Vangelo Lc 12, 54-59:«E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? ».

Giovanna EspositoVangeloLeave a Comment

Vangelo Lc 12, 54-59
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva alle folle:
«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?
Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXVII. A Magdala, nei giardini di Maria. L’amore e la correzione tra fratelli.

   16 settembre 1945

 […]
 1 Gesù non è più dove era nell’ultima visione. Ma è in un vasto giardino che si prolunga fino al lago, oltre il quale, anzi in mezzo al quale, vi è la casa, preceduta e costeggiata da questo giardino che sul dietro, però, si prolunga almeno tre volte tanto quanto è lo spazio ai lati e sul davanti della casa. Vi sono fiori, ma più che altro alberi e boschetti e recessi verdi, quali chiusi intorno a vasche di marmo prezioso, quali come chioschi intorno a tavole e sedili di pietra. E dovevano esserci statue qua e là, sia lungo i sentieri come al centro delle vasche. Ma ora restano solo i piedestalli delle statue a mettere un ricordo di esse presso i lauri e i bossi od a specchiarsi nelle vasche colme di limpida acqua.
  La presenza di Gesù coi suoi e quella di gente di Magdala, fra i quali è il piccolo Beniamino che ha osato dire[83] all’Iscariota che egli era cattivo, mi fa pensare che siano i giardini della casa della Maddalena… riveduti e corretti, per il loro nuovo ufficio, con levare dagli stessi quelle cose che potevano disgustare e scandalizzare, e ricordare il passato.
  Il lago è tutto un crespo grigio azzurro, riflettendo il cielo su cui scorazzano nubi cariche delle prime piogge dell’autunno. Eppure è bello anche così, in questa luce ferma e pacata di un giorno che non è sereno e che ancora non è del tutto piovoso. Le sue rive non hanno più molti fiori, ma in compenso sono dipinte da quel sommo pittore che è l’autunno, e mostrano pennellate d’ocra o di porpora ed estenuato pallore di foglie morenti per gli alberi e i vigneti, che trascolorano prima di cedere alla terra le loro vesti vive. Vi è tutto un punto, nel giardino di una villa che è sul lago come questa, che rosseggia, quasi traboccasse nelle acque del sangue, per una siepe di rami flessibili che l’autunno ha fatta di un rame acceso da un fuoco, mentre i salici sparsi sulla riva, poco lontano, tremano nelle loro foglie glaucoargentee, sottili, ancor più pallide del solito prima di morire.

 2 Gesù non guarda ciò che io guardo. Guarda dei poveri malati ai quali impartisce guarigione. Guarda dei vecchi mendichi ai quali dà denaro. Guarda dei bambini che le madri gli offrono perché li benedica. E guarda pietosamente un gruppo di sorelle che gli raccontano della condotta dell’unico fratello, causa della morte per crepacuore della madre e della loro rovina, e lo pregano, queste povere donne, di consigliarle e di pregare per loro.
  «In verità che pregherò. Pregherò che Dio vi dia pace e che vostro fratello si converta e si sovvenga di voi, rendendovi ciò che è giusto e soprattutto tornando ad amarvi. Perché, se questo farà, tutto il resto farà. Ma voi lo amate, oppure è rancore in voi? Lo perdonate di cuore, oppure nel vostro pianto è sdegno? Perché anche egli è infelice. Più di voi. E, nonostante le sue ricchezze, è più povero di voi e bisogna averne pietà. Non possiede più l’amore ed è senza l’amore di Dio. Vedete quanto è infelice? Voi, vostra madre per prima, con la morte finirete in giubilo la vita triste che egli vi ha fatto fare. Ma lui no. Anzi, dal falso godere di ora passerebbe ad un tormento eterno e atroce. Venite presso a Me. Parlerò a tutti parlando a voi».
  E Gesù si avvia al centro di un prato sparso di cespugli di fiori, al centro del quale un tempo doveva esservi una statua.
  Ora resta il basamento, circondato da una bassa siepe di mirto e di rosette minute.

