Vangelo Gv 6, 1-15: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!».

Giovanna EspositoVangeloLeave a Comment

Vangelo Gv 6, 1-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CCLXXI. Partenza alla volta di Tarichea con gli apostoli rientrati a Cafarnao.

   5 settembre 1945

 1 È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie ed i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
   Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua o là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.

 2 Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!», dice facendo un sobbalzo.
  Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
  Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro, con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
  «Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
  «Là, Maestro. Dorme…».
  «Lascialo dormire», dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
  «No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
  «Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
  «E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga!».
  «Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
  Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola si vedono meglio le alterazioni dei visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
  «Il bambino ha mangiato prima», spiega Simone.
  «È meglio lasciarlo dormire, allora», dice Gesù.
  E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.

 3 «Ditemi ora che avete fatto…», incoraggia Gesù.
  «Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato», dice Pietro.
  «Veramente è stato Simone che lo ha guarito», dice Filippo che non vuole prendersi una gloria non sua.
  «Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivivere insomma, ho avuto quasi paura».
  Gesù gli posa la mano sul capo senza parlare.
  «Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me», dice Tommaso.
  «Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto», dice Matteo.
  «Allora anche Andrea», dice Giacomo d’Alfeo.
  «Invece Simone lo Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”», dice Bartolomeo.
  «Hai detto bene, Simone. E voi due?», chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
  «Oh! io non ho fatto nulla», dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
  «E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?», chiede Pietro.
  «So essere umile anche io», risponde l’Iscariota.
  «E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha proprio ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
  Giuda assente senza parlare.
  «Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
  «Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
  «Non puoi averne un’altra?».
  «Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
  «Va’. E, appena fatto, torna. E non dare molte spiegazioni».
  I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli. 

 4 Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
  «Maestro, vai lontano?».
  «Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure.
  Conto andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
  «Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
  «Forse tutta la settimana e non oltre».
  «Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
  «Quale, Mannaen?».
  «Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…».
  «No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dall’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
  Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli aposto li che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
  «È fatto, Maestro. Possiamo andare».
  «Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
  Pietro si curva per svegliare Marziam.
  «No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io», dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma poi si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù. 

 5 Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori: Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
  «Dove, Maestro?», chiede Pietro.
  «A Tarichea. Dove sbarcammo[72] dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
  Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
  «A chi parli, Simone?», chiede Bartolomeo.
  «Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa?
  Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
  «Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
  Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
  «Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
  «Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
  «Va bene. Faremo così…».
  «Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
  «Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
  «Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
  Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.

   Cap. CCLXXIII. La prima moltiplicazione dei pani.

   7 settembre 1945 

 1 Il luogo è sempre quello. Soltanto il sole non viene più da oriente, filtrando fra la boscaglia che costeggia il Giordano in questo luogo selvaggio presso lo sbocco delle acque del lago nel letto del fiume, ma viene, ugualmente obliquo, da ponente, mentre cala in una gloria di rosso, sciabolando il cielo coi suoi ultimi raggi. E sotto questo fogliame denso già la luce è molto temperata, tendente alle tinte pacate della sera. Gli uccelli, inebbriati dal sole avuto per tutto il giorno, dal cibo abbondante carpito alle limitrofe campagne, si danno ad un baccanale di trilli e canti, sulle vette delle piante. La sera cala con le pompe finali del giorno.
  Gli apostoli lo fanno notare a Gesù, che sempre ammaestra a seconda degli argomenti a Lui esposti. «Maestro, la sera si avvicina. Il luogo è deserto, lontano da case e paesi, ombroso e umido. Fra poco qui non sarà più possibile vederci, né camminare. La luna alza tardi. Licenzia il popolo affinché vada a Tarichea o ai villaggi del Giordano a comprarsi cibo e cercare alloggio».
  «Non occorre che se ne vadano. Date loro da mangiare. Possono dormire qui come dormirono attendendomi».
  «Non ci sono rimasti che cinque pani e due pesci, Maestro, lo sai».
  «Portatemeli».
  «Andrea, va’ a cercare il bambino. È lui di guardia alla borsa. Poco fa era col figlio dello scriba e due altri, intento a farsi coroncine di fiori giocando ai re».

 2 Andrea va sollecito. E anche Giovanni e Filippo si danno a cercare Marziam fra la folla che sempre si sposta. Lo trovano quasi contemporaneamente, con la sua borsa dei viveri a tracolla, un grande tralcio di vitalba girato intorno alla testa e una cintura di vitalba dalla quale pende a far da spada un nocchio: l’elsa è il nocchio[77] vero e proprio, la lama il gambo a canna dello stesso. Con lui sono altri sette, ugualmente bardati, e fanno corteggio al figlio dello scriba, un esilissimo fanciullo dall’occhio molto serio di chi ha tanto sofferto, che più infiorato degli altri fa da re.
  «Vieni, Marziam. Il Maestro ti vuole!».
  Marziam lascia in asso gli amici e va lesto senza neppure levarsi le sue… insegne floreali. Ma lo seguono anche gli altri e presto Gesù è circondato da una coroncina di fanciulli inghirlandati di fiori. Egli li carezza, mentre Filippo leva dalla borsa un fagotto con del pane, nel centro del quale sono avvolti due grossi pesci: due chili di pesce, poco più. Insufficienti anche ai diciassette, anzi diciotto con Mannaen, della comitiva di Gesù.

