me. Ma beati quelli che persecuzione non strapperà dalla mia Via».
La benedice e scompare.
XVII. A dei pastori sul Grande Ermon.
35Un gruppo di greggi e di pastori. Sono a sosta su delle pendici dai pascoli splendidi. E parlano degli avvenimenti di Gerusalemme. E sono afflitti, dicendo l’uno all’altro: «Non avremo più sulla Terra l’Amico dei pastori», e rievocano i molti incontri fatti or qua or là con Lui… «Incontri», dice un vecchio, «che non faremo mai più».
Gesù appare come mettesse piede in quel luogo da dietro un bosco intricato, dove i fusti alti sono abbracciati da macchioni bassi che celano la vista del sentiero. Non lo riconoscono nell’uomo solitario e mormorano vedendolo così avvolto in vesti candide: «Chi è? Un esseno? Qui? Un ricco fariseo?». Sono perplessi.
Gesù interroga: «Perché dite che non incontrerete più il Signore? Perché Colui di cui parlate è il Signore».
«Lo sappiamo. Ma tu non sai ciò che gli hanno fatto? Ora c’è chi dice che è risorto e chi no. Ma, anche che sia risorto, come noi preferiamo credere, ora se ne sarà andato. Come può più amare e rimanere framezzo ad un popolo che lo ha crocifisso? E noi che lo amavamo, anche se non tutti lo avevamo conosciuto, siamo tristi di averlo perduto».
«C’è un modo di averlo ancora. Egli lo insegnava».
«Oh, sì! Facendo ciò che Egli insegnava. Allora si ha il Regno dei Cieli e si è con Lui. Ma prima si deve vivere e poi morire. Ed Egli non è più fra noi per confortarci». Scrollano il capo.
«Figliuoli miei, coloro che vivono ciò che Egli ha insegnato, tenendo nel cuore il suo insegnamento, è come se avessero Gesù nel cuore. Perché Parola e Dottrina sono una cosa sola. Egli non era un Maestro che insegnasse cose che non fossero quale Egli era. Perciò, chi fa ciò che Egli ha detto, ha Gesù vivente in lui e non gli è diviso».
«Dici bene. Ma siamo poveri uomini e… vogliamo vedere anche con gli occhi per sentire bene la gioia… Io non l’ho visto mai, e mio figlio neppure, e non Giacobbe, quello. E non Melchia, quello. E non Giacomo, quello. E non Saul. Vedi, solo fra noi, quanti non lo hanno visto? Sempre lo cercavamo, e quando si arrivava Egli era partito».
«Non eravate a Gerusalemme quel giorno?».
«Oh! c’eravamo! Ma, quando abbiamo saputo cosa volevano fargli, siamo fuggiti come pazzi sui monti, tornando in città dopo il sabato. Non siamo colpevoli del Sangue di Lui, perché non eravamo nella città. Ma facemmo male ad essere vili. Lo avremmo visto, almeno, e salutato. Certo Egli ci avrebbe benedetti per il nostro saluto… Ma proprio non abbiamo avuto coraggio di guardarlo fra i tormenti…».
«Egli vi benedice ora. Guardate Colui del quale desiderate conoscere il Volto».
Si manifesta, splendidamente divino sul verde del prato. Davanti al loro stupore, che li getta a terra ma che anche inchioda le loro pupille sul Volto divino, Egli dispare in un fulgore di luce.
XVIII. Al bambino che era cieco nato, a Sidone.
36Il fanciullo giuoca tutto solo sotto un folto pergolato. Si sente chiamare e si trova di fronte Gesù. Gli chiede, ben poco timoroso: «Ma Tu sei il Rabbi che mi ha dato gli occhi?», e figge i suoi limpidi occhi di fanciullo, di un azzurro uguale a quelli di Gesù, negli sfavillanti occhi divini.
«Sono Io, fanciullo. Tu non hai paura di Me?». Lo carezza sul capo.
«Paura no. Ma io e la mamma abbiamo molto pianto quando il padre è tornato prima del tempo e ci ha detto che era fuggito perché avevano presso il Rabbi per farlo morire. Non ha fatto la Pasqua e deve partire di nuovo per farla. Ma non sei morto, allora?».
«Sono morto. Guarda le ferite. Morto sulla croce. Ma sono risorto. Dirai a tuo padre di trattenersi qualche tempo a Gerusalemme dopo la seconda Pasqua e di stare nei pressi dell’Uliveto, a Betfage. Là troverà chi gli dirà cosa fare».