 3 Gesù si addossa a quella siepe e fa l’atto di parlare. Tutti tacciono e si affollano intorno a Lui.
  «La pace sia a voi. Udite.
  È detto[84]: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Ma nel prossimo chi c’è? Tutto il genere umano, preso in generale. Poi, più in ristretto, tutti i connazionali; poi, ancora più in ristretto, tutti i concittadini; poi, sempre più stringendosi, tutti i parenti; infine, ultimo cerchio di questa corona d’amore stretta come petali di una rosa intorno al cuore del fiore, l’amore ai fratelli di sangue: il primo dei prossimi. Il centro del cuore del fiore d’amore è Dio, l’amore per Lui è il primo da aversi. Intorno al suo centro ecco l’amore ai genitori, secondo ad aversi perché realmente il padre e la madre sono i piccoli “Dio” della Terra, creandoci e cooperando con Dio per crearci, oltreché curandoci con amore instancabile. Intorno a questo ovario, che fiammeggia di pistilli e esala i profumi degli amori più eletti, ecco che si stringono i giri dei diversi amori. Il primo è quello ai fratelli nati dallo stesso seno e dallo stesso sangue dal quale noi nascemmo.
  Ma come va amato il fratello? Solamente perché la sua carne e il suo sangue sono uguali alla nostra? Ciò sanno fare anche gli uccellini raccolti in un nido. Essi, infatti, non hanno che questo di comune: di essere nati da un’unica covata e di avere in comune sulla lingua il sapore della saliva materna e paterna. Noi uomini siamo da più di uccelli. Abbiamo più di una carne e un sangue. Abbiamo il Padre, oltre un padre e una madre. Abbiamo l’anima e abbiamo Dio, Padre di tutti. E allora ecco che bisogna saper amare il fratello, come fratello per il padre e la madre che ci hanno generato, e come fratello per Dio che è Padre universale.
  Amarlo perciò spiritualmente oltre che carnalmente. Amarlo non solo per la carne e il sangue, ma per lo spirito che abbiamo in comune. Amare, come va dovuto, più lo spirito della carne del fratello nostro. Perché lo spirito è più della carne. Perché il Padre Dio è più del padre uomo. Perché il valore dello spirito è più del valore della carne. Perché nostro fratello sarebbe molto più infelice se perdesse il Padre Dio che perdendo il padre uomo. L’orfanezza del padre uomo è straziante, ma non è che una mezza orfanezza. Lede solo ciò che è terreno, il nostro bisogno di aiuto e carezze. Ma lo spirito, se sa credere, non è leso dalla morte del padre. Anzi, per seguirlo là dove il giusto si trova, lo spirito del figlio sale come attratto da forza d’amore. E in verità vi dico che ciò è amore, amore di Dio e del padre, asceso col suo spirito a luogo sapiente. Sale a questi luoghi dove più vicino è Dio e agisce con maggior dirittura, perché non manca del vero aiuto, che sono le preghiere del padre che ora sa amare compiutamente, e del freno che è dato dalla certezza che il padre ora vede meglio che in vita le opere del figlio e dal desiderio di potersi riunire a lui mediante una vita santa.
  Per questo bisogna preoccuparsi più dello spirito che del corpo del proprio fratello. Sarebbe un ben povero amore quello che si rivolgesse solo a ciò che perisce, trascurando quello che non perisce e che, trascurato che sia, può perdere la gioia eterna. Troppi sono coloro che si affaticano di inutili cose, si affannano per ciò che ha un merito relativo, perdendo di vista ciò che è veramente necessario. Le buone sorelle, i buoni fratelli non devono solo preoccuparsi di tenere ordinate le vesti, pronti i cibi, oppure aiutare col lavoro i loro fratelli. Ma devono curvarsi sui loro spiriti e sentirne le voci, percepirne i difetti, e con amorosa pazienza affaticarsi a dar loro uno spirito sano e santo se in quelle voci e in quei difetti vedono un pericolo per il loro vivere eterno. E devono, se egli verso di loro ha peccato, darsi da fare per perdonare e per farlo perdonare da Dio mediante il suo ritorno all’amore, senza il quale Dio non perdona.

 4 È detto nel Levitico: “Non odiare tuo fratello nel tuo cuore, ma riprendilo pubblicamente, per non caricarti di peccati per causa di lui”. Ma dal non odiare all’amare è ancora un abisso. Può parervi che l’antipatia, il distacco e l’indifferenza non siano peccato, perché odio non sono. No. Io vengo a dare luci nuove all’amore, e necessariamente all’odio, perché ciò che fa lucido in ogni particolare il primo sa fare lucido in ogni particolare il secondo. La stessa elevazione ad alte sfere del primo porta di conseguenza un maggior distacco dal secondo, perché, più il primo si alza, pare che il secondo sprofondi in un basso sempre più basso.
  La mia dottrina è perfezione. È finezza di sentimento e di giudizio. È verità senza metafore e perifrasi. Ed Io vi dico che antipatia, distacco e indifferenza sono già odio. Semplicemente perché non sono amore. Il contrario dell’amore è l’odio. Potete dare altro nome all’antipatia? All’allontanarsi da un essere? All’indifferenza? Chi ama ha simpatia verso l’amato. Dunque, se lo ha antipatico, non lo ama più. Chi ama, anche se la vita lo allontana materialmente dall’amato, continua ad essergli vicino con lo spirito. Perciò, se uno da un altro si distacca con lo spirito, non lo ama più. Chi ama non ha mai indifferenza per l’amato ma, anzi, tutto di lui lo interessa. Perciò, se uno ha indifferenza per uno, è segno che non l’ama più. Voi vedete dunque che queste tre cose sono ramificazioni di un’unica pianta: quella dell’odio.