 3 Portano questi cibi al Maestro.
  «Va bene. Ora portatemi dei cesti. Diciassette, quanti voi siete. Marziam darà il cibo ai bambini…». Gesù guarda fisso lo scriba, che gli è sempre stato vicino, e chiede: «Vuoi dare anche te il cibo agli affamati?».
  «Mi piacerebbe. Ma ne sono privo io pure».
  «Dài del mio. Te lo concedo».
  «Ma… intendi sfamare un cinquemila uomini, oltre le donne e i bambini, con quei due pesci e quei cinque pani?».
  «Senza dubbio. Non essere incredulo. Chi crede vedrà compiersi il miracolo».
  «Oh! allora voglio proprio distribuire il cibo anche io!».
  «Fàtti dare allora una cesta tu pure».
  Tornano gli apostoli con ceste e cestelli larghi e bassi, oppure fondi e stretti. E torna lo scriba con un paniere piuttosto piccolo. Si capisce che la sua fede o la sua incredulità gli hanno fatto scegliere quello come il massimo.
  «Va bene. Mettete tutto qui davanti. E fate sedere le turbe con ordine, a linee regolari per quanto si può».
  E, mentre ciò avviene, Gesù alza il pane con sopra i pesci, li offre, prega e benedice. Lo scriba non lo abbandona un istante con l’occhio. Poi Gesù spezza i cinque pani in diciotto parti e spezza i due pesci in diciotto parti, e mette il pezzo di pesce — un pezzettino ben meschino — in ogni cesta, e fa a bocconi i diciotto pezzi di pane: ogni pezzo in molti bocconi. Molti relativamente: una ventina, non di più. Ogni pezzo spezzettato, in un cesto, col pesce.
  «E ora prendete e date a sazietà. Andate. 

 4 Vai, Marziam, a darlo ai tuoi compagni».
  «Uh! come è peso!», dice Marziam alzando il suo cesto e andando subito dai suoi piccoli amici, camminando come chi porta un peso.
  Gli apostoli, i discepoli, Mannaen, lo scriba, lo guardano andare, incerti… Poi prendono i cesti e, scuotendo il capo, dicono l’un coll’altro: «Il bambino scherza! Non pesano più di prima». E lo scriba guarda anche dentro e vi mette la mano a frugare nel fondo, perché ormai non c’è più molta luce, lì nel folto dove Gesù è, mentre più là, nella radura, vi è ancora una buona luce.
  Ma però, nonostante la constatazione, vanno verso la gente e iniziano a distribuire. E dànno, dànno, dànno. E ogni tanto si volgono stupiti, sempre più lontani, verso Gesù che a braccia conserte, addossato ad un albero, sorride finemente del loro stupore.
  La distribuzione è lunga e abbondante… e l’unico che non mostra stupore è Marziam, che ride felice di empire di pane e pesce il grembo di tanti bambini poverelli. È anche il primo a tornare da Gesù dicendo: «Ho dato tanto, tanto, tanto!… perché io so cosa è la fame…», e alza il visetto non più macilento, che nel ricordo però impallidisce sbarrando gli occhi… Ma Gesù lo carezza e il sorriso torna luminoso su quel volto fanciullo che, fidente, si appoggia contro Gesù, suo Maestro e Protettore.
  Pian piano tornano gli apostoli e i discepoli, ammutoliti dallo stupore. Ultimo lo scriba che non dice nulla. Ma fa un atto che è più di un discorso. Si inginocchia e bacia l’orlo della veste di Gesù.
  «Prendete la vostra parte e datemene un poco. Mangiamo il cibo di Dio».
  Mangiano infatti pane e pesce, ognuno secondo il bisogno…