«Mio padre pensava di cercarti. Per i Tabernacoli non ti poté parlare. Voleva dirti che ti vuol bene per gli occhi che mi hai dato. Ma non poté farlo, né allora né ora…».
«Lo farà con la fede in Me. Addio, fanciullo. La pace a te e alla tua famiglia».
XIX. Ai contadini di Giocana.
37I campi di Giocana sotto il bacio della luna. Silenzio assoluto. Le povere dimore dei contadini, in una afosa notte che obbliga a tenere aperta almeno una porta per non morir di caldo nelle stanze basse, dove sono accatastati troppi corpi rispetto alla capienza del luogo.
Gesù entra in uno stanzone. Pare che sia la stessa luna che allunghi il suo raggio per fargli un tappeto regale sul suolo di terra battuta. Si curva su un dormente, che sta bocconi nel sonno pesante della fatica. Lo chiama. Passa a un altro e a un altro. Tutti chiama, quei suoi fedeli e poveri amici. Passa lieve e svelto come un angelo in volo. Entra in altri covili… Poi va ad attenderli fuori, presso un gruppo di piante.
I contadini, mezzo assonnati, escono dalle loro stamberghe. Due, tre, uno solo, cinque insieme, alcune donne. Sono stupiti di essere stati tutti chiamati così da una voce nota, che ha detto a tutti le stesse parole: «Venite al pometo». Vanno là, finendo di infilarsi le povere vesti gli uomini, o di puntarsi le trecce le donne, e parlano piano.
«A me è parsa la voce di Gesù di Nazaret».
«Forse il suo spirito. Lo hanno ucciso. Avete sentito?».
«Io non posso crederlo. Egli era Dio».
«Eppure Gioele lo vide passare sotto la croce anche…».
«A me hanno detto ieri, mentre aspettavo che il fattore trattasse i suoi mercati, che sono passati da Jezrael i discepoli e hanno detto che è risorto proprio».
«Taci! Sai cosa dice il padrone. È la flagellazione per chi dice questo».
«La morte, forse. Ma non sarebbe meglio, piuttosto di soffrire così?».
«E ora non c’è più Lui!».
«Sono anche più cattivi, ora che sono riusciti a ucciderlo».
«Sono cattivi perché è risorto».
Parlano piano, mentre vanno verso il punto che è stato detto loro.
38«Il Signore!», grida una donna cadendo per la prima in ginocchio.
«Il suo fantasma!», gridano altri e qualcuno ha paura.
«Sono Io. Non temete. Non gridate. Venite avanti. Sono proprio Io. Sono venuto a raffermare la vostra fede, che so insidiata dagli altri. Vedete? Il mio Corpo fa ombra perché è vero corpo. Non sognate, no. La mia è vera voce. Sono lo stesso Gesù che spezzava con voi il pane e vi dava amore. Anche ora vi do amore. Vi manderò i miei discepoli. E sarò ancora Io, perché essi vi daranno ciò che Io vi davo e ciò che ho dato loro per poter comunicarmi a quelli che credono in Me. Sopportate la vostra croce come Io ho sopportato la mia. Siate pazienti. Perdonate. Vi diranno come sono morto. Imitatemi. La via del dolore è la via del Cielo. Seguitela con pace e avrete il Regno mio. Non c’è altra via fuor di quella della rassegnazione alla volontà di Dio, della generosità, della carità verso tutti. Ce ne fosse stata un’altra, Io ve la avrei indicata. Sono passato Io per questa, perché è la via giusta. Siate fedeli alla Legge del Sinai, che è immutabile nei suoi dieci comandi, e alla mia Dottrina. Verranno quelli che vi istruiranno perché non siate abbandonati alle mene dei malvagi. Io vi benedico. Ricordate sempre che vi ho amato e che sono venuto fra voi prima e dopo della mia glorificazione. In verità vi dico che molti avrebbero desiderio di vedermi ora, e non mi vedranno. Molti grandi. Ma mi mostro a coloro che amo e che mi amano».
Un uomo osa dire: «Allora… il Regno dei Cieli c’è proprio? Tu eri veramente il Messia? Essi ci suggestionano…».