 5 Or che avviene non appena uno che amiamo ci offende? Nel novanta per cento, se non viene odio, viene antipatia, distacco o indifferenza. No. Così non fate. Non gelatevi il cuore con queste tre forme dell’odio. Amate. Ma voi vi chiedete: “Come possiamo?”. Vi rispondo: “Come può Dio, che ama anche chi l’offende. Un amore doloroso, ma sempre buono”. Voi dite: “E come facciamo?”. Io do la nuova legge sui rapporti col fratello colpevole e dico: “Se tuo fratello ti offende, non avvilirlo pubblicamente col riprenderlo pubblicamente, ma spingi il tuo amore a coprire la colpa del fratello agli occhi del mondo”. Perché ne avrai gran merito agli occhi di Dio, precludendo per amore ogni soddisfazione al tuo orgoglio.
  Oh! come piace all’uomo far sapere che fu offeso e che ne ebbe dolore! Va come un mendico folle, non a chiedere obolo d’oro dal re, ma va da altri stolti e pezzenti come lui a chiedere manciate di cenere e letame e sorsi di tossico bruciante. Il mondo questo dà all’offeso che va rammaricandosi e mendicando conforti. Dio, il Re, dà oro puro a chi, offeso, ma senza rancore, va a piangere solo ai suoi piedi il suo dolore e a chiedere a Lui, all’Amore e Sapienza, conforto d’amore e insegnamento per la contingenza penosa. Perciò, se volete conforto, andate da Dio e agite con amore.
  Io vi dico, correggendo la legge antica: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’, correggilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato di nuovo tuo fratello. E insieme hai guadagnato tante benedizioni da Dio. E se tuo fratello non ti ascolta, ma ti respinge cocciuto nella colpa, tu, acciò non si dica che sei consenziente ad essa o indifferente al bene dello spirito fraterno, prendi con te due o tre testimoni seri, buoni, fidati, e con essi torna dal fratello e benignamente ripeti alla loro presenza le tue osservazioni, affinché i testimoni possano di loro bocca dire che tu hai fatto tutto quanto potevi per correggere con santità tuo fratello. Perché questo è il dovere di un buon fratello, dato che il peccato verso di te, fatto da lui, è lesione alla sua anima, e della sua anima tu ti devi preoccupare. Se anche questo non serve, fallo sapere alla sinagoga, acciò essa lo richiami all’ordine in nome di Dio. Se non si corregge neppure con questo, e respinge la sinagoga o il Tempio come ha respinto te, tienlo in conto di pubblicano e di gentile”.

 6 Questo fate coi fratelli di sangue e con quelli di amore. Perché anche col prossimo vostro più lontano dovete agire con santità, senza avidità, senza inesorabilità, senza odio. E quando sono cause per cui è necessario andare dai giudici e tu ci vai col tuo avversario, Io ti dico, o uomo che sovente ti trovi in mali maggiori per tua colpa, di fare di tutto, mentre sei per la strada, per riconciliarti con lui, sia che tu abbia torto come che tu abbia ragione. Perché giustizia umana è sempre imperfetta, e generalmente l’astuto la vince sulla giustizia e potrebbe il colpevole passare per innocente e tu, innocente, passare per colpevole. E allora ti avverrebbe non solo di non avere riconosciuto il tuo diritto, ma di perdere anche la causa, e da innocente passare al ruolo di colpevole di diffamazione, e perciò il giudice ti passerebbe all’esecutore di giustizia, il quale non ti lascerebbe andare sino a che tu abbia pagato l’ultimo spicciolo.
  Sii conciliante. Il tuo orgoglio ne soffre? Molto bene. La tua borsa si smunge? Meglio ancora. Basta che cresca la tua santità. Non abbiate nostalgia per l’oro. Non siate avidi di lode. Fate che sia Dio colui che vi loda. Fate di farvi una gran borsa in Cielo. E pregate per coloro che vi offendono. Perché si ravvedano. Se ciò avviene, essi stessi vi renderanno onori e beni. Se non lo fanno, ci penserà Iddio.
  Andate, ora, ché è l’ora del pasto. Restino solo i mendichi a sedersi alla mensa apostolica. La pace sia con voi». 

   Cap. CCCXLII. A Cédès. Il segno chiesto dai farisei e la profezia di Abacuc.

   26 Novembre 1945

 1 La città di Cedes è su di un ponticello, un poco isolato da una lunga catena che da nord a sud è al suo oriente, mentre ad occidente una catena collinosa, quasi parallela, procede ugualmente da nord a sud. Due linee parallele che però restringono formando quasi un abbozzo di X. Al punto più stretto, e più appoggiato alla catena orientale che a quella occidentale, è il monte che ha sulle sue pendici Cedes, che si estende dalla cima alle coste piuttosto pianeggianti e che domina la vallata fresca e verde, molto stretta all’est, più ampia ad ovest.
   È una bella città cintata e con belle case e una imponente sinagoga, come imponente è la fontana dalle molte bocche che lasciano cadere acqua fresca ed abbondante in un sotosto bacino, dal quale partono rivi destinati ad alimentare altre fonti, forse, o giardini. Non so.