 5 Intanto la gente satolla si scambia le sue impressioni. Anche chi è intorno a Gesù osa parlare osservando Marziam che, finendo il suo pesce, scherza con altri fanciulli.
  «Maestro», chiede lo scriba, «perché il bambino ha sentito subito il peso e noi no? Io ho anche frugato dentro. Erano sempre quei pochi bocconi di pane e quell’unico di pesce. Ho cominciato a sentire il peso andando verso la folla. Ma, se avesse pesato per quanto ne ho dato, ci sarebbe voluto una coppia di muli a portarlo, non già il cesto ma un carro, pieno, stivato di cibo. In principio andavo parco… poi mi sono messo a dare, dare, e per non essere ingiusto sono ripassato dai primi dando di nuovo, perché ai primi avevo dato poco. Eppure è bastato».
  «Io pure ho sentito farsi pesante il cesto mentre mi avviavo, ed ho dato subito molto perché ho capito che avevi fatto miracolo», dice Giovanni.
  «Io invece mi sono fermato e mi sono seduto per rovesciare in grembo il peso e vedere… E ho visto pani e pani. Allora sono andato», dice Mannaen.
  «Io li ho anche contati, perché non volevo fare brutte figure. Erano cinquanta piccoli pani. Ho detto: “Li darò a cinquanta persone e poi tornerò indietro”. E ho contato. Ma arrivato a cinquanta il peso era uguale ancora. Ho guardato dentro. Erano ancora tanti. Sono andato avanti e ne ho dati a centinaia. Ma non diminuivano mai», dice Bartolomeo.
  «Io, lo confesso, non credevo e ho preso in mano i bocconi di pane e quel briciolo di pesce, e li guardavo dicendo: “E a chi servono? Gesù ha voluto scherzare!…” e li guardavo, li guardavo stando nascosto dietro un albero, sperando e disperando di vederli crescere. Ma rimanevano sempre gli stessi. Stavo per tornare indietro quando è passato Matteo dicendo: “Hai visto come sono belli?”. “Cosa?” ho detto. “Ma i pani e i pesci!…”. “Sei matto? Io vedo sempre pezzi di pane”. “Va’ a distribuirli con fede e vedrai”. Ho gettato dentro nel cestone quei pochi bocconi e sono andato a riluttanza… E poi… Perdonami, Gesù, perché sono un peccatore!», dice Tommaso.
  «No. Sei uno spirito del mondo. Ragioni da mondo».
  «Anche io, Signore, allora. Tanto che pensavo dare una moneta insieme al pane pensando: “Mangeranno altrove”», dice l’Iscariota. «Speravo aiutarti a fare una figura migliore. Che sono io, dunque? Come Tommaso o più ancora?».
  «Molto più di Tommaso tu sei “mondo”».
  «Ma pure ho pensato di fare elemosina per essere Cielo! Erano denari miei privati…».
  «Elemosina a te stesso, al tuo orgoglio. Ed elemosina a Dio.
  Quest’ultimo non ne ha bisogno, e l’elemosina al tuo orgoglio è colpa, non merito».
  Giuda china il capo e tace.
  «Io invece pensavo che quel boccone di pesce, che quei bocconi di pane li avrei dovuti sbriciolare per farli bastare. Ma non dubitavo che sarebbero stati sufficienti, né per numero né per nutrimento. Una goccia d’acqua data da Te può esser più nutriente di un banchetto», dice Simone Zelote.
  «E voi che pensavate?», chiede Pietro ai cugini di Gesù.
  «Noi ricordavamo Cana… e non dubitavamo», dice serio Giuda.
  «E tu, Giacomo, fratello mio, questo solo pensavi?».
  «No. Pensavo fosse un sacramento, come Tu hai detto[78] a me… È così o sbaglio?».
  Gesù sorride: «È e non è. Alla verità della potenza del nutrimento in una goccia d’acqua, detta da Simone, va unito il tuo pensiero per una figura lontana. Ma ancora non è un sacramento».

 6 Lo scriba conserva una crosta fra le dita.
  «Che ne fai?».
  «Un… ricordo».
  «La tengo anche io. La metterò al collo di Marziam in una piccola borsa», dice Pietro.
  «Io la porterò alla madre nostra», dice Giovanni.
  «E noi? Abbiamo mangiato tutto…», dicono mortificati gli altri.
  «Alzatevi. Girate di nuovo coi cesti, raccogliete gli avanzi, separate fra la gente i più poveri e portatemeli qui insieme ai cesti, e poi andate tutti, voi discepoli miei, alle barche, e prendete il largo andando alla pianura di Genezaret. Io congederò la gente dopo aver beneficato i più poveri e poi vi raggiungerò».
  Gli apostoli ubbidiscono… e tornano con dodici panieri colmi di avanzi e seguiti da una trentina di mendicanti o persone molto misere.
  «Va bene. Andate pure».
  Gli apostoli e quelli di Giovanni salutano Mannaen e se ne vanno con un poco di riluttanza a lasciare Gesù. Ma ubbidiscono. Mannaen attende a lasciare Gesù quando la folla, alle ultime luci del giorno, o si avvia ai villaggi o si cerca un posto per dormire fra gli alti e asciutti falaschi. Poi si accomiata. Prima di lui se ne è andato lo scriba, uno dei primi, anzi, perché, insieme al figlioletto, si è avviato in coda agli apostoli.

 7 Partiti tutti, oppure caduti nel sonno, Gesù si alza, benedice i dormenti e a passo lento si porta verso il lago, verso la penisoletta di Tarichea, sopraelevata di qualche metro sul lago come fosse un frastaglio di colle spinto nel lago. E, raggiunto che ne ha le basi, senza entrare in città, ma costeggiandola, sale il monticello e si mette su uno scrimolo, in preghiera davanti all’azzurro e al candore della notte serena e lunare.

 8 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del 4 marzo 1944: Gesù che cammina sulle acque».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

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