«Non ascoltate le parole loro. Ricordate le mie e accogliete quelle dei miei discepoli a voi noti. Sono parole di verità. E chi le accoglie e pratica, ancorché qui sia servo o schiavo, sarà cittadino e coerede del Regno mio».
Li benedice aprendo le braccia e scompare.
39«Oh! io… Non temo più nulla io!».
«E io neppure. Hai sentito? Anche per noi c’è un posto!».
«Bisogna essere buoni!».
«Perdonare!».
«Pazientare!».
«Saper resistere».
«Cercare i discepoli».
«Da noi, poveri servi, è venuto».
«Lo diremo ai suoi apostoli».
«Se lo sapesse Giocana!».
«E Doras!».
«Ci ucciderebbero perché non si parlasse».
«Ma noi taceremo. Solo ai servi del Signore lo diremo».
«Michea, tu non devi andare con quel carico a Sefori? Perché non vai a Nazaret a dire…».
«A chi?».
«Alla Madre. Agli apostoli. Forse saranno con Lei…».
Si allontanano bisbigliando i loro progetti.
XX. A Daniel, parente del fariseo Elchia, con il sinedrista Simone.
40Elchia, il fariseo, sta discutendo con altri suoi pari cosa fare del sinedrista Simone che, impazzito il venerdì santo, parla e dicetroppe cose. Le proposte sono diverse. Chi dice di isolarlo in qualche luogo deserto, dove le sue grida non possono essere sentite altro che da un servo fedelissimo e del loro stesso pensiero; chi, più benigno, confida che, essendo un malore passeggero, basterebbe lasciarlo lì dove è.
Elchia risponde: «L’ho portato qui non sapendo dove altro portarlo. Ma voi sapete che dubito forte del mio parente Daniel…».
Altri, più malvagi ancora di Elchia, dicono: «Vuole fuggire, andare per mare. Perché non accontentarlo?».
«Perché è incapace di atti ordinati. Solo in mare, perirebbe, e nessun di noi è capace di condurre una barca».
«E poi! Anche fosse! Che avverrebbe nel luogo di sbarco, con quello che egli dice? Lasciate scegliere a lui la via… Alla presenza di tutti, anche del tuo parente, fa’ che egli dica la sua volontà, e come egli vuole si faccia».
Viene approvata questa proposta, ed Elchia, chiamando un servo, ordina sia condotto Simone e chiamato Daniel.
Vengono l’uno e l’altro e, se Daniel ha l’aspetto di uomo che si sente a disagio presso certa gente, l’altro ha proprio l’aspetto di un mentecatto.
«Sentici, Simone. Tu dici che noi ti teniamo prigione perché vogliamo ucciderti…».
«Dovete. Perché tale è il comando».
«Tu deliri, Simone. Taci e ascolta. Dove ti pare che guariresti?».
«In mare. In mare. In mezzo al mare. Dove non è nessuna voce. Dove non è nessun sepolcro. Perché i sepolcri si aprono ed escono i morti e mia madre dice…».
«Taci! Ascolta. Noi ti amiamo. Come una carne nostra. Vuoi proprio andare là?».
«Certo che voglio. Perché qui i sepolcri si aprono e mia madre…».
«Andrai là. Ti condurremo al mare, ti daremo una barca e tu…».
«Ma è un omicidio il vostro! Egli è folle! Non può andar solo!», grida l’onesto Daniel.
«Dio non violenta la volontà dell’uomo. Potremmo noi fare ciò che non fa Dio?».
«Ma è folle! Non ha più volontà. È più stolto di un neonato! Non potete!…».
«Taci tu. Sei un agricoltore e non altro. Noi sappiamo… Domani partiremo per il mare. Sta’ lieto, Simone. Per il mare, capisci?».
«Ah! non sentirò più le voci della Terra! Non più le voci…
41Ah!», un grido lungo, uno spasimo di agitazione, un chiudersi d’occhi e d’orecchie. E un altro grido, quello di Daniel, che scappa via terrorizzato.
«Ma che è? Che avviene? Fermate quel pazzo e quello stolto! Stiamo forse perdendo tutti il senno?», urla Elchia.
Ma colui che Elchia chiama “lo stolto”, ossia il suo parente Daniel, dopo aver corso qualche metro, si prostra al suolo, mentre l’altro invece schiuma, là dove è, in una convulsione paurosa, e urla, urla: «Fatelo tacere! Non è morto e grida, grida, grida! Più di mia madre, più di mio padre, più che non facesse sul Golgota! Là, là, non vedete là?». Accenna a dove è Daniel, placido, sorridente, col volto levato dopo esser stato col volto al suolo.