   Gesù vi penetra in un giorno di mercato. La sua mano non è più fasciata, ma ha ancora una crosta bruna e un ampio lividore sul dorso. Anche Giacomo di Alfeo ha una crosticina rosso bruna alla tempia e un ampio livido tutt’intorno. Andrea e Giacomo di Zebedeo, meno colpiti, non mostrano più segni della passata avventura e camminano spediti guardandosi intorno, e specie ai lati e alle spalle, perché si sono scaglionati vicino, davanti e dietro Gesù. Ho l’impressione che si siano fermati nel luogo descritto ieri o nelle sue vicinanze per due o tre giorni, forse per riposare oppure per distanziare i rabbi, nella tema che si fossero diretti nelle città principali per la speranza di coglierli in fallo e nuocere loro ancora. Almeno così fanno pensare i loro discorsi.
   «Ma questa è città di rifugio! », dice Andrea.
   «Proprio loro a rispettare il rifugio e la santità di un luogo! Come sei ingenuo fratello! », gli risponde Pietro.
   Gesù è tra i due Giuda. Davanti a Lui sono Giacomo e Giovanni all’avanguardia,  e poi l’altro Giacomo con Filippo e Matteo. Dietro di Lui Pietro, Andrea e Tommaso. Ultimi Simone Zelote e Bartolomeo.

 2 Tutto va bene fino all’entrata in una bella piazza, quella della vasca e della sinagoga, sulla quale sono fitte le persone che trattano di affari. Il mercato invece è più in basso e a sud ovest della città, là dove sfocia la via maestra che viene da sud e l’altra, quella fatta da Gesù, che viene da ovest, le quali strade, confluendo ad angolo retto, si fondono nell’unica che penetra sotto la porta fino a mutarsi in una vasta piazza bislunga ove sono asini e stuoie, venditori, compratori e il solito baccano…
   Ma giunti invece a questa piazza più bella – il cuore della città, credo, non tanto perché sia equidistante dal perimetro delle mura, quanto perché la vita spirituale e commerciale di Cedes pulsa qui, e pare lo dica anche la sua posizione sopraelevata dal più del paese, dominatrice, atta ad essere difesa come una cittadella – cominciano i guai. Come tanti ringhiosi cani in attesa di dare addosso a un inerme cucciolo, o meglio come tanti segugi alla posta della selvaggina di cui hanno sentito l’odore nel vento, un gruppo numeroso di farisei e sadducei, con mescolato, a drogarlo un pizzico dei rabbini visti a Giocala, fra i quali quello detto Uziel, è addossato al portale ampio e bello di sculture e fregi della ricca sinagoga. E subito si accennano l’un l’altro Gesù e gli apostoli.
   «Ohimè, Signore! Sono anche qui!», dice sgomento Giovanni volgendosi indietro a parlare con Gesù.
   «Non temere. Và avanti sicuro. Però quelli che non si sentono di affrontare quei disgraziati si ritirino andando all’albergo. Voglio assolutamente parlare qui, antica città levitica e di rifugio».
   Protestano tutti: « Maestro, e puoi pensare che ti lasci solo?! Ci uccidano tutti, se vogliono. Ma noi condivideremo la tua sorte».

 3 Gesù passa davanti al gruppo nemico e va a collocarsi contro il muro di un giardino dal quale piovono i petali candidi di un pero in fiore. Il muro scuro e la nuvola candida sono contorno e corona al Cristo, che ha davanti i suoi dodici.
   Gesù inizia a parlare, e la sua bella voce intonata, che dice: «O voi qui raccolti, venite ad ascoltare la Buona Novella, perché più utile dei commerci e delle monete è la conquista del Regno dei Cieli», empie la piazza e fa volgere chi è in essa.
   «Oh! ma quello è il Rabbi Galileo!», dice uno.
   «Venite andiamo ad ascoltarlo. Forse farà miracolo».
   E un altro: «Io a Betginna ne ho visto fare uno da Lui. E come parla bene! Non come quegli sparvieri rapaci e quelle serpi astute».
   Gesù è presto circondato di folla. E prosegue a parlare a questa folla attenta.
   «Dal cuore di questa città levitica Io non voglio ricordare la legge. So che è presente a i vostri cuori come in poche città di Israele, e lo dimostra anche l’ordine che ho osservato in essa, l’onestà di cui mi hanno dato prova i mercanti dai quali ho acquistato il cibo per Me e il mio piccolo gregge, e questa sinagoga, ornata come si conviene al luogo dove si onora Iddio. Ma in voi è un luogo dove pure si onora Iddio, un luogo in cui sono le aspirazioni più sante e dove risuonano le parole più dolcemente speranzose della nostra fede e le preghiere più ardenti perché la speranza si muti in realtà. L’anima. Ecco il luogo santo e singolo, dove si parla di Dio e con Dio in attesa che la Promessa si compia.
   Ma la Promessa è compiuta. Israele ha il suo Messia, il quale vi porta la parola e la certezza che il tempo della Grazia è venuto, che la Redenzione è vicina, che il Salvatore è fra voi, che il Regno senza sconfitte ha inizio.

