Vangelo Novus Ordo Mc 2, 23-28
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».
E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo
Cap. CCXVII. Le spighe colte nel giorno di sabato.
13 luglio 1945.
1 Ancora lo stesso luogo, ma il sole è meno implacabile perché si avvia al tramonto.
«Occorre andare per raggiungere quella casa» dice Gesù.
E vanno. La raggiungono. Chiedono pane e ristoro. Ma il fattore li respinge duramente.
«Razza di filistei! Vipere! Sempre quelli! Sono nati da quel ceppo e dànno i frutti di veleno» brontolano i discepoli affamati e stanchi.
«Vi sia reso ciò che date».
«Ma perché mancate di carità? Non è più il tempo del tagione. Venite avanti. Ancora non è notte, e morenti di fame non siete. Un poco di sacrificio perché queste anime giungano ad avere fame di Me» esorta Gesù.
Ma i discepoli, e credo più per dispetto che per insopportabile fame, entrano nel bel mezzo di un campo e si dànno a cogliere spighe, le sgranano sulle palme e si mettono a mangiarle.
«Sono buone, Maestro» urla Pietro.
«Non ne prendi? E poi hanno un doppio sapore… Ne vorrei mangiare tutto il campo».
«Hai ragione! Così si pentirebbero di non averci dato un pane» dicono gli altri, e vanno camminando fra le spighe e mangiando di gusto.
Gesù cammina solo sulla strada polverosa. A un cinque o sei metri indietro sono lo Zelote con Bartolomeo, ma parlano fra di loro.
2 Un altro quadrivio, per una via secondaria che traversa la via maestra, e fermi a quel punto un gruppo di arcigni farisei, certo di ritorno dalle funzioni del sabato, alle quali hanno assistito nel paesotto che si vede in fondo a questa via secondaria, largo, piatto, come fosse un bestione acquattato nella sua tana.
Gesù li vede, li guarda mite e sorridente, e saluta: «La pace sia con voi».
In luogo della risposta al saluto, uno dei farisei chiede arrogantemente: «Chi sei?».
«Gesù di Nazaret».
«Vedete che è Lui?» dice uno agli altri.
Intanto Natanaele e Simone si accostano al Maestro mentre gli altri, camminando fra i solchi, vengono verso la via. Masticano ancora e hanno nel cavo delle mani chicchi di grano.
Il fariseo che ha parlato per primo, forse il più potente, torna a parlare con Gesù che si è fermato in attesa di sentire il resto: «Ah! Tu dunque sei il famoso Gesù di Nazaret? Come mai fin qui?».
«Perché anche qui vi sono anime da salvare».
«Bastiamo noi a questo. Noi sappiamo salvare le nostre e sappiamo salvare quelle dei nostri dipendenti».
«Se così è, bene fate. Ma Io sono stato mandato per evangelizzare e salvare».
«Mandato! Mandato! E chi ce lo prova? Non le tue opere certo!».
«Perché dici così? Non ti preme la tua vita?».
«Ah! già! Tu sei quello che amministri la morte a quelli che non ti adorano. Vuoi allora uccidere tutta la classe sacerdotale, farisaica, quella degli scribi e molte altre, perché esse non ti adorano e non ti adoreranno mai. Mai, capisci? Mai, noi, gli eletti di Israele, ti adoreremo. E neppure ti ameremo».
«Non vi forzo ad amarmi e vi dico: “Adorate Dio” perché…»
«Ossia Te, perché Tu sei Dio, vero? Ma noi non siamo i pidocchiosi popolani galilei, né gli stolti di Giuda che vengono dietro a Te dimenticando i nostri rabbi…»
«Non ti inquietare, uomo. Io non chiedo nulla. Compio la mia missione, insegno ad amare Dio e torno a ripetere il Decalogo perché è troppo dimenticato e, ancor di più, è male applicato. Io voglio dare la Vita. Quella eterna. Io non auguro morte corporale, né, meno ancora, morte spirituale. La vita che ti domandavo se non ti premeva di perdere, era quella dell’anima tua, perché Io la tua anima l’amo, anche se essa non mi ama. E mi addoloro vedendo che tu la uccidi coll’offendere il Signore spregiando il suo Messia».
Il fariseo sembra preso da una convulsione tanto si agita; si scompone le vesti, si spennacchia le frange, si leva il copricapo e si arruffa i capelli, e grida: «Udite! Udite! A me, a Gionata di Uziel, discendente diretto di Simone il Giusto, a me, questo si dice. Io offendere il Signore! Non so chi mi tenga da maledirti, ma…».
«La paura ti tiene. Ma fàllo pure. Non ne sarai incenerito lo stesso. A suo tempo lo sarai e mi invocherai allora. Ma fra Me e te vi sarà, allora, un ruscello rosso: il mio Sangue».
«Va bene.
3 Ma intanto, Tu, che ti dici santo, perché permetti certe cose? Tu, che ti dici Maestro, perché non istruisci i tuoi apostoli prima degli altri? Guardali lì, dietro a Te!… Eccoli con ancora lo strumento del peccato fra le mani! Li vedi? Hanno colto delle spighe, ed è sabato. Hanno colto delle spighe non loro. Hanno violato il sabato e hanno rubato».