Elchia lo raggiunge e lo scrolla rudemente, furente, senza occuparsi di Simone che si rotola a terra e spuma e ha urli bestiali fra il cerchio esterrefatto degli altri. Elchia apostrofa Daniel: «Visionario fannullone, vuoi dirmi che fai?».
«Lasciami. Ora ti conosco. E da te mi allontano. Ho visto, benigno a me, tremendo a voi, Colui che mi volete fare credere morto. Io me ne vado. Più che il denaro e ogni ricchezza, tutelo l’anima mia. Addio, maledetto! E, se puoi, fa’ di meritare il perdono di Dio».
«Ma dove vai? Dove? Io non voglio!».
«Hai diritto di tenermi prigioniero? Chi te lo ha dato? Ti abbandono ciò che ami e seguo ciò che amo. Addio», gli volge le spalle e se ne va, rapido come lo traesse una forza sovrumana, giù per la china verde di ulivi e frutteti.
Elchia, e non lui solo, è livido. L’ira li strozza tutti. Elchia minaccia vendetta sul parente, su tutti quelli che «con le loro frenesie», dice, asseriscono che il Galileo è vivente. Vuol dire, vuol dire…
Uno, non so chi sia, dice: «Faremo, faremo, ma non potremo chiudere tutte le bocche, e le pupille, che parlano perché vedono. Siamo vinti! Il delitto è su noi. Ora viene l’espiazione…», e si batte il petto, preso da un’angoscia che lo fa simile ad uno che salga gli scalini di un patibolo. «La vendetta di Jeové», dice ancora, ed è tutto il terrore millenario d’Israele che affiora nella sua voce.
Intanto, ferito, spumante, pauroso, Simone strepita con gridi da dannato: «Patricida, m’ha detto! Fatelo tacere! Tacere! Patricida! La stessa parola di mia madre! I morti hanno dunque tutti le stesse parole?!…».
XXI. Ad una donna galilea, che ottiene la risurrezione del marito morto.
42La luna, quasi al suo tramonto, sta per nascondere il suo arco ancor sottile di luna novella dietro la gobba di un monte. E la sua luce è dunque molto relativa, e fra poco non sarà più sull’ampia campagna.
Eppure un viandante è sulla via solitaria. Una vietta, un viottolo fra i campi, più che altro. Cammina tenendo sospeso per un anello un rudimentale fanaletto, di quelli che, vecchi come il mondo, io credo, generalmente usano i carrettieri per farsi luce nella notte. Questo, non essendo il vetro cosa comune — anzi credo sia sconosciuto affatto, perché non mi è mai capitato di vederne in nessuna casa né come bicchiere, né come vaso, né come riparo alle finestre — ha per riparo alla fiamma qualcosa che può esser tanto mica come pergamena. La luce ne filtra debole tanto da servire appena a rischiarare un piccolo spazio intorno al lume. Però, come la luna si nasconde del tutto, la luce del povero fanale pare crescere di vigore e mettere un ballonzolante punto chiaro sul nero della campagna.
Il viandante cammina, cammina… Il cielo ha un principio di alba all’estremo orizzonte. Ma tanto tenue che, per ora, non illumina nulla, e il povero lumino serve ancora.
Presso un ponticello è in attesa, o in riposo, un altro viandante, tutto avvolto nel mantello.
Quello del fanale, diretto a quel ponte, si arresta dubitoso. È incerto se passare di là o tornare indietro, dove il greto di un torrentello ha larghe pietre che possono servire da passaggio fra la poca acqua del fondo.
Quello seduto sulla rustica sponda, fatta di un tronco con ancor sopra la corteccia bianco-verde, alza il capo osservando quello che si è fermato. Si alza in piedi e dice: «Non temere di Me. Vieni avanti. Sono un buon compagno, non un ladrone».
È Gesù. Lo riconosco alla voce più che all’aspetto, che è velato dal crepuscolo fondo, che il lume non serve a rompere sin là dove è Gesù. Ma la persona, ferma, dubita ancora.
«Vieni, donna. Non temere. Andremo insieme, anzi, per qualche tratto, e sarà bene per te».