 4 Quante volte voi avete udito leggere Abacuc! E i più meditativi fra di voi avranno mormorato: “Io pure posso dire: ‘Fino a quando, o Signore, io dovrò gridare senza avere da Te ascolto?’”. Secoli sono che Israele geme così. Ma ora il Salvatore è venuto, la grande rapina, il perpetuo affanno, il disordine e l’ingiustizia causati da satana stanno per cadere, perché il Mandato da Dio sta per reintegrare l’uomo nella sua dignità di Dio e di coerede del Regno di Dio. Guardiamo la profezia di Abacuc con occhi novelli, e sentiremo che essa testimonia di Me e parla già il linguaggio della Buona Novella che Io porto ai figli di Israele.
   Ma qui sono Io che devo gemere: “E’ fatto il giudizio, ma l’opposizione trionfa”. E lo gemo con tanto dolore. Non tanto per Me che sono al disopra del giudizio umano, quanto per coloro che per essere oppositori si condannano, e per quelli che da questi oppositori sono traviati. Vi fa stupore quanto Io dico? Fra voi sono mercanti di altri luoghi d’Israele. Essi vi possono dire che Io non mento. Non mento conducendo vita contraria a ciò che insegno, non facendo ciò che si spera dal Salvatore, e non mento dicendo che l’opposizione umana si erige contro al giudizio di Dio che mi ha mandato e contro il giudizio delle turbe umili e sincere che mi hanno sentito e giudicato per quello che Io sono».
   Alcuni fra la folla mormorano: «E’ vero! E’ vero! Noi del popolo lo vogliamo e lo sentiamo santo. Ma essi (e indicano i farisei e compagni) lo osteggiano».
   Gesù continua: « Per fare questa opposizione è lacerata la Legge, e sempre più lo sarà, fino ad essere abolita pur di commettere la suprema ingiustizia, che però non durerà a lungo. E beati quelli che nella breve e paurosa sosta, in cui sembrerà che l’opposizione abbia trionfato su Me, sapranno continuare a credere nel Gesù di Nazaret, nel figlio di Dio, nel figlio dell’uomo, predetto dai Profeti. Io potrei compiere il giudizio di Dio fino in fondo, salvando tutti i figli d’Israele. Ma non lo potrò, perché l’empio trionferà contro se stesso, contro il suo se stesso migliore, e come conculca i miei diritti e conculca i miei credenti, così conculcherà i diritti del suo spirito, che ha bisogno di Me per essere salvato e che viene donato a satana pur di negarlo a Me ».

 5 I farisei rumoreggiano. Ma un imponente vegliardo si è da qualche momento avvicinato al luogo dove è Gesù, ed ora, in una pausa del discorso, dice: «Te ne prego. Entra nella sinagoga e ammaestra da quel luogo. Nessuno più di Te ne ha il diritto. Sono Mattia, il sinagogo. Vieni e la parola di Dio sia nella mia casa come è sulla tua bocca».
   «Grazie, giusto di Israele. La pace sia sempre con te». E Gesù, attraverso alla folla che si divide come un’onda per lasciarlo passare, e poi si richiude in scia e lo segue, riattraversa la piazza ed entra nella sinagoga, passando di nuovo davanti ai ringhiosi farisei. I quali, però, entrano essi pure nella sinagoga, cercando di farsi largo con prepotenza. Ma la gente li guarda male dicendo: «Di dove venite? Andate nelle vostre sinagoghe ad attendere il rabbi. Qui è casa nostra e ci stiamo noi». E rabbini, sadducei e farisei devono sopportare e stare umilmente presso l’uscio per non essere scacciati dagli abitanti di Cedes. 
   Gesù è al suo posto, presso il sinagogo e gli altri della sinagoga, non so se figli o coadiutori. Riprende a parlare: «Abacuc dice – e come vi invita con amore ad osservare! – “Gettate gli occhi sopra le nazioni e osservate, restate meravigliati, stupefatti, perché ai vostri giorni è avvenuta una cosa che nessuno crederà quando gli sarà raccontata”. Anche ora abbiamo nemici materiali sopra Israele. Ma lasciate cadere il piccolo particolare della profezia e guardiamo solo il grande vaticinio tutto spirituale di essa. Perché le profezie, anche se sembra che abbiano un riferimento materiale, sono sempre di contenuto spirituale. La cosa dunque che è avvenuta – ed è tale che nessuno potrà accettarla se non convinto dell’infinita bontà del vero Iddio – è che Egli abbia mandato il suo verbo per salvare e redimere il mondo. Dio che si separa da Dio per salvare la creatura colpevole. Eppure Io sono mandato a ciò. E nessuna delle forze del mondo potrà trattenere il mio émpito di trionfatore su re e tiranni, su peccati, su stoltezze. Io vincerò perché Io sono il Trionfatore».