«Avevamo fame. Abbiamo chiesto al paese, dove siamo giunti ieri sera, alloggio e cibo. Ci hanno cacciati. Solo una vecchierella ci ha dato del suo pane e un pugno d’ulive. Dio glielo renda centuplicato perché ha dato tutto ciò che aveva, chiedendo soltanto una benedizione. Abbiamo camminato per un miglio e poi abbiamo sostato, come di legge, bevendo l’acqua di un rio. Poi, venuto il tramonto, siamo andati a quella casa… Ci hanno respinto. Tu vedi che in noi c’era volontà di ubbidire alla Legge» risponde Pietro.
«Ma non lo avete fatto. Non è lecito in sabato fare opera manuale e non è mai lecito prendere ciò che è di altri. Io e i miei amici ne siamo scandalizzati».
«Io, invece, no. Non avete mai letto come Davide a Nobe prese i pani sacri della Proposizione per cibarsi lui ed i suoi compagni? I pani sacri erano di Dio, nella sua casa, riserbati per ordine eterno ai sacerdoti. È detto: “Apparterranno ad Aronne e ai suoi figli che li mangeranno in luogo santo perché sono cosa santissima”. Eppure Davide li prese per sé e per i suoi compagni, perché ebbe fame. Or dunque, se il santo re entrò nella casa di Dio e mangiò i pani della Proposizione in sabato, lui a cui non era lecito cibarsene, eppure non gli fu ascritto a peccato, perché Dio continuò anche dopo questo ad averlo caro, come puoi tu dire che noi siamo peccatori se cogliamo sul suolo di Dio le spighe cresciute e maturate per suo volere, le spighe che sono anche degli uccelli, e che tu neghi che se ne cibino gli uomini, figli del Padre?» chiede Gesù.
«Li avevano chiesti quei pani, non li avevano presi senza chiedere. E ciò cambia aspetto. E poi non è vero che Dio non ascrisse questo a peccato a Davide. Lo colpì ben duramente Dio!».
«Ma non per questo. Per la lussuria, per il censimento, non per…» ribatte il Taddeo.
«Oh! basta! Non è lecito, e non è lecito. Non avete diritto di farlo, e non lo farete.
4 Andatevene. Non vi vogliamo nelle nostre terre. Non abbiamo bisogno di voi. Non sappiamo che fare di voi».
«Ce ne andremo» dice Gesù, impedendo ai suoi di ribattere oltre.
«E per sempre, ricordalo. Che mai più Gionata di Uziel ti trovi al suo cospetto. Via!».
«Sì. Via. Eppure ci troveremo ancora. E allora sarà Gionata quello che mi vorrà vedere per ripetere la condanna e per liberare per sempre il mondo di Me. Ma allora sarà il Cielo che ti dirà: “Non ti è lecito di farlo”, e quel “non ti è lecito” ti suonerà nel cuore come urlo di buccina per tutta la vita, e oltre la vita. Come nei giorni di sabato i sacerdoti nel Tempio violano il riposo sabatico e non fanno peccato, così noi, servi del Signore, possiamo, posto che l’uomo ci nega l’amore, attingere amore e soccorso dal Padre santissimo, senza per questo commettere colpe. Qui c’è Uno che è ben più grande del Tempio e può prendere ciò che vuole di quanto è nel creato, perché Dio ha messo tutto a far da sgabello alla Parola. Ed Io prendo e dono. Così le spighe del Padre, posate sulla immensa tavola che è la terra, come la Parola. Prendo e dono. Ai buoni come ai malvagi. Perché Misericordia sono. Ma voi non sapete cosa è la Misericordia. Se sapeste cosa vuol dire il mio essere Misericordia, capireste anche che Io non voglio che quella. Se voi sapeste cosa è la Misericordia non avreste condannato degli innocenti. Ma voi non lo sapete. Voi non sapete neppure che Io non vi condanno, voi non sapete che Io vi perdonerò, che chiederò, anzi, perdono al Padre per voi. Perché Io voglio misericordia e non castigo. Ma voi non sapete. Non volete sapere. E questo è un peccato più grande di quello che mi ascrivete, di quello che dite abbiano fatto questi innocenti. Del resto sappiate che il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato, e che il Figlio dell’uomo è padrone anche del sabato. Addio…».
Si volge ai discepoli: «Venite. Andiamo a cercare un letto fra le sabbie che sono ormai vicine. Avremo sempre a compagne le stelle e ci daranno ristoro le rugiade. Dio provvederà, Lui che mandò la manna ad Israele, a nutrire noi pure, poveri e fedeli a Lui».
E Gesù lascia in asso il gruppo astioso e se ne va coi suoi, mentre la sera scende con le prime ombre violette…
Trovano finalmente una siepe di fichi d’India sulla cui cima, irta di palette pungenti, sono dei fichi che iniziano a maturare. Ma tutto è buono per chi ha fame. E, pungendosi, colgono i più maturi e vanno, finché i campi cessano in dune sabbiose. Viene da lontano un rumore di mare.
«Sostiamo qui. La sabbia è soffice e calda. Domani entreremo in Ascalona» dice Gesù, e tutti cadono stanchi ai piedi di un’alta duna.
Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!