La donna, ora so che è una donna, viene avanti, vinta dalla dolcezza della voce o da una forza arcana, e scrolla il capo avanzando e mormorando: «Non c’è più bene per me».
43Ora procedono fianco a fianco per il viottolo largo tanto da permettere solo il passaggio di due pedoni. L’alba che avanza mostra, a un lato della via, una rigida foresta in miniatura di grani maturi in attesa della falce. Sull’altro lato i grani, già segati, sono stesi in covoni sul campo spogliato della sua gloria di messi mature.
«Maledetti!», dice sottovoce la donna gettando uno sguardo sui covoni giacenti.
Gesù tace.
Il giorno avanza. La donna spegne il povero lume e, per farlo, scopre il viso devastato dal pianto. E alza il volto a guardare ad oriente, dove una riga giallo-rosa annuncia il levarsi del sole. Agita il pugno verso oriente e dice ancora: «E maledetto te!».
«Il giorno? Dio lo ha fatto. Come ha fatto il grano. Sono benefici di Dio. Non vanno maledetti…», dice dolcemente Gesù.
«E io li maledico. Maledico il sole e le messi. E ne ho ragione».
«Non ti sono stati buoni per tanti anni? Non ti ha maturato, il primo, il pane quotidiano, l’uva che si muta in vino, le verdure e le frutta dell’orto, e fatti crescere i pascoli per nutrire pecore e agnelli, del cui latte e carne ti cibasti e del cui vello ti tessi le vesti? E il grano non ha dato pane a te, ai tuoi figli, al tuo padre e alla tua madre, al tuo sposo?».
Un gran scoppio di pianto e un grido: «Non ho più sposo! Essi me lo hanno ucciso! Era andato ad opera, perché abbiamo sette figli e non ci bastava il poco che avevamo di nostro a sfamare dieci persone. E ieri, a sera, è venuto dicendo: “Sono stanco e balordo”, e si gettò sul lettuccio ardendo di febbre. Io e sua madre lo soccorremmo come si poteva, pensando di chiamare oggi il medico della città… Ma dopo il gallicinio mi è morto. Lo ha ucciso il sole. In città vado, sì. A prendere quanto occorre. Ad avvisare i fratelli penserò nel ritorno. Ho lasciato la madre a vegliare suo figlio e i miei figli… e io sono partita per quel che c’è da fare… E non devo maledire il sole ardente e i grani?».
Così contenuta come era prima, tanto che non avrei pensato fosse una donna, e una afflitta soprattutto, ora ha rotto le dighe al suo dolore, ed esso trabocca forte. Dice tutto quello che non ha detto nella sua casa «per non destare i fanciulli dormenti nella stanza vicina», tutto quello che le pesava tanto sul cuore da darle il senso che fosse per scoppiare. Ricordi d’amore, sgomento del futuro, spasimi di vedova, passano confusi come detriti di rapina sull’onda gonfia di un fiume in piena…
44Gesù la lascia parlare. Perché Gesù sa compatire il dolore, lo lascia sfogare, perché la creatura ne abbia sollievo e la stanchezza stessa, che succede all’irruenza del dolore, la renda capace di intendere chi la consola. Allora dice dolcemente: «A Naim e a Nazaret, e nei luoghi fra questo e quello, sono i discepoli del Rabbi di Nazaret. Va’ da loro…».
«E che vuoi che facciano? Se Egli ci fosse ancora!… Ma essi? Non sono santi essi! Mio marito era a Gerusalemme quel giorno. E sa… Oh! no! Sapeva! Non sa più nulla! È morto!».
«Che fece tuo marito quel giorno?».
«Quando il clamore della via lo destò, corse sulla terrazza della casa dove era coi suoi fratelli e vide passare il Rabbi, che veniva condotto al Pretorio, e con altri galilei lo seguì finché fu morto. Lo presero, lui e gli altri, a sassate, quando li scoprirono per galilei, là sul monte, e li respinsero più in basso. Ma furono là sinché non fu tutto compiuto. Poi… se ne vennero via… E ora è morto lui. Oh! almeno sapessi se per la sua pietà al Rabbi egli è in pace!».
Gesù non risponde a questo desiderio. Ma dice: «Avrà allora visto che dei discepoli erano sul Golgota. Forseché tutti i galilei furono come tuo marito?».
«Oh! no. Molti, e anche di Nazaret, lo insolentirono. Si sa. Vergogna!».