 6 Una risata di scherno e un urlo parte dal fondo della sinagoga.
   La gente protesta; il sinagoga, che sta persino ad occhi chiusi, tanto è concentrato ad ascoltare Gesù, si alza in piedi e impone silenzio, minacciando l’espulsione dei disturbatori.
   «Lasciali fare. Anzi, invitali a esporre le loro contraddittorie», dice Gesù ad alta voce.
   «Oh! bene! Questo è bene! Lasciaci venire vicino a Te. Ti vogliamo interrogare», urlano ironici i contraddittori.
   «Venite. Lasciateli passare, o voi di Cedes».
E la folla, con sguardi ostili e boccacce – né manca qualche epiteto – li lascia venire avanti.
   «Che volete sapere?», chiede severo Gesù.
   «Tu dunque dici che sei il Messia? Ne sei proprio certo?».
   Gesù, con le braccia incrociate sul petto, guarda chi ha parlato con un tale impero che a costui cade di colpo l’ironia e si azzittisce.
Ma un altro riprende la parola e dice: «Non puoi pretendere che ti si creda sulla parola tua. Chiunque può mentire anche in buona fede. Ma per credere ci vogliono prove. Dàcci dunque delle prove che Tu sei ciò che dici di essere».
   «Israele è pieno delle mie prove», dice reciso Gesù.
   «Oh! quelle!… Piccole cose che qualunque santo può fare. Sono state già fatte e saranno fatte ancora dai giusti di Israele», dice un fariseo.
   Un altro aggiunge: «Né è detto che Tu le faccia per santità e per aiuto di Dio! Si dice, e in verità è molto credibile, che Tu sia aiutato da satana. Vogliamo altre prove. Superiori. Quali satana non le può dare».
   «Ma sì! Una morte vinta…», dice un altro.
   «L’avete avuta».
   «Erano parvenze di morte. Mostraci uno disfatto che si rianimi e si ricomponga, ad esempio. Per avere sicurezza che Dio è con Te. Dio, l’unico che possa ridare alito al fango che già torna polvere».
   «Non fu mai chiesto questo ai Profeti per credere in essi».
   Un sadduceo grida: «Tu sei più di un Profeta. Tu, almeno Tu lo dici, sei il figlio di Dio!… Ah! Ah! Perché allora non agisci da Dio? Su, dunque! Dacci un segno! Un segno!».
   «Ma sì! Un segno dal cielo che ti indichi Figlio di Dio, e allora noi ti adoreremo», urla un fariseo.
   «Certo! Dici bene Simone! Non vogliamo ricadere nel peccato di Aronne. Non adoriamo l’idolo, il vitello d’oro. Ma potremmo adorare l’Agnello di Dio! Non sei Tu? Purchè il cielo ci indichi che lo sei», dice quello che ha nome Uziel e che era a Giocala, e ride sarcastico.
   Prende a vociare un altro: «Lascia parlare me che sono Sadoc, lo scriba d’oro. Odimi, o Cristo. Tu sei stato preceduto da troppi che Cristi non erano. Basta di frodi. Un segno che tu sei tale. E Dio, se è con Te, non te lo può negare. E noi crederemo in Te e ti aiuteremo. Altrimenti, sai ciò che ti aspetta, secondo il comandamento di Dio».
   Gesù alza la destra ferita e la mostra bene al suo interlocutore.
   «Vedi questo segno? Tu lo hai fatto. Hai messo l’indice ad un altro segno. E quando vedrai che esso sarà inciso sulla carne dell’Agnello, tu giubilerai. Guardalo! Lo vedi? Lo vedrai anche in cielo, quando apparirai a rendere conto del tuo modo di vivere. Perché Io ti giudicherò e sarò col mio Corpo glorificato lassù, con i segni del mio ministero e del vostro, del mio amore e del vostro odio. E lo vedrai tu pure, Uziel, e tu, Simone, e lo vedrà Caifa e Anna, e molti altri, all’ultimo giorno, giorno d’ira, giorno tremendo, e per questo preferirete esser nel profondo, perché il mio segno sulla mano ferita vi dardeggerà più dei fuochi d’inferno».
   «Oh! queste sono parole ebestemmie! Tu in Cielo col corpo?! Bestemmiatore! Tu giudice in luogo di Dio?! Anatema su Te! Tu insultatore del Pontefice! Meriteresti di essere lapidato», urlano in coro farisei, sadducei e dottori.