«E allora, se molti anche di Nazaret non ebbero amore per il loro Gesù, eppure Egli li ha perdonati, e molti si santificheranno in futuro, perché tu vuoi giudicare tutti ad un modo i discepoli di Cristo? Vuoi essere più severa di Dio, tu? Dio molto concede a chi perdona…».
«Non c’è più il Rabbi buono! Non c’è più! E mio marito è morto».
«Il Rabbi ha dato ai suoi discepoli il potere di fare ciò che Egli faceva».
«Voglio crederlo. Ma solo Lui vinceva la morte. Solo Lui!».
«E non si legge che Elia rendesse lo spirito al figlio della vedova di Sarepta? In verità ti dico che Elia era un grande profeta, ma che i servi del Salvatore, che è morto e risuscitato perché era il Figlio del Dio vero incarnatosi per redimere gli uomini, hanno ancora più grande potere, perché Egli sulla Croce li ha perdonati dei loro peccati per i primi, conoscendo per divina sapienza il vero dolore dei loro spiriti contriti, li ha santificati dopo la risurrezione con un nuovo perdono, ed ha loro infuso lo Spirito Santo perché potessero rappresentarmi degnamente e con la parola e con le azioni, acciò il mondo non rimanesse desolato dopo la mia dipartita da esso».
45La donna arretra vivamente, sbalordita. Getta indietro il velo per guardare bene il suo compagno. Non lo riconosce, però. Crede di aver capito male. Non osa però più parlare…
«Hai paura di Me? Prima mi credesti un ladrone pronto a carpirti i denari che hai in seno, utili a comperare quanto è necessario per la sepoltura. E avesti paura. Ora hai paura di sapermi Gesù? E non è Gesù Colui che dà e non prende? Colui che salva e non rovina? Torna indietro, donna. Io sono la Risurrezione e la Vita. Non sono necessari il sudario e gli aromi per colui che non è morto, che non è più morto, perché Io sono Colui che vince la morte e premia chi ha fede. Va’! Va’ alla tua casa! Tuo marito vive. Non una fede in Me resta senza premio». Fa l’atto di benedirla e andarsene.
La donna esce dal suo impietrimento. Non chiede, non dubita… Nulla. Cade a ginocchi, adorando. E poi, finalmente, apre la bocca e, frugandosi in seno, trae una borsa, piccola, una borsa smunta di povera gente alla quale la miseria interdice solenni onoranze ai suoi morti, e dice, offrendo la borsa: «Non ho altro… Altro per dirti la riconoscenza, per onorarti, per…».
«Non ho più bisogno di denaro, donna. Lo porterai ai miei apostoli».
«Oh! sì. Vi andrò col marito mio… Ma cosa allora darti, mio Signore? Cosa? Tu, apparire a me… questo miracolo… e io non riconoscerti… e io così inquieta… sì, ingiusta persino con le cose…».
«Sì. E non pensavi che esse sono perché Io sono, e che tutto buono è ciò che Dio fece. Se il sole non fosse stato, se i grani non fossero stati, non avresti avuto la grazia attuale».
«Ma quanto dolore però!…». La donna lacrima nel ricordarlo.
Gesù sorride e mostra le sue mani dicendo: «Questa è una parte minima del mio dolore. E l’ho consumato tutto, senza lagnarmene, per il bene vostro».
La donna si curva al suolo per confessare: «È vero. Perdona il mio lamento».
46Gesù dispare nella sua luce e quando ella alza il volto si vede sola. Sorge in piedi, gira lo sguardo. Nulla può costituire un ostacolo a vedere, perché ormai è luminoso il giorno e non ci sono che campi di messi intorno. La donna dice a se stessa: «Eppure non ho sognato!». Forse la tenta il demonio per farla dubitare, perché ha un attimo d’incertezza mentre soppesa la borsa fra le mani.
Ma poi vince la fede, e volge le spalle al luogo dove era diretta, tornando sui suoi passi, rapida come se il vento la portasse senza farle fare fatica, il volto irradiato di una gioia più grande che umana tanto è pacifica. Ripete ogni tanto: «Come è buono il Signore! Egli è veramente Dio! Egli è Dio. Sia benedetto l’Altissimo e Colui che Egli ha mandato». Non sa dire altro. E questa sua litania si mesce ora ai canti degli uccelli.