 7 Il sinagogo si alza di nuovo, patriarcale, splendido nella sua canizie come Mosè, e grida: «Cedes è città di rifugio e città levitica. Rispettate…».
   «Vecchie storie! Non contano più».
   «Oh! lingue blasfeme! Voi siete peccatori non Lui, ed io lo difendo. Egli non dice nulla di male. Egli spiega i profeti e ci porta la Promessa Buona e voi lo interrompete, voi lo tentate, voi lo offendete. Non lo permetto. Egli è sotto la protezione del vecchio Mattia, della stirpe di Levi per padre e di Aronne per madre. Uscite e lasciate che ammaestri la mia vecchiezza e la virilità dei figli miei». E tiene la mano rugosa di vecchio sull’avambraccio di Gesù, come a difesa.
   «Ci dia un segno vero. E noi ce ne andremo convinti», urlano i nemici.
   «Non ti inquietare, Mattia. Parlo Io», dice Gesù calmando il sinagogo. E rivolto ai farisei, sadducei e dottori, dice: «Quando viene la sera voi scrutate il cielo e se esso rosseggia al tramonto voi, per vecchio detto, sentenziate: “Domani il tempo sarà bello perché il tramonto rosseggia il cielo”. Ugualmente all’alba, quando nell’aria pesante per nebbie e vapori il sole non si annuncia d’oro, ma pare che spanda sangue sul firmamento, voi dite: “Non passerà il giorno che sarà tempesta”. Voi dunque sapete leggere il futuro del giorno dai segni instabili del cielo e da quelli ancora più volubili dei venti. E non arrivate a distinguere i segni dei tempi? Ciò non onora la vostra mente e la vostra scienza, e disonora completamente il vostro spirito e la vostra presunta sapienza. Voi siete di una generazione malvagia e adultera, nata in Israele dal connubio di chi ha fornicato col male. Voi ne siete gli eredi e aumentate la vostra malvagità e il vostro adulterio ripetendo il peccato dei padri di questo errore. Ebbene, sappilo Mattia, seppiatelo voi di Cedes e chiunque è presente come fedele e come nemico. Questa è la profezia che Io dico, di mio, al posto di quella che volevo spiegare di Abacuc: a questa generazione malvagia e adultera che chiede un segno, non le sarà dato che quello di Giona…. Andiamo. La pace sia con i buoni di volontà». E da una porta laterale, che si apre su una strada silenziosa fra orti e case, si allontana insieme agli apostoli.

 8 Ma quelli di Cedes non si danno per vinti. Alcuni lo seguono e, vistolo entrare in un piccolo albergo nei sobborghi orientali del paese, ne portano notizia al sinagogo e ai concittadini. E Gesù sta ancora mangiando quando il cortile assolato dell’albergo diviene stipato di gente, e il vecchio sinagogo con altri anziani di Cedes si fa sull’uscio della stanza dove è Gesù e si inchina implorando: «Maestro, in noi è rimasto il desiderio della tua parola. Tanto bella era, spiegata da Te, la profezia di Abacuc! Perché c’è chi ti odia, dovranno rimanere senza conoscerti coloro che ti amano e credono nella Tua verità?».
   «No, padre. Non sarebbe giustizia punire i buoni per causa dei malvagi. Udite allora…», (e Gesù lascia di mangiare per farsi sulla porta e parlare a chi si affolla nel quieto cortile).
   «Nelle parole del vostro sinagogo è un eco di quelle di Abacuc. Egli, per se e per voi tutti, confessa e professa che Io sono la Verità. Abacuc confessa e professa: “Dal principio Tu sei, e sei con noi e non morremo”. E così sarà. Non perirà chi crede in Me. Mi dipinge il Profeta come Colui che Dio ha stabilito per giudicare, come Colui che Dio ha reso forte per castigare, come Colui i cui occhi sono troppo puri per vedere il male e che avrà l’insopportabilità della iniquità. Ma se è vero che il peccato mi fa ripugnanza, pure vedete che Io apro le braccia, perché sono il Salvatore, a coloro che sono pentiti del loro peccare. Per questo volgo lo sguardo anche sopra il colpevole e invito colui che è empio a pentirsi…

 9 O voi di Cedes, città levitica, città santificata dal bando della carità per chi è colpevole di un delitto – e ogni uomo ha delitti verso Dio, verso la sua anima, verso il suo prossimo – venite allora a Me, Rifugio dei Peccatori. Qui, nel mio amore, neppure l’anatema di Dio potrebbe colpirvi, perchè il mio sguardo supplice per voi muta l’anatema di Dio in benedizione di perdono. Udite, udite! Scrivete nei vostri cuori questa promessa come Abacuc scrisse la sua profezia certa sul rotolo. Là è detto: “Se tarda, aspettatelo, perché chi deve venire verrà senza tardare”. Ecco: Colui che doveva venire è venuto. Io sono.
   “Chi è incredulo non ha in se un’anima giusta”, dice il Profeta, e nella sua parola è la condanna di quelli che mi hanno tentato e insultato. Non Io li condanno. Ma il Profeta che mi ha antevisto e che in Me ha creduto. Egli, come dipinge Me, il Trionfatore, così dipinge l’uomo superbo, dicendo che è senza onore avendo aperto la sua anima alla cupidigia e all’insaziabilità come è cupido e insaziabile l’inferno. E minaccia: “Guai a colui che accumula roba non sua e si mette addosso denso fango”. Le male azioni contro il Figlio dell’uomo sono questo fango, e volere spogliare Lui della sua santità, acciò non offuschi la propria, è cupidigia. “Guai”, dice il Profeta, “a chi raduna nella sua casa i frutti della sua perversa avarizia per mettere in alto il suo nido, credendo di salvarsi dagli artigli del male”.
   Ciò è disonorarsi e uccidere la propria anima. “Guai a colui che edifica una città sul sangue e allestisce castelli sull’ingiustizia”. In verità troppo Israele cementa le sue cupide fortezze sulle lacrime e sul sangue, e aspetta l’ultimo per fare il più duro impasto. Ma che può una fortezza contro gli strali di Dio? Che, un pugno di uomini contro la giustizia di tutto il mondo che griderà di orrore per il delitto senza pari? Oh! come ben dice Abacuc! “A che giova la statua?”. E statua idolatria è ormai la mendace santità di Israele. Solo il Signore è nel suo Tempio santo, e solo a Lui si inchinerà la Terra e tremerà di adorazione e di spavento, mentre il segno promesso verrà dato una e una volta, e il Tempio vero nel quel Dio riposa salirà glorioso a dire nei Cieli: “ E’ compiuto!”, così come lo avrà singhiozzato alla Terra per mondarla col suo annuncio. 
   “Fiat!” disse l’Altissimo. E il mondo fu. “Fiat” dirà il Redentore, e il mondo sarà redento. Io darò al mondo di che essere redento. E redenti saranno quelli che avranno volontà di esserlo.

10 Ora sorgete. Diciamo la preghiera del Profeta, ma come è giusto dirla in questo tempo di grazia: “Ho sentito, o Signore, il tuo annuncio e ne ho giubilato”. Non è più tempo di spavento, o credenti nel Messia.
   “Signore, la tua opera è nel mezzo degli anni, falla vivere nonostante le insidie dei nemici. Nel mezzo degli anni la farai manifesta”. Sì. Quando l’età sarà perfetta, l’opera verrà compiuta.
   “E nello sdegno splenderà la misericordia”, perché sdegno sarà solo per coloro che avranno gettato reti e lacci e lanciato frecce all’Agnello Salvatore.
   “Iddio verrà dalla Luce al mondo”. Io sono la Luce venuta a portarvi Dio. Il mio splendore inonderà la Terra sgorgando a fiumi “là dove le corna pontute” avranno squarciato le carni della vittima, ultima vittoria “della Morte e di satana, che fuggiranno vinti davanti al Vivente e al Santo”.
   Gloria al Signore! Gloria a Colui che ha fatto! Gloria al Datore del sole e degli astri! All’Artefice dei monti. Al Creatore dei mari. Gloria, infinita gloria al Buono che lolle il Cristo a salvezza del suo popolo, a redenzione dell’uomo. Unitevi, cantate con Me, perché la misericordia è venuta al mondo ed è prossimo il tempo della Pace. Colui che vi tende le mani vi esorta a credere e a vivere nel Signore, perché il tempo è vicino in cui Israele sarà giudicato con verità.
   La pace sia a voi qui presenti, alle vostre famiglie, alle vostre case».
   Gesù traccia un ampio gesto di benedizione e fa per ritirarsi. 
Ma il sinagogo prega: «Resta ancora».
   «Non posso, padre».
   «Almeno mandaci i tuoi discepoli».
   «Li avrete senza fallo. Addio. Và in pace».

11 Restano soli…
   «Ma io vorrei sapere chi ce li ha mandati fra i piedi. Sembrano negromanti…», dice Pietro.
   L’Iscariota si fa avanti, pallido. Si inginocchia ai piedi di Gesù.
   «Maestro, io sono il colpevole. Ho parlato in quel paese… con uno di loro del quale ero ospite…».
   «Come? Altro che penitenza! Tu sei…».
   «Silenzio, Simone di Giona! Tuo fratello sinceramente si accusa. Onoralo per questa sua umiliazione. Non ti crucciare, Giuda. Io ti perdono. Tu lo sai che Io perdono. Sii più prudente un’altra volta… Ed ora andiamo. Cammineremo finchè la luna dura. Dobbiamo passare il fiume avanti l’alba. Andiamo. Qui dietro ha inizio il bosco. Perderanno le tracce di noi sia i buoni che i malvagi. Domani saremo sulla via di Paneade». 

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

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