La donna è assorta in essa tanto da non sentire i saluti di alcuni mietitori, che la vedono passare e le chiedono da dove viene a quell’ora… Uno la raggiunge e le dice: «Marco sta meglio? Sei andata per il medico?».
«Marco è morto a gallicinio ed è risorto. Perché il Messia del Signore ha fatto questo», risponde essa andando sempre sveltamente.
«Il dolore l’ha resa folle!», mormora l’uomo e crolla il capo raggiungendo i compagni che hanno incominciato a falciare i grani.
I campi si popolano sempre più. Ma la curiosità vince molti, che si decidono a seguire la donna che accelera sempre più il passo.
47Va, va. Ecco una poverissima casetta, bassa, solitaria, spersa nella campagna. Vi si dirige, stringendosi le mani sul cuore.
Vi entra. Ma, appena vi ha posto piede, una vecchia le si getta fra le braccia gridando: «Oh! figlia mia, che grazia del Signore! Fa’ cuore, figlia, perché ciò che devo dirti è così grande, così felice, che…».
«Lo so, madre. Marco non è più morto. Dove è?».
«Tu sai… E come?».
«Ho incontrato il Signore. Non l’ho riconosciuto, ma Egli mi ha parlato e, quando gli è piaciuto, mi ha detto: “Tuo marito vive”. Ma qui… quando?».
«Avevo aperto la finestra allora e guardavo il primo raggio di sole sul fico. Sì, proprio così. Il primo raggio toccò allora il fico contro la stanza.… quando ho sentito un sospiro forte, come d’un che si sveglia. Mi sono voltata spaventata e ho visto Marco sedersi e gettare indietro il lenzuolo che gli avevo gettato sul volto e guardare in alto con un viso, un viso… Poi mi ha guardato e ha detto: “Madre! Io sono guarito!”. Io… Poco mancò non morissi io, ed egli mi soccorse, e capì che era stato morto. Non ricorda nulla. Dice che si ricorda sino a quando lo mettemmo a letto e poi nulla più sino al momento che vide un angelo, una specie d’angelo che aveva il viso del Rabbi di Nazaret e che gli disse: “Sorgi!”. E sorse. Proprio all’ora che il sole sorgeva tutto».
«All’ora che a me ha detto: “Tuo marito vive”. Oh! madre, che grazia! Come ci ha amato Dio!».
48Quelli che sopraggiungono le trovano abbracciate, in pianto. E credono che Marco sia morto e che la moglie abbia, in uno sprazzo di lucidità, compresa la sventura. Ma Marco, che sente le voci, appare, sereno, con un bambino fra le braccia e gli altri attaccati alla tunica, e dice forte: «Eccomi. Benediciamo il Signore!».
I sopraggiunti lo assediano di domande e, come sempre nelle cose umane, sorge la contraddizione. Chi crede ad una vera risurrezione e chi, i più, dicono che egli era solo caduto in torpore ma morto non era. Chi ammette che Cristo sia apparso a Rachele e chi dice che son tutte fole, perché «Egli è morto», dicono alcuni, e altri: «Egli è risorto, ma è tanto sdegnato, deve esserlo, che non fa più miracoli al suo popolo assassino».
«Dite ciò che vi pare», dice l’uomo perdendo la pazienza, «e ditelo dove vi pare. Basta che non lo diciate qui dove il Signore Gesù mi ha risorto. E andatevene, o infelici! E voglia il Cielo aprirvi la cervice a credere. Ma ora andatevene e lasciateci in pace». Li spinge fuori e chiude la porta.
49Si stringe al cuore la moglie e la madre e dice: «Nazaret non è lontana. Io vado là a proclamare il miracolo».
«Così vuole il Signore, Marco. Porteremo questi denari ai suoi discepoli. Andiamo a benedire il Signore. Così come stiamo. Siamo poveri, ma Egli pure lo era, e i suoi apostoli non ci sprezzeranno».
Si dà da fare ad allacciare i sandaletti ai bambini, mentre la madre getta qualche provvista in una borsa e chiude porte e impannate, e Marco va non so a che fare.
Escono quando sono pronti e vanno svelti, i più piccoli in braccio, gli altri lieti e un poco sbalorditi intorno, verso est, verso Nazaret, si capisce. Forse questo luogo è ancora nella piana di Esdrelon, ma in un punto diverso da quello dei poderi di Giocana.
Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!